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Courte maladie – È – era fino a qualche an fa
per conoscenza diretta – la causa di morte più frequente negli annunci mortuari
che si pubblicavano, numerosi, nei giornali locali nell’Africa occidentale ex
francese. Ora si trova in Simenon, nelle sparse corrispondenze che fece dell’Africa
nel 1932-33, dell’Africa occidentale, belga e francese – ma senza la menzione courte
maladie: frequenti casi di avvelenamento, attraverso pozioni di sciamano,
che invariabilmente finiscono in diarrea. Una sorta di colera ad individuum –
a Simenon l’Africa non piaceva, gli faceva paura, bianchi e neri (“negri”)
insieme, ma il fatto c’era.
T.S.Eliot - “Il poeta
fattosi londinese dal nativo Missouri” – Franco Ferrarotti, “1951: Oltre
l’Oceano”, 44.
Freud – “Nel
temperamento slavo come in quello ebraico – corrispondenza singolare – esiste
un vero e proprio gusto per la confessione più umiliante possibile”.
Corrispondenza non singolare per l’autore, Pierre Pachet, figlio di ebreo russo
francesizzato, nel racconto “Autobiografia di mio padre” – non singolare per
molti, anche ebrei non erranti. “Per alcuni dei miei vecchi compagni di studi”,
Pachet fa proseguire il padre, a Odessa, “ad esempio, la lettura di Dostoevskij
aveva agito come una specie di droga, come un siero della verità; ormai non
pensavano ad altro se non ad esibizioni deliziosamente mortificanti, a crimini
commessi per il piacere di doverli poi confessare, alla comunione più profonda
con l’anima bestiale del popolo. La psicoanalisi, per sua sfortuna, partecipa
di questa disposizione mentale”.
Guerra - Comincia col chiudersi,
nota indirettamente Pierre Pachet, letterato francese figlio di ebreo russo immigrato,
nella “Autobiografia di mio padre”, come la nave si libera della zavorra, in una
sintesi della storia della Francia nel 1939 che in Francia non si fa: “La Francia,
come una nave in balia delle onde, sembrava pronta a gettare in mare ogni cosa per
evitare il naufragio, innanzitutto gli stranieri, lo straniero: tutto poteva
essere sacrificato. La Spagna, la Cecoslovacchia, gli emigrati tedeschi,
l’odiosa Europa entrale, Danzica venivano lanciati in pasto agli squali”.
Natale – È dickensiano,
il Natale di Scrooge, può argomentare la pronipote Lucinda Dicjkens autrice di
un “Victorian Christmas”, a luigi Ippolito su “La Lettura”. Anzi vittoriano: “Allora
presero avvio i canti di Natale, o l’usanza dell’albero, introdotto dal principe
Albert, consorte della regina Vittoria”….. Molte cartoline natalizie han temi
vittoriani, le gente pensa sempre al Natale innevato come a quei tempi”, anche
se ora la neve è rara in città: “Manteniamo questa immagine del Natale
innevato, in gran parte dovuta proprio a Dickens”, e al “grande momento”
familiare, al “Canto di Natale”. A Scrooge, dunque. Indirettamente: “Dopo Dickens
il Natale è diventato di nuovo il momento della beneficenza”: donazioni,
concerti caritatevoli, pasti caldi, celebrativi e non.
Probabilmente è solo in Italia che si celebra ancora – ogni anno tra le resistenze
della “correzione” politica – nella forma come dice Niola, del presepe: “La
formalizzazione del presepe per come lo conosciamo avviene la notte del 24
dicembre 1223 a Greccio, in Sabina, regista il fraticello di Assisi” – è anche
vero, aggiunge l’antropologo, che “da quella prima Natività vivente discendono
simboli come contraddizioni di un’identità nazionale”.
Odessa – Un
focolare e una fucina ebraica brillante, la ricorda Pierre Pachet a inizio
Novecento nella “Autobiografia di mio padre” - p.19. Di una Russia ebraica: “A
Odessa si concentrava il fior fiore della gioventù giudaica, quei giovanotti
erano destinati a diventare capi rivoluzionari, o dirigenti sionisti, o grandi
artisti che avrebbero cambiato per sempre il mondo della pittura, del cinema,
della letteratura. In loro viveva la Russia: non si accontentavano più
dell’Yiddish, alcuni scrivevano in ebraico, tutti leggevano il russo e vi
scoprivano tesori”.
Adriano Olivetti – “L’uomo
che crede nelle idee” – Franco Ferrarotti, “1951: Oltre l’oceano” , 42, in
partenza per l’America”: “”Me ne vado. Lascio l’uomo che crede nelle idee,
atterrato dal primo infarto”.
Palabre – È in francese
discussione lunga – per lo più inconcludente – derivata dai conciliaboli o “assemblee”
di capi o altri eminenti delle tribù africane, per deliberare come tribunali,
in cause civili e penali, oppure su argomenti o interessi comunitari – un paio di
casi di palabres giudiziarie si trova in Simenon, “L’Africa che dicono misteriosa”.
La parola il Petit Robert fa derivare dal portoghese palavra, chiacchiera,
per lo più inconcludente.
Nella forma palaver la stessa parola portoghese è entrata nell’inglese,
attesta il Merriam-Webster. In questa forma fu adottata da Enzensberger nel
1967 per la raccolta di saggi politici sulla forma mediata della
comunicazione. Il libro fu famoso per ridicolizzare il “turismo della
rivoluzione” – tutti a Cuba. Ma il tema e il saggio principale era “Elementi
per una teoria dei media”: un’analisi preventiva dello sviluppo dei media elettronici
che ne rilevava il potenziale di condizionamento per fini occulti, di consumo, economico
o politico – in contrasto con la radiotherapie di Bertolt Brecht
mostrava con esempi di messaggi anonimi e dichiaratamente non politici fossero
in realtà pedagogici, per finalità occulte. Palabre come chiacchiera, ma
non senza conseguenze.
Panettone – Milano era “panettopoli”
già per Gadda, nota il linguista Antonelli su “7”. Ed è “tanto usuale a Milano
da non essere, per i milanesi, un dolce esclusivamente natalizio”. Antonelli può
citare una lettera di Manzoni al figlio Pietro, un 18 luglio del 1850, per chiedergli
“un panettone di tre o quattro libbre” -
lamentando anche che “ad Arona”, dove stava”, “con mia sorpresa, non se ne fa
altro che per il Natale”. La richiesta serviva per la moglie, Teresa Borri. Che
ne era ghiotta tanto da annotare, spiega Antonelli, “qualche anno prima nel suo
diario di essersi svegliata «bene panatonata», ovvero abbondantemente nutrita
di panettone a colazione”.
Vilfredo Pareto – “Il solitario
sociologo riparato a Cligny dopo la fuga della moglie con l’autista” - F.
Ferrarotti,”1951: Oltre l’oceano”, 19.
Rifugiati – “Per chi ama i
simboli, e la magia dei nomi, vale la pena di notare che l’inizio della guerra
coincise con la morte di due esiliati: Joyce in Svizzera, Freud in Inghilterra”,
Pierre Pachet, “Autobiografia di mio padre”, 54 –“due esiliati come tanti
altri”.
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