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L’intellettualità filosovietica, che delusione
Un Céline poco più che quarantenne e ancora uomo
di mondo, a caccia di ballerine, protrude ingrigito e incattivito in copertina.
Bazza ninacciosa, riportino sulla fronte, su fondo rosso, un demonio in grigio.
Per il primo di una sulfurea quadrilogia di pamphlet, di cui i tre
successivi sono ancora sotto censura di fatto – d’opinione – per antisemitismo.
Una riedizione, dopo quarant’anni: lo stesso editore aveva osato nel 1982,
unico in Europa, pubblicare questo “Mea Culpa” (insieme con l’ultimo dei
quattro pamphlet, “Le belle bandiere” - tradotto “La bella rogna”: la denuncia
dell’esercito francese che si era subito arreso, per colpa degli ufficiali, e degli
“ebrei).
Raboni – di cui la riedizione conserva l’introduzione
- avviava con l’impervio Céline la sua sfida di traduttore dal francese. Con Céline usciva l’1 gennaio 1982, il 1983 era l’anno di Proust, della “Ricerca”. Con
questo Céline il problema non era però tanto di linguaggio, il pamphlet è
anche breve, una cinquantina di pagine, ma il tema era delicato: la delusione.
Céline era stato, lo stesso ano 1936 in cui poi ne scrisse, in Unione Sovietica,
per spendervi i diritti d’autore (non pagabili all’estero) maturati col “Viaggio”.
E lì aveva trovato una dittatura, anche violenta, e non la rivoluzione di cui tanto
aveva sentito e letto. Da qui la delusione, prima sofferta poi corrucciata,
come se non il mondo sovietico ma l’intellettualità, cui era approdato, con
qualche degnazione, da un paio d’anni appena, si fosse illusa o avesse illuso.
La scoperta della cattiva coscienza, artefatta. Un primo sbocco contro la
letteratura “impegnata”.
Su questo aspetto la riedizione fornisce, a cura
di Antonietta Sanna, notizie e dati dei rapporti di Céline, un outsider
e quasi un franco narratore nella scena parigina, con Sartre e altri letterati-intellettuali
engagés, della letteratura filosovietica.
Louis-Ferdinand Céline. Mea culpa,
Guanda, pp. 77 € 10
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