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domenica 19 febbraio 2023

Il “consenso” arriva con il Concordato

Il volume è interessante per la prima parte, “Plebiscito di fede”, sul voto popolare chiamato il 24 marzo 1929 ad eleggere la nuova Camera dei Deputati, che doveva ratificare gli accordi fra la Santa Sede e lo Stato italiano. Gentile curiosamente non dà rilievo al senso epocale dei Patti Lateranensi, che chiudevano un’esclusione assurda dei cattolici dalla vita politica nazionale – una esclusione che il mezzo secolo abbondante di vita “liberale” dello Stato italiano non si era curato di chiudere. Si limita a ricordare che a un mese dai Patti Lateranensi, aprendo il 10 marzo 1929 la campagna per il voto del 24, Mussolini così ne poteva presentare la firma: “Per gli Italiani basterà ricordare che il giorno 11 febbraio 1929 è stato dal Sommo Pontefice finalmente e solennemente riconosciuto il Regno d’Italia sotto la monarchia di Casa Savoia, con Roma capitale dello Stato italiano” – sottinteso: a nessun costo, o minimo, per lo Stato. Però lumeggia la mobilitazione del mondo cattolico per il Si come una sorta di anticipazione, di fatto, degli “anni del consenso” defeliciani.
Si schiera per prima l’Azione Cattolica, per tempo, per evitare l’astensione abituale dei cattolici alle urne. Consigliando di votare comunque, anche se i candidati erano fascisti, del partito unico - “ma il plebisicito è sulla fede fascista”, può anticipare lo storico, più che sui Patti Lateranensi. Il presidente dell’Azione Cattolica, Luigi Colombo, lo fece con un discorso a Milano che De Gasperi bollò in privato come “documento di dabbennaggine e di ottimismo infantile”, ma che l’“Osservatore Romano” pubblicò.
La mobilitazione cattolica era importante per evitare l’astensione, alla prima elezione fascista, che si sarebbe potuta mascherare ma non troppo. I rapporti dei prefetti testimonieranno che la mobilitazione fu capillare, organizzata nelle parrocchie, e riuscita. A Cosenza come a Frosinone (“il Clero con a capo i Vescovi delle Diocesi, hanno risposto all’appello. Le comunità religiose, come quelle numerose, delle Abbazie di Casamari e di Trisulti, si sono recate inquadrate alle urne”, è il rapporto del prefetto), a Firenze (“il cardinale partecipò al plebiscito votando in una delle sezioni del centro, la stessa dove votava il prefetto”, nota Gentile), a Reggio Emilia, a Venezia (“il patriarca di Venezia, cardinale La Fontaine, e i vescovi di Chioggia e Portogruaro si recarono alle urne fra gli applausi dei fascisti, mentre il parroco di Malamocco andò a votare con i paramenti sacri…”). Dopo una propaganda elettorale intensa: “Quasi tutti i sacerdoti si prodigarono in opera di propaganda verso gli elettori delle rispettive parrocchie e taluno, contravvenendo a divieto delle superiori Autorità ecclesiastiche, parlò del plebiscito in chiesa, durante la celebrazione della messa”.
Protestarono per la conduzione del voto-plebiscito gli antifascisti, ormai dell’esterno, ma anche “fascisti che avevano votato sì”. Era il primo voto di regime. Ma le proteste non dovettero essere molte. Gentile ne elenca solo due, da Benevento e da Livorno, per la “eccessiva” gestione del voto – “che danno veniva da un milione o due di meno di sì quando fossero stati tutti onestamente dati gli altri milioni”, obietta un contestatore. Il consenso fu sicuramente vasto e entusiasta, molto.
Emilio Gentile, Storia del fascismo – 10. Credere, obbedire, combattere, “la Repubblica”, pp. 157, ill. € 14,90

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