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L’inferno sotto l’Africa
“No Way Out. How South Africa’s
illegal gold rush became a subterranean horror story” è il sommario. Un anno fa
il governo sudafricano decise di stroncare il fenomeno degli zama-zama, i minatori contrabbandieri
che s’intrufolavano nelle miniere non ben custodite o in quelle abbandonate.
Con il blocco di una delle maggiori, Buffelsfontein, una miniera con 37 piani
di profonddità, circa un chilometro. Bloccandoil sistema di rifornimento, anche
questo di contrabbando, di generi di prima necessità, soprattutto cibo,
attraverso un saliscendi di cavi – che serviva anche come saliscendi, per
portare i minatori su e giù. “Tagliando i rifornimenti, la polizia puntava a
forzare i minatori a tornare uìn superficie. Ma bloccò anche le squadre
clandestine addette alle funi per riportare i minatori in superficie.E senza le funi, le vie d’uscita non erano facili.
La polizia obiettava che i minatori potevano muovevrsi sottoterra verso un
altro pozzo, da dove era possibile uscire, e che si rifiutavano di uscire perché
temevano l’arresto”.
Questo
succedeva ad agosto. “A fine novembre la polizia finalmente consentì ai residenti
di una township vicina di mandare giù un gancio. Ci vollero 20
uomini e cica 40 minuti per tirare su un minatore. Nel caldo estivo poterono
cavarne solo pochi al giorno”.
Un
reportage freddo, nel senso anche di
agghiacciante. “I rifornimenti erano troppo scarsi, i salvataggi troppo lenti.
Sottoterra si lottavano pet il cibo. E
morivano: alcuni di fame, altri di malattia, qualcuno per la cadute mentre tenttava
di risalitre in superficie. George e Alfred (due sopravvissuti, n.d.r.) dissero
che alcuni minatori cominciarono a mangiarsi i morti, scambiando tre grammi di
oro per un pezzo di carne”.
Sotto
forma di reportage piano, di
trascrizione di frasi dette, cose viste, atteggiamenti, minacce, salvataggi
casuali, in extremis, e di
descrizione di cose mentre avvengono, un racconto in diretta differita di una
tragedia “normale”: nessuno nel lunghissimo testo si pone il problema se gli zama zama
vivono o muoiono. “La maggior parte erano immigrati dal Mozambico, il Lesotho o
lo Zimbabwe. George e Alfred erano sudafricani. Per tutti quei mesi si erano
illusi che il loro governo non li avrebbe mai uccisi. Ora non ne erano più
sicuri”.
Non
detta, l’Africa delle indipendenze, da un mezzo secolo, vive di violenze di
ogni tipo, affarismi, improvvisazione, e morte, nell’indifferenza. Qui è
raccontata pianamanete, da cose-come-avvengono, per un pubblico evidentemente
che sa cosa è e fa l’Africa, come è evidentemente quello del periodico “culturale”
dell’“Economist”. Impressionante in Italia, dove dell’Africa si è persa perfino
la conoscenza geografica, sulla carta appesa al muro – quella dell’hic sunt leones, che invece sono
anch’essi perseguitati (le “riserve naturali” non piacciono a gran parte
dell’Africa).
Liam Taylor, Hell under Earth, “The Economist 1843”, 26 luglio
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