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martedì 7 gennaio 2025

Letture - 567

letterautore


Cuba
– Nei primi anni 1950, prima di Castro, gli anni di Hemingway, L’Avana era per Graham Greene, nei tanti soggiorni che vi fece, “il ristorante Floridita (famoso per daiquiri e Morro crabs), la vita nei bordelli, al roulette in ogni albergo, le macchinette mangiasoldi che sputano jackpot di dollari d’argento, il teatro Shangai dove per un dollaro e venticinque centesimi si poteva vedere un cabaret di nudi di oscenità estrema, col più porno dei film porno negli intervalli (c’era nel foyer una libreria porno per i giovani annoiati dal cabaret)…. Una città straordinaria dove ogni vizio era permesso e ogni commercio possibile”. G.Greene non “fumava” e non si bucava - si dilettava di oppio negli inverni che invece passava a Saigon.
 
Dio – “Bisogna certamente che vi sia un Dio. Primo perché tutti lo hanno detto, e il gridar più di molti è un grand’impegno. Secondo per parecchie altre ragioni”, il “Signor Incognito” Ippolito Nievo, “Antiafrodisiaco per l’amor platonico”, [II].
 
Flaubert – Fu a Genova per un paio di settimane nel maggio 1849. Aveva 28 anni, ed era già scrittore noto. Accompagnava, col padre Cléophas e la madre Anne Justine Caroline Fleuriot, la sorella Caroline fresca sposa in viaggio di nozze.
 
Hitchcock - G. Greene, per un periodo prima della guerra critico cinematografico, non stimava Greta Garbo, “una bella giumenta araba”, e Hitchcock. Ricordando quell’esperienza in “Vie di scampo”, si dice ancora “irritato” dall’“inadeguato senso della realtà” del connazionale regista: “Credo sempre che avevo ragione (checché Truffaut possa dire) quando scrivevo: «I suoi film consistono di una serie di piccole ‘divertenti’ situazioni melodrammatiche: il bottone dell’assassino caduto sul tavolo del baccarat, le mani dell’organista strangolato che prolungano le note nella chiesa vuota…molto frettolosamente monta su queste situazioni ingegnose (trascurando per strada inconsistenze, questioni in sospeso, assurdità psicologiche) e poi le molla: non significano nulla; non portano a nulla”.
 
Kenya – Un Paese tra le nuvole appare a Gram Greene quando nella primavera del 1953 vi sbarca come giornalista per documentare la rivolta anticolonialista dei Mau Mau – della popolazione Kikuyu che abita l’altopiano, dopo la carcerazione del suo leader Jomo Kenyatta: “Scrivevo la mia corrispondenza sulla rivolta Mau Mau”, scrive nel libro di memorie “Vie di fuga”, “conscio dell’enorme distesa di cielo, e di terrazzati di nuvole. Mai è stata una terra così avviluppata nell’aria, perché nella Kikuyuland si vive sulla cima di una montagna, con Nairobi a oltre cinquemila piedi (circa 2.700 m., n.d.r.), e questa missione nella Riserva Kikuyu dove risiedo duemila piedi ancora più in alto”.
 
Poesia – “La poesia rimarrà sempre uguale a se stessa, più alta di ogni Alpe. Essa giace nell’erba, sotto i nostri piedi, e bisogna soltanto chinarsi per scorgerla e raccoglierla da terra”, Boris Pasternak, intervento al Congresso per la difesa della cultura, Parigi, 25 giugno 1935, (“Quintessenza”, p.89). Alta e bassa?
 
Popolo – È ignorante, ma “dispone di una salda provvista di forza mitopoietica”: Ernst Jünger ci riflette in Sardegna il 31 maggio 1954 (in “Terra Sarda”, p. 142) vagando per i dintorni di “Illador”-Villasimius. A proposito dell’asinello locale, che ha un sul dorso due strisce nere che s’incrociano a formare una croce di Malta, e per questo “la sua genealogia viene ricondotta a quell’antenato di cui si servì la Sacra Famiglia per la sua Fuga in Egitto.
O a proposito di “un enorme anello di ferro incastrato nella roccia” in montagna; un probabile snodo servito “nel secolo scorso a taglialegna forestieri per fare scendere in pianura carici pesanti con una specie di funivia”, di cui si dice che è un “ricordo di Noè, il quale approdò in quel punto con la sua arca”. Una “lussureggiante immaginazione”, conclude Jünger, che “prospera vigorosa accanto a una stupefacente mancanza di conoscenze storiche”. E a una mancanza di curiosità: “Anche i notabili ignorano le date di nascita e di morte del nonno”.
 
Roma – Non ha avuto ammiratore più convinto del pur raffinato e riservato Henry James, che vi ambientò anche il suo primo romanzo, “Roderick Hudson”. “Finalmente – per la prima volta - mi sento vivo” scrive a casa alla sua prima visita nel 1869. Poi non lesinerà gli elogi: “Nessuno che abbia amato Roma come Roma può essere amata in gioventù vorrà finire di amarla”. Tra le tante annotazioni, nel 1879, passeggiando per il Corso sgombro di turisti: “L'indole romana è sana e felice”, scrive, “il sorriso di Roma, come io chiamo questa atmosfera, avvolge chi passeggia senza pensieri e si abbandona a prendere le cose come vengono”.
Il rapporto sarà ancora più stretto negli ultimi anni - fino alla morte, nel 1916 - dopo l’amicizia stretta a Roma nel 1899, a 56 anni, col ventiseienne scultore norvegese di Roma Hendrik Christian Andersen.
 
Schubart – Del poeta dello Sturm und Drang e pubblicista antigesuita e antiassolutista – per questo censurato da Federico il Grande di Prussia – Herman Hesse  fa scherzosamente (nel racconto “Nel padiglione del giardino”, ora in “L’uomo con molti libri”) il megadirettore del “museo di Samarcanda”, in viaggio in Europa per conto dell’ “emiro del Belucistan”, a caccia di rarità, “se il poeta viveva ancora – intendeva dire quell’infelice che era stato venduto agli Ottentotti da Federico il Buono, e che là aveva composto l’inno nazionale africano”.  
 
Vacanze – Un “gran senso di ristoro” avverte Ernst Jünger a Cagliari, aggirandosi per il mercato in attesa del treno per Olbia, “quello che sanno trasmettere le vacanze trascorse senza libri, senza giornali e senza compagnia intellettuale” (“Terra Sarda”, p.149).
 
Yvetot – Il paese in Normandia dove Annie Ernaux è cresciuta, fino agli anni di università, e che condiziona (spiega lei stessa ne “La vergona”) il suo modo di pensarsi e di scrivere, ricorre spesso nella corrispondenza di Flaubert, come sinonimo di bruttezza: “la città più brutta del mondo”, aggiunge qualche volta, “dopo Costantinopoli”. Nel “Dizionario dei luoghi comuni” la fa una Napoli all’inverso: “Vedere Yvetot è morire”. Ma per un disincanto generale, scriveva all’amante Louise Colet: “Non ci sono in letteratura bei soggetti d’arte, e Yvetot vale Costantinopoli”.

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