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martedì 21 febbraio 2023

Il mondo com'è (457)

astolfo

Donbass – Fu all’origine del crollo dell’Unione Sovietica, già nell’inverno 1988-1989. Prima, e con maggiore impatto, delle fughe in massa dai paesi della “cortina di ferro”. La stessa area della guerra civile ucraina in corso da nove anni, e da un anno del tentativo russo di annessione. La cosa è ora dimenticata ma all’epoca se ne parlò, per esempio nei programmi tv di Santoro, con le prime ipotesi di crollo del regime sovietico per la protesta dei minatori e metalmeccanici del Donbass. Una forma di sindacalismo e di protesta russa. 
 
Gabriella Lapasini
– Personaggio notevolissimo del giornalismo e del terzomondismo degli anni 1970-1980, di cui non c’è traccia in rete, fatto inconsueto. Salvo due righe dell’editrice Sur: “Gabriella Lapasini è stata una nota scrittrice, giornalista e traduttrice italiana. Fra gli autori su cui ha lavorato figurano Eduardo Galeano, Miguel León Portilla e Miguel Barnet”. Ma anche Mariategui, Halperin Donghi, Eva Forest – e Alain Touraine, il diario che il sociologo tenne degli ultimi sessanta giorni di Salvador Allende. Nonché coautrice dell’Enciclopedia “Europa” della Cei, l’editrice del Pci, a dieci mani. Resta in edizione Galeano, riproposto da Sur, “Le vene aperte dell’America Latina”.
Maria Rosa Cutrufelli la ricorda con gratitudine nella rievocazione di “Noi Donne”, il settimanale del Pci: Devo molto a ‘Noi Donne’ e alle sue meravigliose giornaliste, in particolare alla capo-redattrice di allora, Gabriella Lapasini, che ha allevato con generosità una giovane generazione di ‘professioniste della penna’”.
Su eBay c’è ancora un suo libro di racconti, il suo primo, di giovane avvenente narratrice, della provincia veneta. Che poi, inurbandosi, “si perdette” nella politica, nel terzomondismo di quegli anni: “I racconti del borgo”, 1957. Pubblicato da Feltrinelli nella serie Scrittori d’oggi, nella Universale Economica, una collana di 50 titoli negli anni 1956-1963 – la più parte scelta da Luciano Bianciardi, non di grande fortuna. Un volume di racconti, “Fumo in collina”, “Il cappotto nuovo”, “Il nonno, Marco e il macellaio”, “Il ritorno”. Di respiro paesano. Di ambiente veneto – come la stessa autrice specificava nella terza di copertina: “I personaggi, l'ambiente, il paesaggio dei racconti, sono quelli delle colline venete tra le quali io sono nata (nel 1927, n.d.t.) e cresciuta ed alle quali mi sento profondamente radicata. Non c'è altra aria, altra luce, altre voci che io possa immaginare mi somiglino più di quelle che io possa supporre di sentire, un giorno, più mie. I miei interessi sono molteplici e, credo, tutti vivi; ma più che tutto amo la gente, le cose, un certo paesaggio veneto, verde ed ondulato, amo la realtà tangibile di ogni giorno.
A Roma sarà giornalista, e traduttrice di autori latinoamericani, specie politici. Nel 1979 fondò e diresse la rivista “Cubana” – poi “Latinoamerica”.
Così la ricorda Astolfo, nel romanzo “La gioia del giorno”, nei tardi anni 1980, al funerale “rosso” del suo ultimo compagno Franco, combattente della Resistenza - qui chiamato “Severo”:
Il corpo è deposto nel capanno degli attrezzi in cima al poggio, aperto verso il giardino, coperto di coppi rossi, adesso li fanno di plastica, tirato a calce, ornato di bandiere rosse con la falce e il martello, e stendardi, gagliardetti, nastri d’onore oro e azzurro delle formazioni garibaldine, con coccarde tricolori, sotto la villetta a un piano e mezzo che è la Casa del Popolo alla Garbatella, il quartiere costruito da Mussolini per le famiglie povere, pieno di pendii, giardinetti, case unifamiliari, sorprese e privacy, un fascismo biedermeier prima della romanità novecentista……
“È un funerale civile, che i compagni della Garbatella hanno organizzato nel segno della Resistenza. Sono loro che si sono battuti a porta san Paolo e alla Montagnola. Severo è testimone del tempo, giusto la massima di sant’Agostino che amava: “La fede non pensata non è niente”. La stanzetta contiene giusto il feretro. Adagiato su trespoli di ferro battuto. Si può guardarlo da fuori, dal fronte aperto sul terreno digradante. Fiori di campo, roselline e grossi crisantemi deposti per terra prolungano le aiuole del giardino.
“Dice poche parole il segretario della sezione, indossando la giacca sulla blusa da lavoro, fazzoletto rosso al collo. È l’unica presenza politica. Qualche giornalista è passato. Qualcuno intona stentoreo un triplice “hip, hip hurrah!”. Segue un battimani, che si perde nel giardino. Le bandiere sono state abbassate sulla bara da compagni improvvisamente apparsi.
“Si salda la bara di zinco con la fiamma ossidrica. Finito lo sfrigolio, il coperchio viene inchiodato. Si apre intanto il cancello del giardino, il carro funebre entra a ritroso, tra grida gutturali. Al ricordo, ma sarà falsato, anche gli addetti delle pompe funebri sono in tuta da lavoro col foulard rosso. La bara è portata a spalle giù per il sentiero e adagiata nel carro. I compagni seguono con le bandiere rosse e i gagliardetti e si schierano ai lati. Viene suonato il silenzio, da un anziano trombettiere, con trasporto. Segue un altro battimani, che suona spento. Cos’è il rumore per il sordo? Da morto uno può pensare, chissà, ma sordo sicuramente è. Il furgone si avvia nudo, senza fiori….
“Stanno vaporose tra le aiuole fiorite del giardino a gradoni, le gallerie, le barriere, o sedute attorno al pozzo, sotto il fiammante verde della vite americana, la compagna Gabriella e altre signore ignote. È il quadro dell’Angelico a San Marco, “Il battesimo del Battista”, per l’aria di chiostro e la luce primaverile. Conoscenze ignote, malgrado la familiarità di anni con Severo…. Gabriella è in seta rosso cardinale, a pois bianchi e mezze maniche, con la cicca alla piega della bocca e la voce gracchiante per il fumo, ma ordinata, chioma di parrucchiere, occhiali a farfalla, e fresca di argomenti, in conversazioni prolungate, in toni neanche sommessi, francamente curiosa…. Bellezza non bella, direbbe Platone… Capelli ramati, i fianchi appesantiti dai dispiaceri, le caviglie gonfie….
“Gabriella aveva ambizioni in proprio e ha esordito con Severo da Feltrinelli, nella collana avulsa dedicata alla narrativa popolare, di finti contadini partigiani e storie di guerra che nessuno aveva vissuto o visto. I racconti riemersi a Porta Portese s’illustrano di una foto in piano americano, per mostrarne le gambe alte di giovane veneta, bionda, levigata. Non resse a quella prima falsa uscita….
- Aveva un quadernetto – ha detto al telefono – con i buoni da un lato e i cattivi dall’altro. Ho pensato che dovevi saperlo, che ora Franco non c’è più. – E: - Non era contento ultimamente, le tattiche lo deprimevano, era un duro - o intendeva un puro?
 
Liturgia
- Aveva da fare in origine con le imposte, una sorta di “sostituto d’imposta”. Lo spiega meglio Luigi Einaudi, “Miti e paradossi della giustizia fiscale”, pp. 274-275, a proposito dei sistemi di tassazione in Atene: “Le imposte dirette erano considerate incompatibili coni la libertà e con la qualità di cittadino. Solo gli stranieri, le cortigiane e gli schiavi vi erano sottoposti. Gli stranieri permanentemente domiciliati nella città pagavano il «métoikion», a guisa di compenso per i privilegi di cui essi godevano nella città. Era un pesante uniforme testatico, a cui si aggiungevano particolari tributi, ad es. per il diritto di lavorare sul mercato. Anche le cortigiane erano soggette ad un tributo fisso. Più incerta era la situazione degli schiavi e dei liberti.
“Le liturgie ordinarie… sostituivano, per i cittadini, lei imposte da cui erano immuni. Distinte in varie sottospecie, come le «coregie» destinate a coprire le spese dei giuochi drammatici e musicali e delle danze, le «gimnasiarchie» a copertura dei giuochi atletici, l'«estiasi», a sopperimento delle spese delle pubbliche cene a carattere religioso delle tribù, poggiavano sul concetto che ad ogni spesa si dovesse provvedere con una particolare entrata all'uopo stabilita e sovratutto facevano affidamento sull'ambizione tradizionale nei ricchi greci di fare buon uso della propria ricchezza e sul desiderio di rendersi popolari con generose largizioni ad incoraggiamento di feste religiose, giochi e spettacoli. La liturgia era dunque in origine e rimase sempre in principio una oblazione spontanea. Lo spirito di emulazione tra i ricchi, la brama di cattivarsi il favore del popolo innanzi alle elezioni inducevano non di rado i ricchi greci ad eccedere, nelle pubbliche largizioni, i limiti considerati normali dall'opinione generale. Testimonianza di volta in volta di patriottico amore alla cosa pubblica e della sua degenerazione demagogica, le liturgie non sempre bastavano a coprire la spesa, sovratutto quando essa assumeva dimensioni insolite. All'oblazione spontanea sottentrava la coazione morale. Si compilavano liste dei ricchi messi a contributo; problema sempre arduo, a causa del piccolo numero dei chiamati e della gravezza del contributo. Soccorre qui l'istituto forse più originale della finanza ateniese: l'antidati.
“Il cittadino chiamato ad offrire la liturgia poteva designare un altro cittadino, che egli avesse creduto più atto a sopportare il peso della spesa desiderata. Il designato in seconda poteva rifiutarsi; ma in tal caso era obbligato a permutare il proprio col patrimonio del primo designato, il quale doveva prelevare l'ammontare della liturgia sul nuovo patrimonio cosi acquistato. Il sistema era ingegnoso, poiché nessun designato in primo luogo avrebbe avuto convenienza ad indicar altri, se la fortuna di questi non fosse davvero stata maggiore della propria. Il sistema, suscitatore di atti emulativi e talora ricattatori, non doveva però essere di piana applicazione, se a poco a poco si riduce a mera forma, e la decisione è, nel quarto secolo a. C., rimessa al giudizio dei magistrati…”
 
Linea Maginot – Il sistema fortificato costruito dalla Francia nei vent’anni dopo il 1920, dal Mare del Nord al Mediterraneo, più intensificato nel Nord-Est, alla frontiera con la Germania e il Lussemburgo, celebrato come di “temibili postazioni belliche”, era vistyo da Jünger come “un cannicciato”. Ernst Jünger, capitano (richiamato) della Wehrmacht, spirito sensibile, molto filofrancese, nel “Diario” trova a fronteggiare l’avanzata tedesca dei cannicciati - “paraventi (contrevents”) di canne”.
 
Maria CristinaUna regina di Napoli, una Savoia, moglie del “Re Bomba” Fedinando II, è da tempo dichiarata beata dal papa, e mantiene la sepoltura a Santa Chiara nel cuore della città - malgrado i rivolgimenti architettonici a cui il complesso viene periodicamente sottoposto. Anche se la città, che pure ha il culto dei morti, non lo sa. Napoli non si riconcilia col suo passato di capitale del Regno, malgrado i campanilismi: dei Borbone, degli spagnoli. La sua memoria è di fatto solo la versione risorgimentale – benché non fosse più mediocre, in tema di libertà e di modernizzazione, a quella dei Savoia prima di Cavour (che durò pochi anni, e fece poco).
Maria Cristina era figlia di Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa d’Asburgo-Este, nipote di Maria Antonietta. Nacque a Cagliari perché il Piemonte era occupato dalla Francia. Le cose non andarono meglio quando la famiglia tornò a Torino: Vittorio Emanuele I si inimicò la parte liberale, post-napoleonica, e dopo I moti del 1821 dovette abdicare. Abdicava in favore del fratello Carlo Felice, che però non era a Trino, e vivrà ancora pochi mesi, e quindi il regno passò di fatto al cugino Carlo Alberto, dei Savoia-Carignano, che era invece vicino ai liberali.   
In un primo tempo, nel 1827, Maria Cristina, quindicenne, era stata chiesta in moglie per il duca d’Orléans. Ma la madre non volle un matrimonio fracese. Né Maria Cristina era propensa al matrimonio: avrebbe preferito farsi suora. Tre anni dopo fu lo stesso Carlo Alberto a negoziare per suo conto il matrimonio col principe Borbone Ferdinando, che da re, nel 1848, dopo il bombardamento di Messina avrà il nomignolo di Re Bomba. Maria Cristina vivrà poco, a gennaio del 1836 morirà, di soli 23anni, di parto – dei postumi del parto. Lasciava l’erede al trono, l’ultimo re di Napoli, Francesco II. E una tradizione di pietà.
La chiesa l’ha beatificata – al termine di un processo aperto dal marito, Ferdinando II, e durato poco meno di due secoli - riconoscendo come miarcolosa una guarigione dal tumore al seno impetrata in suo nome. Ingentilì la corte napoletgana, e non è ricordata male dai liberali. Settembrini, “Ricordanze della mia vita”, attest che “finché ella visse tutti i condannati a morte furono aggraziati”.  
 
Matrimonio repubblicano – Fu così detto uno dei procedimenti di esecuzione sommaria adottati dalla Convenzione Nazionale della rivoluzione francese a fine 1793 contro la ribellione della Vandea, nella città di Nantes. Consisteva nel legare insieme due condannati, in un primo tempo vestiti poi più spesso nudi, per tesaurizzare gli abiti, portarli su una chiatta al centro della Loira, e lì buttarli in acqua. Nelle esecuzioni più famose si imbarcavano più coppie di condannati su una chiatta che poi veniva affondata, fino a una cinquantina per barcone.
Nantes, la città celebre per l’editto, lo divenne anche per le noyades o “matrimoni repubblicani”.  Teatro di una delle prime, se non la prima, esecuzioni di massa della storia, tra novembre e dicembre 1793, studiate con applicazione. Jean-Baptiste Carrier, il commissario mandato dalla Convenzione parigina, lo escogitò come sistema di esecuzione meno costoso delle fucilazioni, e più rapido: benché procedesse a duecento fucilazioni al giorno, non riusciva a uccidere tutti i rivoltosi. Nel mese di ottobre erano stati presi prigionieri diecimila rivoltosi vandeani, e altri diecimila prigionieri furono fatti a dicembre.
Di matrimonio repubblicano si parlò propriamente in una testimonianza contro Carrier, quando il commissario cadde in disgrazia – fu ghigliottinato da Robespierre: “Consisteva nel legare insieme, sotto le ascelle, un giovane e una giovane completamente nudi e precipitarli così nelle acque”.
Carrier vantava di avere eliminato con questo sistema 2.800 prigionieri. Gli storici della Vandea ne conteggiano 4,800.

astolfo@antiit.eu

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