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mercoledì 31 maggio 2023

Destra-sinistra – se la sinistra non sa cosa fa la destra

astolfo

Si chiude a una ragazzina l’account Instagram perché ha osato criticare, educatamente, Chiara Ferragni. Non si può criticare Chiara Ferragni perché è una procuratrice pubblicitaria, promotrice efficace, pare, di vendite, e quindi fa ricca Google. Ma senza sdegno per la censura – anzi, lo sdegno è per la ragazza: non aveva l’età per l’account, ha barato, il suo post è troppo ben scritto.... (leggere per credere, l’infamia non ha limiti). Perché Ferragni è, anche, una icona della sinistra. Non sinistra, nel senso che è una che vende pubblicità senza dirlo, ma della sinistra politica.
Dunque, la sinistra è una pubblicità? Bella, certo, almeno per qualcuno, ma sempre pubblicità, compulsione a spendere – consumismo, spreco, superfluo, etc., etc., la vecchia vergogna, da riccastri parafascisti, o parà e fascisti...? In questo paese nulla è certo.
Vince la destra e la sinistra s’interroga. No, non s’interroga nemmeno, “in questo Paese”.
“Questo paese”, “in questo paese”, da D’Alema a Nanni Moretti è locuzione che connota di sinistra. Si dice “questo paese”, “in questo paese” è si è automaticamente di sinistra. Nel senso che chi lo dice, lei\lui, è migliore, molto migliore, di “questo paese” – sottinteso “di merda”. Ma la cosa è di sinistra, dire un paese che è un paese di merda? Dirlo in continuo, pensarlo, non dormirci la notte, fare il Br? La supponenza è di sinistra, quel placido, bruto, stancante ritenersi i belli-e-buoni, i καλοκαγαθοι, della Repubblica? Il “discorso” della sinistra è di sinistra, fuori dalla polemichetta sterile degli onorevoli e delle influencer, che di partenza fanno commercio?
Protestano inutilmente a Roma i residenti residui, pochi, del centro storico, contro il Campidoglio di sinistra che moltiplica fast-food e birrerie. In effetti, la depredazione del centro storico, ora praticamente inabitabile, un tempo da centomila abitanti, è opera della sinistra: isole pedonali per lo struscio, divieti di circolazione, divieti di parcheggio, terrazze all’aperto fino all’alba.Nel nome della modernità – cioè nel nome del commercio, piccolo e grande. Il centro storico di Roma è stato svuotato, dietro queste apparenze. Ma è di sinistra. Come sono di sinistra i centri commerciali invece che le attività artigianali, e le concessioni balneari all’asta – la sinistra ci ha provato pure con i mercatini rionali.
L’onorevole Bersani, uno che ritiene il partito Democratico troppo di destra, si consegnava non molti anni fa alla storia per le “lenzuolate” di liberalizzazioni, cioè di liquidazione del piccolo commercio al dettaglio, del negozio di quartiere. Ci ha provato pure con i mercatini rionali, forte della solita “direttiva europea”, la Bolkestein della Commissione Prodi, che il Parlamento europeo (Popolari e Socialisti) provò per anni a bocciare. In ossequio a un qualche vangelo anglosassone – che invece scopriva, e tenta con difficoltà di crearsi, il fornitore all’angolo. A vantaggio delle Grandi Superfici, i centri commerciali dell’affarismo immobiliare, naturalmente vergine da corruzione. E pazienza se per fare la spesa dobbiamo farci ore in automobile – benché assolti in partenza: la protezione dell’ambiente è esclusiva di sinistra. Mentre sull’altro versante, la sinistra confessionale, Rosy Bindi s’illustrava per riprivitizzare la sanità, già feudo “bianco”, in mano agli amici e agli amici degli amici. Un disastro, non solo per la sinistra. Aveva cominciato Luigi Berlinguer col primo governo Prodi, poco meno di trent’ani fa, “rossi” e “bianchi” uniti nella lotta, con la privatizzazione dell’università.  

Più in generale un disastro, la sinistra al tempo del mercato - la medicina che si è data chiamandola  modernizzazione. Tra liberalizzazioni e privatizzazioni, cioè a favore di interessi monopolistici – è falso, è risaputo, che il mercato è egualizzatore ed è aperto, quello è il mercato regolato, il mercato senza più è di chi ha la bocca più grande.

 
Con la vittoria politica della destra in Italia non si ragiona più. Basterebbe ragionare che sono quarant’anni che la destra vince, quando la fanno governare. Ma se ci si pensa è peggio: cosa lo impedisce? Perché non si studia per quale motivo e in che modo Meloni vince dopo un lungo Berlusconi? È anche curioso che, oltre a Fazio e Annunziata, la sinistra non abbia santi – due che peraltro sono persone d’affari.
Si dice che la sinistra ha il monopolio culturale, ma non si vede in che cosa. Se non che alimenta la destra politica, la destra al potere. O non sarà questa destra un po’sinistra? Almeno come lo sono i media. Che in Italia sono tutta la “cultura”. Una volta c’erano gli intellettuali, ora niente, solo intrattenitori, televisivi e social – teatranti. Si parla di destra e sinistra, in verità, solo per stanchezza, una cosa rituale. L’unica riflessione è di Bobbio, risale al 1994, ed era inerte già allora. Ferma alla rivoluzione  francese, mentre la destra aveva stravinto in Italia. E con leadership di un Berlusconi – almeno Meloni ha esperienza politica. Dopo che la magistratura e il giornalismo “di sinistra” avevano abbattuto il sistema politico. Una riflessione ferma all’uguaglianza – che il fascismo ha probabilmente perseguito con più ampiezza  della Repubblica (certo, un passo dietro al sovietismo, che l’autocrazia realizzò totale: ci vuole molto potere per fare l’uguaglianza). Con indifferenza, non di proposito ma di fatto, da hobbesiano studioso di Hobbes, alla libertà, e alle pari opportunità, di classe, di genere, tra Nord e Sud - del mondo e dell’Italia. Fermo, anche nella terminologia, al parlamentarismo della prima Repubblica francese – e al suo parolaismo (tra cui proprio destra e sinistra, segmenti dell’emiciclo parlamentare).
Destra-sinistra è uno dei tanti cascami del gergo politico francese, che l’Italia ha adottato nell’Ottocento e di cui non si è mai liberata, né sotto il fascismo e neppure negli ormai ottant’anni della Repubblica. Nella fraseologia giuridica e politica, e in quella dell’informazione, nell’opinione pubblica.
 
Invano Popper e l’ultimo Croce della polemica con Einaudi (“non c’è liberalismo senza liberismo”) hanno spiegato che in una società aperta la maggiore libertà per un individuo e la maggiore libertà per tutti si stabilisce caso per caso, secondo la situazione del momento, a volte con una soluzione liberistica, a volte con una collettivistica - Croce usava proprio questa parola. Senza ricorrere a schieramenti fissi – tantomeno dichiarati, autoelettivi. La Pira, curiosamente, il sindaco più di sinistra che l’Italia abbia mai avuto, uomo pio, non parlava di destra e sinistra, ciò che professava e faceva chiamava “la cosa giusta”, al momento, nelle circostanze.
Quando aveva affrontato la libertà, scrivendone vent’anni prima (nelle voci “Eguaglianza” e “Libertà” scritte per l’“Enciclopedia del Novecento”, dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, pubblicate rispettivamente nei voll. II, 1977, e III, 1978). Bobbio ha mostrato che non solo la teneva anche in conto ma molte cose in materia le sapeva. Da studioso di Hobbes partiva anche  “dalla constatazione che gli uomini nello stato di natura sono eguali”. Ma, a differenza dei teorici dell’eguaglianza, trovava proprio nello stato di natura una delle cause del bellum omnium contra omnes. Bella e semplice, l’eguaglianza è inafferrabile. E Bobbio non sapeva nascondere l’irritazione¨ - erano anni in cui pencolava dal partito Socialista verso Berlinguer, il partito Comunista: l’eguaglianza è vuota, detto alla prima pagina, l’eguaglianza è vacua, è una petizione di principio in tutte le sue formulazioni, “a ciascuno il suo”, “la legge è uguale per tutti”, “a ciascuno secondo i suoi bisogni” (Marx). L’ineguaglianza è certo reazionaria, concludeva. Ma l’eguaglianza è una petizione di principio, va ogni volta riempita, sempre con la libertà.
La seconda voce, “Libertà”, trovava Bobbio a suo agio, pianamente didattico. La libertà gli bastava esporla: è una petizione di principio anch’essa, ma non problematica. A  disposizione di tutti, e senza controindicazioni. Non fino al “silentium legis” come Hobbes già configura. E tuttavia sempre operosa. Anche se il Novecento l’ha negata.

La seconda voce, “Libertà”, trovava Bobbio a suo agio, pianamente didattico. La libertà gli bastava esporla: è una petizione di principio anch’essa, ma non problematica. A  disposizione di tutti, e senza controindicazioni. Non fino al “silentium legis” come Hobbes già configura. E tuttavia sempre operosa. Anche se il Novecento l’ha negata.
La sintesi che Bobbio faceva mezzo secolo fa della libertà ferma da un secolo è tuttora applicabile. Con i tre problemi della non-libertà rimasti irrisolti, allora come oggi: “A livello economico il tema dell’alienazione di derivazione marxiana, a livello politico il tema della burocratizzazione (o razionalizzazione del potere legittimo nella forma del potere legale), di derivazione weberiana, a livello ideologico il tema della manipolazione dell’opinione attraverso le comunicazioni di massa, che ha avuto la sua prima e contestata formulazione nella teoria critica della Scuola di Francoforte”.
Un problema – i tre problemi – per tutti. Perfino per i fascisti, si direbbe. Bobbio infatti non prospettava a essi vie d’uscita. Ma purtroppo apriva un quarto fronte, che ora ci attanaglia, con la categoria della società civile.
Società civile Bobbio brevemente chiarisce come “organizzazione della produzione e dell’intera società” rispetto allo Stato - il leviatano del pensiero liberale. Ma fatalmente convergendo nello slogan di Scalfari e Berlinguer, che chiude in un impasse da mezzo secolo l’Italia - la società dei belli-e-buoni, esclusivi, spregiatori, i pataccari della questione morale.
La società “civile” è una contraddizione. E un’autoaffermazione. L’aggettivo ha indubbiamente una valenza positiva, e si spiega che un partito, o gli spezzoni della Dc e del Pci che se ne fanno bandiera, lo utilizzino e lo vantino. Ma: cui prodest? Tanta saccenza e tanta ignoranza.

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