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giovedì 31 agosto 2023

Letture - 530

letterautore

Faust – È un romanzo, il “Faust” di Goethe: è la lettura che ne fa il cardinale Gianfranco Ravasi nel “Breviario” con cui apre il supplemento “Domenica” del “Sole 24 Ore”. A proposito dell’autoflagellazione con cui comincia il poema: “È sconfortante questa confessione che fa di sé il Faust di Goethe, nell’impressionante scena notturna con cui si apre, dopo il prologo, l’omonimo celebre romanzo”.
 
Gadda – Ma è biblico! La scoperta è del cardinale Ravasi, nel breve saggio “L’apocalisse si fa largo tra il dolore”, pubblicato sempre sul “Sole 24 Ore” domenica: “In molte sue opere affiorano simboli e figure bibliche, soprattutto i segni fiammeggianti dell’Apocalisse”.
In un articolo del 1940, su “Nuova Antologia”, Gadda celebra i Vangeli - “particolarmente i sinottici”, sono parole sue, “nella divina limpidezza della parabola: essi ci riportano alla verità del mondo morale,quasi incedendo verso la luce, sempre!”. In un racconto di “Accoppiamenti giudiziosi” esalta, altre parole sue, “la voce della bibbia, il più grande libro che sia mai stato scritto”.
Molta “Apocalisse” è in “Eros e Priapo”, citata e insieme glossata. Ritornante è la figura del Cristo, le cui parole sono da Gadda spesso citate – nel primo romanzo, “La meccanica”, il “sinite parvulos venire ad me” dice appello “detto dal primo socialista del mondo”.
Sulla “Cognizione del dolore”, lettura giovanile sulla quale il cardinale non sapeva orientarsi, ha casualmente, scrive, trovato la chiave in un saggio di poca diffusione, dal lui maneggiato da direttore della Biblioteca Ambrosiana, “La paralisi e lo spostamento”, di Rinaldo Rinaldi (Bastogi, Livorno, 1977). Un’analisi del romanzo “che giungeva a questo esito inatteso: «Un fitto reticolo di suggestioni evangeliche fa veramente sistema, tanto da poter parlare di struttura cristologica del romanzo»”. Rinaldi, junghiano, “traccia una mappa complessa”, avverte il cardinale, sulla quale poi arriva a identificare Gonzalo, il figlio, con tutti i suoi tormenti, in vario modo col Cristo. Ma, aggiunge, “sta di fatto che l’approdo terminale della vicenda di don Gonzalo ha un rimando al Consummatum est del Cristo crocifisso. Scrive infatti Gadda: «Tutto doveva continuare a svolgersi, e adempiersi: tutte le opere. E l’ora da una torre lontana sembrò significare: “Gli atti sono tutti adempiuti”»”.
 
Gioacchino da Fiore – “Con tutta la sua santità il povero Gioacchino non è mai stato santificato. Rimane solo un Beato. Forse c’era qualcosa di peccaminoso negli anni che trascorse alla corte siciliana”, Giuseppe “Pino” Orioli, “In viaggio”, 60.
Orioli, compagno di viaggi e di vita di Norman Douglas, era preclaro libraio antiquario a Firenze, nonché editore (degli angloamericani in Italia negli anni 1930). Visitando il convento di San Giovanni in Fiore, così continua: “Con me avevo un suo libro, Vaticinia sive Prophetiae (Venezia, Porrus, 1589). Non è un cattivo libro”, ha 34 incisioni, “abilmente eseguite”, la tradizione, una premessa di Pasqualino Regiselmo, la vita di Gioacchino scritta dal Barrio, ma, prosegue, “non sono mai stato capace di vendere questo libro, anche se nei miei cataloghi ha un prezzo basso: 7/s 6 d.”, sette scellini e sei pence.
 
Old Calabria – Il viaggio a piedi per la Calabria, da cui trarrà il suo classico “Old Calabria”, aprile-luglio 1911, Norman Douglas fece con Eric Wolton. Un ragazzo di tredici anni che aveva conosciuto pochi mesi prima, esattamente il 5 novembre 1910 – quando Douglas aveva 42 anni. Del ragazzo che l’accompagnava non c’è traccia in “Old Calabria”. Ma lo ricorda Giuseppe Orioli, il libraio-editore fiorentino nel racconto di viaggio in Calabria fatto con
 Douglas e altri due amici inglesi nel 1933. Lo fa ricordare allo stesso Douglas. A San Demetrio Corone, dove torna nella primavera del 1933 col suo nuovo compagno che è lo stesso Orioli, Norman Douglas si allontana un momento dalla strada del cimitero dove si stavano recando per “per guardare la casa dove alloggiò insieme a Eric per una settimana nel 1911. Era una grande casa isolata”.

Norman poi racconta a “Pino” che “la proprietaria, ora defunta, era singolarmente gentile con loro e dopo solo quattro giorni si affezionò così tanto ad Eric che voleva adottarlo”. Era molto ricca: “Possedeva la casa, pecore, bestiame, vigneti  e campi di granturco”. Vedova, “odiava i parenti che erano in vita, perché aspiravano solo ai suoi soldi. Era ansiosa di andare da un notaio e lasciare tutto a Eric, a patto che restasse con lei a San Demetrio fino a quando fosse morta”. Non era “una brutta prospettiva” per il ragazzo, commenta Douglas, ma lui “era molto affezionato a Eric” e non disse niente ai suoi genitori.
 
Pederastia – Sul caso di Norman Douglas e del giovanissimo Eric (v. sopra, “Old Calabria”), il quarantenne scrittore e il dodicenne che lo accompagna nella sue peregrinazioni per la Calabria, e su altri casi di pederastia di persone famose o comunque per un qualche motivo attraenti, senza violenza cioè, una forma di patologia è stata individuata, la Child Sexual Abuse Accomodation Syndrome, Csaas. Modellata specialmente sul caso di Norman Douglas, lo scrittore che vivrà nel dopoguerra tranquillamente a Capri, dove morirà (pare di buona morte procurata, per un male incurabile), ma prima della guerra subì processi e arresti, che evitò con la fuga.
La casistica erotica di Norman Douglas, che ricorda spesso quella di Pasolini, è analizzata e spiegata da Rachel Hope Cleeves, una storica americano-canadese, nel volume “Unspeakable”, molto dettagliato, che come sottotitolo recita: “A Life beyond Sexual Morality”.
Norman Douglas conobbe il ragazzo Eric, Eric Wolton, al Crystal Palace di Londra, luogo di divertimenti, il 5 novembre 1910, una festa popolare, di fuochi d’artificio. Se lo portò in Italia col consenso dei genitori. E in Italia nel lungo viaggio a piedi che poi raccontò in “Old Calabria”, il libro che gli diede la fama, dall’aprile al luglio del 1911. Poi Eric si fece la sua vita, da dipendente pubblico in varie parti dell’impero briotannico, ebbe dei figli, e rimase sempre grato a Douglas, per le tante occasioni che gli aveva offerto di “migliorarsi”. Porterà i figli a Capri, a conoscere Douglas, prima della morte dello scrittore.
Ma non solo di Eric, Norman Douglas ebbe la stima di molti influenti amici, Conrad dapprima, e poi Graham Greene, Aldous Huxley, Somerset Maugham, D.H.Lawrence a lungo (“L’amante di Lady Chatterley”, cui dovette la fama, fu pubblicato dal compagno di Douglas, Pino Oroli, nella Lungarno Series che editava a Firenze), E.M.Forster, Romaine Brooks... Praticava sesso di preferenza con i bambini, per sua stessa ammissione, centinaia di bambini e di bambine, tra i 10 e i 13 anni.
I fatti sono sempre stati noti. Prima dello studio di Cleeves, ne aveva parlato in dettaglio il biografo Mark Holloway, nel 1976, “His Norman Douglas. A Biography”.
L’attività erotica di N. Douglas fu specialmente profusa in Italia. Nel giugno del 1895 si era presa una licenza dall’ambasciata britannica a San Pietroburgo, dove lavorava, per visitare Lipari. Dove scoprì i veri costi della pomice, tenuti segreti dalla compagnia inglese che la sfruttava,  e le condizioni di produzione, con uso intensivo del lavoro infantile, e denunziò il tutto al Foreign Office – “la sola costa giusta che ho fatto in vita mia”. L’anno dopo, a novembre, si licenziava dal Foreign Office e comprava Villa Maya a Napoli, una enorme villa-castello, dove intrattenne un rapporto speciale con un quindicenne, Michele – meravigliato dell’approvazione e la riconoscenza che la famiglia del ragazzo gli portava, ricorda in “Looking back” (dedicato a Eric), e cita la madre in italiano: “L’avete svegliato”. Un Raffaele Amoroso, specializzato nella fornitura di “divertimenti amorosi”, fu il suo paraninfo a lungo. Una raccolta di lettere dei suoi vecchi-giovani amanti è stata pubblicata: Eric, René Mari, Marcel Mercier, Ettore Masciandaro, Emilio Papa, con foto, anche nude, dei corrispondenti da ragazzi. Nel 1910 dovette lasciare in fretta Londra per evitare un processo. Nel 1936 lasciò Firenze per sfuggire all’arresto, per un rapporto con una bambina. È stato anche sposato e ha avuto due figli, di cui nella causa di divorzio ottenne l’affidamento.    
 
Svevo-Joyce – Molte cose li univano, ma una soprattutto, è la scoperta di Mauro Covacich su “La Lettura” di domenica: una lingua appresa, non “naturale”, non familiare. Molto più di un’amicizia, questa comune esperienza linguistica. Entrambi scrivono in una lingua imparata, da adulti, non nativa: “È il vero collante sia della vicenda umana che dell’esperienza artistica dei due scrittori. Entrambi danno vita a opere memorabili scritte però in una lingua appresa. Svevo impara l’italiano sui libri e, come dichiara in molti luoghi, non ha modo di parlarlo quasi con nessuno (la lingua corrente a Trieste ancora oggi è il dialetto). Allo stesso modo, Joyce è un irlandese che rivendica un rapporto di estraneità con la lingua inglese (vedi «Il ritratto dell’artista da giovane»), anche lui l’ha imparata a scuola e finirà per insegnarla a stranieri, in terra straniera”.


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