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Faulkner selvaggio – contro il lettore
Una storia d’amore bohème tra adulti: privazioni,
vagabondaggi, sfortune. E una di un carcerato - uno di due, un forzato basso e
un forzato alto, di quello alto, il basso scompare presto nella melma – impiegato
dalla polizia per i salvataggi nella Grande Inondazione del Mississippi del
1927, e poi condanato anche per evasione, per essersi perduto nel mare di
acqua, e di fango. Molto gelo, anche a New Orleans, e molta fame. E acqua, molta
acqua, per moltissime pagine – “uno scenario degno di un Dante di Eisenstein” .
Due racconti in parallelo,
smazzati l’uno dentro l’altro. Uniti da non si sa che. Due storie di fallimenti
– a un certo punto si fa una filippica contro la Rispettabilità? Un romanzo
della malinconia, lungo, insistito, ripetuto? Un’antifona all’American Dream? Nel
1939, quando Faulkner stava a Hollywood? Una prova d’autore?
Una prova di forza, sia per le
storie, sia per il modo convulso di raccontarle – per il quale ci vogliono due
traduttori, Bruno Fonzi e Mario Materassi. C’è anche, anche dichiarata, un po’
di misoginia – le donne sono strane: quando non sono cattive sono incomprensibili.
I francesi della Luisiana, i cajun,
parlano “facendo chiò-chiò”.
Il lettore, seppure porta a
termine la fatica, fatica a capire. Forse una scommessa, dell’autore che si fa
leggere anche se illeggibile? Un omaggio, ironico, a Hemingway a p. 87 lo fa
supporre. Comunque a sue spese, del lettore - sembra un libro interminabile.
William Faulkner, Le palme selvagge, Adelphi, pp. 290 €
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