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giovedì 1 giugno 2023

La guerra è brutta, tanto più se grande

Una prima versione del “Viaggio al termine della notte”? Un racconto altrettanto cruento e grottesco, della Grande Guerra vissuta come un macello. Per i reduci un caso di “mai più”, di “der des der” in francese l’ultima delle ultime”. Più autobiografica del romanzo poi famoso. Ma già racconto compiuto, che si fa leggere non solo per “obbedienza” céliniana. Le pagine iniziali, sul cavaliere atterrato e ferito al braccio e alla testa, che si aggira dolente tra cadaveri e carcasse, tra le pozzanghere profonde scavate dagli obici, masticando sangue, sono eccezionali.
“Guerra” è uno dei due abbozzi di romanzo inediti, l’altro s’intitola “Londra”, che sono riemersi fra i 5.234 fogli autografi scomparsi dalla casa dello scrittore a Montmartre nel giugno del 1944, quando Céline, temendo rappresaglie alla Liberazione, si era rifugiato in Germania – poi in Danimarca. Un Jean Pierre Thibaudat, che li aveva ereditati da chi li aveva sottratti, nel 2021 li ha restituiti agli eredui dei diritti Céline.
C’è già la frasetta, musicale, ipnotica – il “parlottio ipnotico, sbracato e ininterrotto”, dice la nota editoriale. Non ci sono i punti di sospensione, l’invito al lettore a concludersi il discorso (sono rari, lasciano aperta la battuta in conversazione). C’è il lessico composito, con parole rare o di gergo, militari, medicali, malavitose, argotiche, adattate – l’edizione francese si correda di un lungo “lessico della lingua popolare”, ma alcune forme espressive sono già céliniane. E c’è la guerra, cruda, sporca, senza mai una nota d’eroismo o solo d’onore. La guerra è sporcizia, sangue, sofferenza, morte. Il tutto nel registro già grottesco, senza eroismi né sentimentalismi, e mescolato ai rifiuti: il malavitoso che fa venire la moglie al fronte per guadagnarci su qualcosa, infermiere che manipolano libidinose i dissanguati pazienti, comandanti scemi, traffici di ogni tipo disonorevoli.
Alla fine”, può concludere il risvolto, “attraverso il suo delirio, ci si accorge che Céline è l’unico scrittore che sia stato capace di nominare quegli avvenimenti”, i massacri piccoli e grandi della Grande Guerra: “Dalla parte dei Buoni nessuno ha trovato la parola”. Non si pone mai mente alla mentalità del reduce, che perseguita Céline come ogni altro, lui ferito anche gravemente, che la guerra teme e denncia: c’è qui molto che spiega i libelli sconvolti degli anni che annunciavano il secondo Grande Macello.
È però la”testimonianza” di uno scrittore. Un teatrante della parola. Ancora al debutto, seppure in là con gli anni, e con le esperienze di vita. Il contesto è poco letterario, è un ospedale da campo, al fronte. Ma la disposizione lo è, le scenografie, i tipi umani, i dialoghi. Una pagina, a due terzi della narrazione, è un sottile duello con Proust, non nominato, il romanziere del momento – il dottor Destouches aveva le sue buone letture (quanto Céline resta da scoprire). Sulla maniera di trattare i ricordi, di rivivere o raccontare il passato: “Bisogna diffidarne. È puttano il passato, si scioglie nella fantasticheria”, si dà “piccole melodie strada facendo che non gli si chiedevano”. La sua vuole essere un’altra maniera di trattare i ricordi, di raccontare il passato, arrabbiata, militante. Da outsider, si sarebbe detto qualche anno dopo, e non ammansibile.   
La traduzione di Ottavio Fatica, che dopo cinquanta o sessant’anni può finalmente cimentarsi col Céline narratore, ne rende la “musichetta”, il fraseggio. Ma con un curioso effetto rispetto all’originale: come in falsetto, una musichetta che si voglia stonata. Effetto probabilmente del fraseggio colloquiale umbro-toscano che adopera - che, senza voler fare il Malaparte finto burbero dei “Maledetti toscani”, va per il birignao: “sbrindelli”, “a spizzichi e bocconi”, “montarozzi”, “a puntino”, “gnaulare”, “un pochettino!”, “gli sgraffigno”, “cagnara nella crapa”, con mica” e “manco a dirlo”. Oltre al “cazzi” intercalare dei social che ci perseguita, che destoricizza (infantilizza).
Céline, ha ragione lo stesso Fatica in “Lost in translation”, dove parla di questa sua traduzione, non è rabelaisiano, eccessivo - non fa liste, non fa moltiplicazioni. Céline è perfido. È quello del riso sardonico, amaro e spietato: ricerca o crea la battuta più feroce, o più commossa. E brusco: procede per accumulo – per piccoli episodi, immagini, sensazioni, aneddoti, brevi o troncati, eccessivi (l’infermiera dalla mano lunga, il magnaccia furbo-scemo, la moglie prostituta del magnaccia, che gode anche dodici volte di seguito, la bella camerierina dura a pizzicare e scema, le trincee e le “cavallerie” – gli “avanti, miei prodi” contro le mitragliatrici e gli obici ad alzo zero). È uno che veramente la vita, sua e degli altri, sentiva pericolosa e insensata – senza bisogno di filosofarla, come Camus e Sartre faranno più tardi, con sintassi di scuola. E la petite musique che qui per la prima volta adotta, se questo “Guerra” è un abbozzo del “Viaggio”, è un primo segno dell’appassionata irrisione, verso la vita e gli esseri, che sarà il suo “stile”, parola aborrita-prediletta, il suo marchio di fabbrica (non ancora la petite musique “ariana” che rivendicherà micragnoso nei libelli di fine anni 1930).
I suoi “staccato” come le sue ariette e recitativi colloquiali sono veramente calchi o copie del popolaresco. Riccardo De Benedetti lo ricostruiva qualche anno fa a proposito di “Bagatelle”, il primo degli opuscoli antisemiti. Lavorando sulla  traccia aperta da Emmanuel Mounier, che recensì l’opuscolo su “Esprit” documentando puntiglioso le fonti di una trentina di passi in due opsucoli “dello stesso genere di quelli che si vendono all’uscita dei metrò, con le liste degli ultimi numeri del Lotto e le illustrazioni pornografiche”, e in “Israele, il suo passato, il suo avvenire” di H. de Vries Heekelingen, antisemita blando del filone “gli ebrei meglio in Israele”). L’animus è invece cattivo. Angosciato, già nichilista – Ferdinand, il futuro Bardamu, racconta in presa diretta ma già da medico, anche se non lo sa (non lo dice), da fisiologo e anatomista. E già molto umano, da medico di base di periferia, medico dei poveri.
L’edizione italiana è corredata dalla prefazione di François Gibault, il biografo di Céline, e dal nota del curatore Pascal Fouché. Con un indice dei nomi e dei personaggi, una nota del traduttore, e alcuni facsimile del manoscritto.
Louis-Ferdinand Céline, Guerra, Adelphi, pp. 160 € 18

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