letterautore
Budella – Sono povertà e
sacrificio nell’eloquio napoletano. “Troppi vi han che tiran le carrozze colle
budella”, dove budella sta per il popolino, l’espressione si ritrova nelle
“Lezioni di commercio o sia di economia civile” di Antonio Genovesi (1803, 13
nota a): “L’illustre Giambattista Vico, uno dei fu’ miei maestri, uomo
d’immortal fama per la sua Scienza
nuova, soleva assai lepidamente dire che troppi vi han che tiran la carrozza colle
budella”.
Céline-Sartre – Prima delle deprecazioni
postbelliche, di Sartre contro Céline,
“pagato dai nazisti”, e di Céline contro la “tenia ghignante filosofante
Tartre”, Sartre aveva letto e ammirato Céline. Ancora nel 1938, quando già
Celine aveva pubblicato due dei suoi quattro libelli reazionari, e antisemiti, “Mea
culpa” e “Bagatelle per un massacro”, ancora nel 1938
Céline non era il sulfureo fascista antisemita delle future polemiche di Sartre.
Il filosofo apriva quell’anno il suo primo e più celebre romanzo, “La nausea”,
riscrittissimo, controllatissimo, con una citazione di Céline presa proprio da
“La chiesa”, la “farsa” del 1926 che è il primo sfogo anti-ebraico di Céline:
“È un giovane senza importanza collettiva, è soltanto un individuo”.
Celti
–
Ora dimenticati – da tempo. Ma sono alla prima riga del “De Bello Gallico”,
dove Galli, spiega Cesare, è il latino per
Celti: “Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam
qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur”, tutta la Gallia è divisa in tre parti, una delle
quali abitano i Belgi, un’altra gli Aquitani, la terza quelli che nella loro lingua si chiamano Celti,
nella nostra Galli”.
Critico
–
È il critico che “fa” l’Autore? Lo
scopre – lo inventa: lo legge, con cura, lo rilegge, ne rileva i motivi e le tecniche,
lo segue nella sua “produzione”, lo inquadra nelle storie, civili, politiche, sociali, letterarie,
di ricerca, di ispirazione, nelle radici, nei piani. Lo (ri)spiega Gabriele Pedullà sul “Sole 24 Ore
Domenica” 24 agosto, in un ricordo divertito del padre Walter, lettore attentissimo a
ogni virgola o tournure del
linguaggio, che aveva i suoi “autori preferiti” a cui non concedeva
tregua, il poeta Pagliarani, Malerba, D’Arrigo, Bonaviri (“noto per aver mancato il premio Nobel per
la Letteratura”, dice l’IA ).
“Era un periodo in cui tutti i narratori
importanti avevano dei critici di riferimento, che li consigliavano e nei momenti di
scoramento li rincuoravano, aiutandoli anche psicologicamente”.
Delfino – Il familiare
cetaceo giocherellone, folletto di tante favole e parchi marini, meta di
escursioni con tuta e gommone anche sfiancanti, è “mosciame” in “Horcynus
Orca”, il romanzone-metaromanzo di Stefano D’Arrigo. La parte cioè del pesce conservato (essiccato) al grado infimo della commestibilità. Che i pescatori
dello Stretto considerano (consideravano, quando c’erano pescatori) poco e
male. Al meglio un folletto, ma non divertente, poiché lacera(va) le reti e
strazia(va) pesci spada e tonni, quindi una disgrazia.
Femminismo – È di Pavese, l’autore
di molti personaggi femminili, ma nel senso del timore della donna? Nadia Terranova,
a cui è confidata la presentazione dell’ultima edizione Einaudi de “Il mestiere
di vivere”, lo dice “terrorizzato dalle donne che ama, donne che infestano la
sua letteratura con le loro assenze e anche con le improvvise apparizioni,
donne di cui non si fida perché da un momento all’altro potranno metterlo in
scacco, donne da cui si mette in guardia da solo”. E ricorda, in ordine inverso
al legame storico, Bianca Garufi, Fernanda
Pivano, Tina Pizzardo. E non sarebbero anche le sorelle Dowlings – e Romilda
Bollati, benché adolescente?
Pavese,
semplicemente, restò traumatizzato al rientro dal confino, quando scoprì che Tina
Pizzardo, alla cui leggerezza doveva il confino (a lui fortemente indigesto,
non avendo temperamento politico, bellicoso), dove si era fatto coraggio con
l’immagine di lei, semplicemente lo rifiutava perché “non lo amava” - senza
pietà (una che di sé – nelle memorie “Senza pensarci due volte” – scriverà:
“Donna libera e disinibita, piena di vita e di socialità, anche volubile, che
aveva bisogno di legami con più uomini contemporaneamente”).
G piccolo – “Una delle
guide di Zurigo aveva classificato Jacob’s (un bar, n.d.r.) così - con una «g
minuscola» - intendendo che vi si poteva trovare, benché non elusivamente,
clientela gay” –
Patricia
Highsmith, “Idilli d’estate”, 1994.
Nazionalpopolare – Detto di Pippo
Baudo in senso spregiativo: Si dice termine gramsciano ma fu l’appellativo con
cui il presidente Rai nel 1987, Enrico Manca, un socialista della corrente
filo-Pci, lo bocciava. Baudo si costrinse ad abbandonare la Rai (“rimettendoci
una ventina di milioni”, come poi dirà, per non aver voluto far valere la
giusta causa), per la Mediaset di Berlusconi – dove fu osteggiato da tutti,
eccetto Mike Bongiorno. L’unanimità del cordoglio è tardiva.
‘Nduja – È l’andouille francese – “le andouilettes sono
salsicce di trippa di maiale”, Gianni Mura, “Giallo su giallo”, p. 32 - a Spilinga rese digeribili
col peperoncino: “Da Troyes a Vitre, a Guéméné-sur-Scorff rivendicano di
esserne la culla. Si trovano in tutta la Francia, una volta ne ho mangiate di
buone anche in Savoia. Ho bisogno di appesantirmi e di dormire”.
Oinops pontos - Si
ripubblica “Il mare colore del vino” di Sciascia che perpetua l’erronea
traduzione di Omero. Il cui mare non è “colore del vino” ma “si vede come il
vino”, cioè spumeggia – come una volta spumeggiavano i vini nella fermentazione.
La traduzione è perfino semplice: pontos è il mare, oinops è un composto, di vino e la
radice di visione-vedere. Quindi la traduzione è: il mare che si vede (si
agita, spumeggia) come il vino.
Salò – Ebbe il più gran numero di
adesioni di giovani che poi sarebbero diventati vedettes dello spettacolo, teatro, cinema, musica, fumetto. Specie
di giovani, che alla chiamata alle armi rispondevano a Salò invece che alla
Resistenza. Dei più noti si è sempre saputo, Fo e Albertazzi – rimasti simpaticamente
amici poi tutta la vita, benché professando fedi politiche opposte. Seguiti da Walter Chiari, Ugo Tognazzi
e Raimondo Vianello, poi a lungo coppia di comici alla Rai, Carlo Dapporto,
Tino Carraro. E Mastroianni, Amedeo Nazzari, Wanda Osiris, Salvo Randone,
Enrico Maria Salerno. E Marco Ferreri.
E Hugo Pratt.
Si
moltiplicano i siti che documentano l’adesione anche di intellettuali, Dino
Buzzati per esempio, forse anche
Concetto Marchesi poi professo comunista, Gianni Granzotto, lo stesso
Spadolini, almeno fino al 1944. Angelo Del Boca, futuro storico delle malefatte
del colonialismo. Il cronista sportivo poi famoso alla Rai Enrico Ameri. I
musicisti Gorni Kramer, Cinico Angelini, molto popolare alla radio negli anni
1850-1960,
Scrittura – Intervistato
da Ganni Riotta su Radio 3 il 12 giugno 1986, Tondelli, a proposito delle tre
antologie di scrittori debuttanti che ha curato, tra il 1986 e il 1990: “Da
molte parti si dà per morta la pratica della
scrittura a farore di altri tipi di linguaggio, il linguaggio
televisivo, quello dell’immagine. Invece questi ragazzi esistono: c’è una
grande parte che scrive”.
Saranno
molti di più successivamente, col proliferare delle scuole di scrittura. Ma
probabilmente avrebbero posto un problema a Tondelli: non si impara a scrivere per
“non scrivere” – per dare parole ai “generi”,
seriali, d’immagine.
Ma
non è salvifica. Lo stesso Tondelli annota, a margine di Testori, “Traduzione
della prima lettera ai Corinti” (una glossa recuperata da padre Antonio Spadaro
“lavorando sulla sua libreria personale”, di Tondelli -. “Robinson” 31
agiosto): “Ho sempre pensato che la scrittura avrebbe potuto, magari in anni e
col lavoro, «salvare» la mia storia in un canto epico. La letteratura non salva,
mai. L’unica cosa che salva è l’Amore, la fede e la caduta della Grazia”.
È
un “bisogno” estetico”.
letterautore@antiit.eu
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