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mercoledì 3 luglio 2013

Joyce respinto dall’Italia

Non fu un “respingimento”, del resto non c’erano scafisti, ma una saracinesca sì. Joyce scrisse molto in italiano. E per cinque anni, dal 1907 al 1912, esclusivamente in italiano. Eccetto il saggio su Dickens, che però è il tema d’abilitazione all’insegnamento dell’inglese nelle scuole secondarie italiane. Ma con fastidio dell’Italia: già nel 1911 .il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione gli aveva impedito, scrive, di “trasferirsi nel Paese la cui lingua usa ogni giorno, avendola scelta deliberatamente come madrelingua per i suoi figli Giorgio e Lucia”, quella dell’amato Denti Alligator, come scrisse nella domanda per un posto di supplente.
Una lettura malinconica. Gli scontri di Joyce con la burocrazia per un modesto posto d’insegnante fanno ridere ma per essere deprimenti. Conoscendo le lettere italianissime, qui non comprese, ai figli, triestini di nascita e di prima lingua, agli Svevo, e a Linati, la tristezza si moltiplica. Si capisce che l’anno dopo, nel 1913, Pound lo salvasse dalla disperazione, cioè dall’Italia.
Giorgio Melchiori, che ha curato trentacinque anni fa questa raccolta, con Jacqueline Risset e Gianfranco Contini, ha anche un Joyce romano – le aveva tentate proprio tutte. Qui ci sono gli scritti italiani compresi nella raccolta Oxford, di “Occasional, critical, and political writing”. Parte di essi per un progetto di libro, da intitolare “L’Irlanda alla sbarra”. Più “Anna Livia Plurabella”, i passi di “Finnegans Wake” riscritti da Joyce in italiano, con le lettere di accompagnamento a Stanislao, Settanni e Nino Frank – al quale scrive già in francese.
Il solito Joyce imprevedibile. Umorista. I “dotti tedeschi” scoprono tutto, anche Shakespeare. I danesi e i norvegesi sono in Irlanda, nei tre secoli prima degli inglesi, “gli stranieri neri e bianchi”. Eurista. “Il rinascimento, per dirla in poche parole, ha messo il giornalista nella cattedra del monaco”. Seminale. “Shakespeare e Lope de Vega sono responsabili, fino a un certo punto, del cinematografo”. Anticipatore. “Siamo avidi di dettagli… Il giornalista volgare è più grande del teologo”. In due delle lettere a Frank c’è la storia della “Moglie del Sardo”, un romanzo di cui Joyce ha sentito da Larbaud, che poi sarebbe “La moglie del Sordo”, e invece non esiste – quasi uno scherzo ai futuri filologi: il joyciano principe Ellmann lo attribuirà a Grazia Deledda.
James Joyce, Scritti italiani

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