letterautore
Biografie – Bisogna fare la tara del biografo,
prima di accedere al biografato, spiega Lauren Kane, slla “New York Review of
Books”, recensendone alcune – “Get a Life”Fatti una vita”. Spiegano le opere, ma anche no – sicuramente riflettono
l’autore, il biografo non il biografato. n
Bovary – È il prototipo
della “donna perduta” all’opera nel secondo Ottocento?
È il
tema di alcuni seminari di studio della
“New York Review of Books”, in particolare su “Lucia di Lammermoor” –
che però è molto anteriore a “Madame Bovary” – insieme con “La Traviata” e con “Madame
Butterfly”.
Céline – “Céline con le unghie sporche”, registra E.
Jünger a un certo punto dei diari parigini (“Irradiazioni”, p. 192: “Entro ora
in una fase nella quale la vista dei nichilisti mi diviene fisicamente
insopportabile”.
Qualche pagina prima ne registrava invece un’immagine positiva: “A sera da
Armance, che è inferma: si è ferita a un piede a casa di Céline. Mi ha
raccontato che questo autore, nonostante le sue grandi rendite, è sempre a
corto di denaro, poiché lo distribuisce completamente alle prostitute, che, con
tutte le loro malattie, ricorrono alle sue cure”.
Poco più in là, avendo conosciuto Céline personalmente, resta tramortito
dal suo feroce antisemitismo, aggressivo, che imponeva agli interlocutori. E
prndee a chiamarlo Merline, per poterne parlare male senza rischio di denunce
(se non che Céline essendosi querela contro la traduttrice in francese dei
diari, che al posto di Merline aveva addirittura scritto Céline, dopo la causa
anche Merline fu cambiato. Più tardi, in una lettera del 1994 (a Helmut
Krausser), Jünger confermò: “Merline”, personaggio sgradevole, era
Céline. In vari passi. Il più noto ricorre il 7 dicembre 1941, un pomeriggio
all’Istituto tedesco, Céline si dilunga con discorsi
“selvaggiamente antisemiti”:”Fra gli altri c’era Merline, grande, ossuto,
forte, un po’ goffo, vivace nella discussione, anzi nel monologo. È caratteristico
quel suo sguardo da maniaco introvertito, che riluce come dal fondo di una
caverna. Non guarda né più a sinistra né a destra: si ha l’impressione che
cammini incontro a una meta sconosciuta. «Io ho la morte sempre al mio fianco»,
e indica una sedia come se ci fosse seduto sopra un cagnolino. È sorpreso,
urtato di sentire che noi soldati non fuciliamo, non impicchiamo e non
sterminiamo gli ebrei; sorpreso che qualcuno, avendo una baionetta a
disposizione, non ne faccia un uso illimitato. «Se i bolscevichi fossero a
Parigi vi darebbero un esempio, vi mostrerebbero come si pettina la
popolazione, quartiere per quartiere, casa per casa. E avessi io la baionetta,
saprei cosa farne».
È qui che Jünger rivela che la Banine, la traduttrice dei diari in francese del
1951, detestando anche lei Céline, utilizzò il nome vero al posto dello
pseudonimo, per cui ci fu una causa per diffamazione contro Jünger. Il quale,
per mettere fuori bersaglio la sua amica intima Banine,
all’interrogatorio disse che si doveva essere trattato di un refuso.
Céline, se una cosa fu sempre, nella vita agitata e scombinata, prima e
dopo il Grande Romanzo, prima e dopo l’antisemitismo e il
collaborazionismo, fu il medico dei poveri. Il suo antisemitismo è dubbio che
sia stato filotedesco - era ferocemente anche anti-boche,
antitedesco, come combattente mutilato della Grande Guerra. Ma è possibile che
fosse invadente, perché fu feroce - come era nel suo stile di scrittura,
aggressivo - e costante. Per almeno quattro libelli. E della stessa tipologia
dei poveri suoi pazienti, sicuramente, dubitare e imprecare contro gli ebrei
erano discorso comune.
Risentito nella vita quotidiana, come un piccolo borghese qualsiasi - quelli di
"Morte a credito", che erroneamente si sottovaluta. Nel cui
armamentario rientrava l’abominio dell'ebreo, in quanto presunto soggetto di
privilegio. Con l’aggiunta del complottismo - dell’ebreo che trama guerre e
rivoluzioni. Una deriva da cui Céline era inizialmente esente - lo è anche nel
romanzo. Che però maturò col soggiorno a Mosca nel 1935 per godere dei diritti
d’autore del “Viaggio”, col libello “Mea culpa” – che Giovanni Raboni ha voluto
tradurre. Su cui ha concatenato la paura, in lui molto viva, quasi paranormale,
e motivata, della guerra imminente, e poi della guerra già perduta, nei tre
altri pamphlet, uno ogni due anni, “Bagattelle per un massacro”,
“La scuola dei cadaveri”, “Le belle bandiere” (o “La bella rogna”). Il
tutto innestandosi sull’esperienza dello stesso Céline medico alla Società
delle nazioni, funzionario dell’organizzazione della sanità, quella che poi
sarà l’Oms. Ed è questo il primo risentimento raccontato, ne “La chiesa” – in forma
drammatica perché Céline cullava l’illusione di farsi ricco col teatro. L’operetta
del 1926, sette anni prima del “Viaggio”, rifiutata dagli editori e dai teatranti,
è probabilmente il primo testo letterario del dottor Destouches, il futuro
Céline, nel 1926, contemporaneo al “Progresso”. Due abbozzi di commedia,
definiti dall’autore farse. Dove però non si ride, al più si ghigna: due testi
satirici. Uno contro il vizio del voyeurismo, suo proprio, dell’autore, e “La
chiesa” contro il carrierismo alle Nazioni Unite, all’insegna ipocrita della
pace e lo sviluppo, ambiente che il dottore conosceva per averci lavorato a più
riprese per un decennio (a quella che sarà l’Oms, l’organizzazione per la
sanità): “Il tema della farsa è esplicito: sollevare il velo sulle buone
intenzioni degli uomini chiamati a compiti di responsabilità negli organismi
internazionali che si occupano dello sviluppo e del progresso delle popolazioni
più indigenti”. La “farsa” ha, tra i luoghi comuni sulle massonerie, l’ebreo
cinico Yudenzweck (“la cosa ebraica”), uomo senza emozioni.
Ma, ecco il punto, quello di Céline non era un (ri)sentimento isolato. Su Yudenzweck
sembra ricalcato il Solal di tanti libri di Albert Cohen, anch’egli per qualche
tempo ginevrino, anch’eglig alla Società delle nazioni (all’Ilo,
l’organizzazione del lavoro).
Qualche pagina prima ne registrava invece un’immagine positiva: “A sera da Armance, che è inferma: si è ferita a un piede a casa di Céline. Mi ha raccontato che questo autore, nonostante le sue grandi rendite, è sempre a corto di denaro, poiché lo distribuisce completamente alle prostitute, che, con tutte le loro malattie, ricorrono alle sue cure”.
Poco più in là, avendo conosciuto Céline personalmente, resta tramortito dal suo feroce antisemitismo, aggressivo, che imponeva agli interlocutori. E prndee a chiamarlo Merline, per poterne parlare male senza rischio di denunce (se non che Céline essendosi querela contro la traduttrice in francese dei diari, che al posto di Merline aveva addirittura scritto Céline, dopo la causa anche Merline fu cambiato. Più tardi, in una lettera del 1994 (a Helmut Krausser), Jünger confermò: “Merline”, personaggio sgradevole, era Céline. In vari passi. Il più noto ricorre il 7 dicembre 1941, un pomeriggio all’Istituto tedesco, Céline si dilunga con discorsi “selvaggiamente antisemiti”:”Fra gli altri c’era Merline, grande, ossuto, forte, un po’ goffo, vivace nella discussione, anzi nel monologo. È caratteristico quel suo sguardo da maniaco introvertito, che riluce come dal fondo di una caverna. Non guarda né più a sinistra né a destra: si ha l’impressione che cammini incontro a una meta sconosciuta. «Io ho la morte sempre al mio fianco», e indica una sedia come se ci fosse seduto sopra un cagnolino. È sorpreso, urtato di sentire che noi soldati non fuciliamo, non impicchiamo e non sterminiamo gli ebrei; sorpreso che qualcuno, avendo una baionetta a disposizione, non ne faccia un uso illimitato. «Se i bolscevichi fossero a Parigi vi darebbero un esempio, vi mostrerebbero come si pettina la popolazione, quartiere per quartiere, casa per casa. E avessi io la baionetta, saprei cosa farne».
È qui che Jünger rivela che la Banine, la traduttrice dei diari in francese del 1951, detestando anche lei Céline, utilizzò il nome vero al posto dello pseudonimo, per cui ci fu una causa per diffamazione contro Jünger. Il quale, per mettere fuori bersaglio la sua amica intima Banine, all’interrogatorio disse che si doveva essere trattato di un refuso.
Céline, se una cosa fu sempre, nella vita agitata e scombinata, prima e dopo il Grande Romanzo, prima e dopo l’antisemitismo e il collaborazionismo, fu il medico dei poveri. Il suo antisemitismo è dubbio che sia stato filotedesco - era ferocemente anche anti-boche, antitedesco, come combattente mutilato della Grande Guerra. Ma è possibile che fosse invadente, perché fu feroce - come era nel suo stile di scrittura, aggressivo - e costante. Per almeno quattro libelli. E della stessa tipologia dei poveri suoi pazienti, sicuramente, dubitare e imprecare contro gli ebrei erano discorso comune.
Risentito nella vita quotidiana, come un piccolo borghese qualsiasi - quelli di "Morte a credito", che erroneamente si sottovaluta. Nel cui armamentario rientrava l’abominio dell'ebreo, in quanto presunto soggetto di privilegio. Con l’aggiunta del complottismo - dell’ebreo che trama guerre e rivoluzioni. Una deriva da cui Céline era inizialmente esente - lo è anche nel romanzo. Che però maturò col soggiorno a Mosca nel 1935 per godere dei diritti d’autore del “Viaggio”, col libello “Mea culpa” – che Giovanni Raboni ha voluto tradurre. Su cui ha concatenato la paura, in lui molto viva, quasi paranormale, e motivata, della guerra imminente, e poi della guerra già perduta, nei tre altri pamphlet, uno ogni due anni, “Bagattelle per un massacro”, “La scuola dei cadaveri”, “Le belle bandiere” (o “La bella rogna”). Il tutto innestandosi sull’esperienza dello stesso Céline medico alla Società delle nazioni, funzionario dell’organizzazione della sanità, quella che poi sarà l’Oms. Ed è questo il primo risentimento raccontato, ne “La chiesa” – in forma drammatica perché Céline cullava l’illusione di farsi ricco col teatro. L’operetta del 1926, sette anni prima del “Viaggio”, rifiutata dagli editori e dai teatranti, è probabilmente il primo testo letterario del dottor Destouches, il futuro Céline, nel 1926, contemporaneo al “Progresso”. Due abbozzi di commedia, definiti dall’autore farse. Dove però non si ride, al più si ghigna: due testi satirici. Uno contro il vizio del voyeurismo, suo proprio, dell’autore, e “La chiesa” contro il carrierismo alle Nazioni Unite, all’insegna ipocrita della pace e lo sviluppo, ambiente che il dottore conosceva per averci lavorato a più riprese per un decennio (a quella che sarà l’Oms, l’organizzazione per la sanità): “Il tema della farsa è esplicito: sollevare il velo sulle buone intenzioni degli uomini chiamati a compiti di responsabilità negli organismi internazionali che si occupano dello sviluppo e del progresso delle popolazioni più indigenti”. La “farsa” ha, tra i luoghi comuni sulle massonerie, l’ebreo cinico Yudenzweck (“la cosa ebraica”), uomo senza emozioni.
Dante – “Quanti libri su Dante possono
uscire in un trimestre?”, si chiede Boitani sornione (“Sole 24 Ore Domenica”
17 agosto). E si risponde: “Sembra ci siano periodi dell’anno in cui essi
planano con la stessa frequenza delle stelle cadenti attorno al 10 di agosto”.
A
proposito di “Dante e il mare”, di Donato Pirovano, e di
“La materia di Dante. Dante e la materia del mondo”, di Ambrogio Camozzi
Pistoja.
Filologia
– Serve alla creazione meglio degli stessi autori, che
spesso si confondono, e quasi sempre non sono organizzati – non mancando i motivi
per mentire. Gabriele Pedullà, “Domenica” del
“Sole 24 Ore” 17 agosto, lo spiega con un caso famoso, la poesia di Saba “A mia
moglie”. Recensendo
un’opera di ricostruzione filologica al poema dedicata, a opera di Stefano Carrai, il titolare di Letteratura alla
Normale di Pisa, “L’autografo di «A mia moglie»”, che dimostra tutto il contrario di quanto andava
dicendo Saba: “Per chi si interessa dei
segreti della creazione artistica le
carte e le ricerche dei filologi rimangono, a conti fatti, più affidabili degli
autori stessi”.
Saba ha
sempre sostenuto di avere composto la poesia “di getto”. Per esempio in “Storia
e cronistoria
del Canzoniere”: “Devo averla composta in uno stato di incoscienza, perché io, che quasi
tutto ricordo delle mie poesie, nulla ricordo della sua gestazione… Né la
poesia ebbe mai bisogno
di ritocchi e di varianti”.
Carrai ha invece rinvenuto tra le
carte di Saba cancellature, anche radicali, riscritture, e varianti (indecisioni), molte. Anche a
distanza di tempo. G. Pedullà è così portato a concludere: “Per chi si interessa ai segreti
della creazione artistica le carte e le ricerche dei filologi rimangono, a
conti fatti, più
affidabili degli autori stessi”.
L’autore è un fingitore – si direbbe con Pessoa, o
Tabucchi.
Principe Nero
- Sono tanti, nella storia e nella
fantasia. G. Greene, “Un americano tranquillo”,135), ha quello di Limoges –
quello “che ha massacrato tutte le donne e tutti i bambini di Limoges”.
Romanzo politico – “Viviamo in un
mondo politico”, per dirla con Bob Dylan (1989: “We live in a polical world\
Love don’t have any place\ We’re living in times\ Where men commit crimes” -nulla
di eccezionale, eccetto la rima times-crimes. E su questo tema la “NewYork
Review of Books” tiene una serie di seminari, uno a settimana, sugli autori che
meglio ne hanno fatto uso - “Stranger than fiction” è il filo conduttore:
narrazioni di date, personaggi, eventi irreali e normali, senza cadere nell’irreale,
utopico o distopico. Tra i primi autori studiati Conrad (“Cuore di tenebra”,
“L’agente segreto”, “Nostromo” ), H.G.Wells (“La macchina del tempo”, “L’isola
del Dr.Moreau”), Anthony Trollope e Ursula Le Guin (“The Dispossessed”).
Il
romanzo, in realtà, non è da secoli che vi si è adattato – forse già dalle “Lettere
persiane” di Montesquieu, dal “Candido” di Voltaire – perfino da Sterne, “Vita
e opinioni di Tristram Shandy”?
letterautore@antiit.eu
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