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domenica 5 gennaio 2014

C’è del metodo, nella schizofrenia

È la cronaca di un rimorso. Malinconica, irritante elaborazione del lutto (il risvolto lo dice una “vendetta”, ma è un “mea culpa”, perfino mieloso) per la lunga agonia della madre. Il senso di colpa è triplice. Alla deiezioni del cancro si aggiunge la ludopatia. Che vuol dire buttare via il modesto vitalizio mensile dell’odiato Stato all’autore per “incapacità mentale dall’infanzia”.
Nulla di più. Ma l’autore è archetipo della letteratura escretoria, ed è celebrato in Francia, un caso che fa “discutere” da decenni - ma solo in Francia, con questa coda italiana, in inglese non è pubblicato. Tra le avversioni dello psicopatico scrittore - compagno di licero di Doctorow (“Ragtime”) - c’è infatti quella per la lingua “madre”, l’inglese. Per cui imparò, da autodidatta, il francese, il tedesco, lo spagnolo e perfino il russo, e scelse di scrivere in francese. La Francia lo aveva imposto peraltro nel 1970, quando Deleuze trovò la sua prima testimonianza, “Le schizo et les langues”, appassionante e la fece editare da Gallimard. È quindi lettura obbligata. Ma il racconto è molto di testa. Flebile anche, a distanza – dopo tutto quello che il “genere” ha proposto.
Lo schizofrenico è preciso, e Wolfson, una volta partito, non concede pause, non alza nemmeno gli occhi: è ripetitivo. Un po’ troppo paranoico, anzi: è metodico. Controlla le sue e le altrui tirature, nel vasto mercato americano, e i propri e gli altrui diritti pagati. Sa come promuovere i suoi scritti, a chi chiedere le “presentazioni” e come. Il titolo redige con una lunga allitterazione, quindici parole. La ludopatia estende ai contratti derivati sui mercati a termine di Chicago (merci) e New York (tioli), le combinazioni finanziarie più complicate.
Wolfson è uno che ha sempre “il bisogno di essere molto paranoico”. Ma il caso “caso umano” stinge, il “franco narratore” sa di artefatto, insistito. È un racconto del 1984, questa è una riedizione, sia pure largamente riveduta. Il tutto sapendo che il pazzo autore è ora ricco ottuagenario al tepore del Portorico, tra i disprezzati mezzosangue, dove si gode due milioni vinti alla lotteria. E che soprattutto, più che con la madre, è fissato con la scrittura. Nell’originale francese il testo è molto curato, troppo: la ricerca della musicalità, la cura dell’instabilità della frase, l’effetto sorpresa costante, con l’uso perfetto della sintassi, piena di congiuntivi e periodi ipotetici, e la sapiente costruzione di neologismi, forse sono l’esito della psicopatia ma allora di una “superiore” scienza.
Louis Wolfson, Mia madre musicista è morta di malattia maligna, Einaudi, pp. 287 € 18

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