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mercoledì 28 luglio 2021

Se la mamma vuole morire

Una cerimonia degli addii attualizzata, completa di figlia lesbica ma non del tutto, della propria eutanasia cui la madre convita la famiglia, figlie, genero, nipote, che sarà praticata dal padre medico, senza mozione degli affetti se non sporadica, con molte discussioni del pro e del contro, se conviene vivere e come e fino a quando. Rifacimento di un film danese, da cui forse eredita il taglio ibseniano.
In questa edizione si avvale di Susan Sarandon, la madre, e di una speciale Kate Winslet, che s’imbruttisce per fare la figlia maggiore, che tutto sa e (non) decide. Non bastano a farne un film epocale, com’era nelle intenzioni, ma un ottimo documento sì – quali erano i “pensieri” prima del coronavirus. Più che un caso umano questa mamma che vuole morire è una che ha sempre fatto quello che ha voluto.    
Roger Michell,
Blackbird, l’ultimo abbraccio, Sky Cinema

martedì 27 luglio 2021

Problemi di base filiali - 651

spock

I genitori fanno i figli, i figli non possono fare i genitori, che giustizia è?
 
I genitori danno ai figli anche il nome, come agli schiavi?
 
Non solo non si possono scegliere i genitori, ma bisogna convivere con loro obbligatoriamente, è proprio una schiavitù?
 
E senza affrancamento possibile?
 
Basta ora anche un solo genitore per fare i figli, in proprio o in affitto?
 
Ma i figli non possono fare un genitore – nemmeno in affitto?
 
Ci vorrà una guerra civile familiare, mondiale?

spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – nere (131)

Simone Biles, la ginnasta che oggi ha dichiarato forfait a Tokyo, è celebrata in America come la più grande atleta di tutti i tempi. Si è distinta presentando numeri di tale difficoltà che anche finire fuori quadrato non ne pregiudicava le vittorie.
La Corte Costituzionale è stata investita d’urgenza da una New York State Rifle and Pistol Association contro le norme dello stato di New York che richiedono il porto d’armi - una licenza  per l’acquisto e il porto delle armi automatiche, pistole comprese. La Rifle and Pistol Association è animata da avvocati progressisti. Il caso che l’associazione è riuscita a portare alla Corte Costituzionale, in quanto violerebbe il secondo Emendamento, prospetta un’esigenza di difesa di cittadini neri in una comunità urbana a prevalenza nera. Il porto d’armi, solitamente concesso per la caccia e il tiro a segno, o in casi specifici a difesa da minacce specifiche, è stato negato a due richiedenti per difesa personale, dopo una serie di ruberie nel loro quartiere.
La Corte Costituzionale deve tornare a decidere sulla “affirmative action”, la riserva di posti – nel caso specifico nelle università – a richiedenti neri. È il primo caso che i querelanti riescono a portare alla Corte Costituzionale che riguarda una università privata, Harvard. In precedenza la Corte ha deciso in sei casi riguardanti università pubbliche, sempre riconoscendo la costituzionalità della “affirmative action”, ma quasi sempre con decisione di stretta misura, 5-4. Il caso di Harvard si presenta più divisivo poiché è portato avanti non da studenti bianchi rifiutati ma da asiatici.

L’esilio è un’altra vita

“In questa vita non serve molto\ al vagabondo, al pellegrino, a me,\ non abbiamo nostalgia di una patria\ e di pentole sul fuoco”. Emigrazione vuol dire nostalgia. Non per la giovane Nina Berberova,  che è sì russa, e in esilio, ma non sta a piangere sul latte versato: ha le idee chiare da subito,  come il quasi coetaneo Nabokov, e sarà con lui – che a Berberova dovrà il primo riconoscimento - una narratrice russa con un occhio sul mondo, non confinato alla Russia. L’esilio di Camus, sia pure volontario, è “la vita secca, delle anime morte: per rivivere, ci vuole una grazia, l’oblio di sé o una patria”.
Calusio correda la traduzione con un’ottima inquadratura, biografica e critica, dell’esule che non si voleva esule. Non legata a un passato comunque impossibile, e sempre attiva e innovativa, nella narrativa e nella saggistica. Impegnata, questo sì, per gli esuli russi (“a Billancourt diecimila russi costruiscono le automobili Renault”), col marito, il poeta russo eminente (“il più grande poeta russo che finora il Novecento abbia prodotto” per Nabokov, 1962) Chodasevič, al quale dedicherà la raccolta del 1984. Malgrado ogni sorta di difficoltà. Per tre anni vissero mantenuti da Gor’kij, a Saarow, le terme di Berlino, Marienbad, Sorrento, Capri. Per un breve periodo, a fine 1923, si trasferirono a Praga, dove la Repubblica neonata aveva promosso una “azione di soccorso ai russi”. La coppia si stabilì quindi a Parigi, per venticinque anni, fino al 1950 - Chodasevic vi morì, rimpianto,  nel 1939. Collaborando a periodici e pubblicazioni russe. E poi in America, dove Nina si risposerà e vivrà insegnando, a Yale e Princeton, e scrivendo i racconti lunghi, povesti, che si continuano a rieditare. Tornerà in Russia, con qualche trasporto, poco prima della caduta del sovietismo ma con le crepe molto in vista – ma più da turista, con osservazioni intelligenti, non offuscate dalla malinconia. 

Una vita tutto sommato felice. Per la forza della poesia: “Non è forse così tranquillo\ il volo giambico dell’anima\ perché intorno a lei il mondo\ è disarmonico, da secoli, da anni?”. Lo ha detto subito, in una composizione del 1924: “Lo dico: non sono in esilio,\ non cerco strade terrestri,\ non sono in esilio, sono in missione,\ mi è facile vivere tra la gente”.
Anche se deve pagare pegno: “Per la vita perduta volevo amare,\ per la vita perduta mi è impossibile amare”. Felice col marito. La curatrice riporta un ritratto cattivo che che un letterato russo a Berlino, che la coppia frequentava nel 1923, ne ha fatto nelle memorie, come se riportasse una lamentela del marito. Ma furono una bella coppia - wikipedia inglese la illustra con una foto a Capri nel 1925. Una poesia comunque della memoria. Già in questo primo libro, dei primi anni. Nel rapporto col poeta illustre: “Sì, le nostre vite erano dissimili.\ Il mio ardore per il tuo freddo,\ la tua ira in cambio di tenerezza e tentazioni”.
In originale, con la traduzione di Maurizia Calusio, una scelta di Mario Luzi, dal primo libro, “Poesie 1923-1933”, della raccolta che Berberova si decise a fare delle sue poesie tardi, nel 1984. L’unica pubblicata, con una selezione severa di tutti i suoi componimenti, da quando era adolescente, solo un’ottantina di composizioni.
Nina Berberova, Antologia personale, Passigli, remainders, pp. 113 € 4,95

lunedì 26 luglio 2021

Letture - 463

letterautore

Amori – I poeti lo fanno strano? Montale, il poeta di Dora Markus, Liuba che parte, “Clizia” (Irma Brandeis), Esterina, Arletta, ci provava con tutte, assicura Rosellina Archinto a Scorranese sul
“Corriere della sera”: “Si innamorava un giorno sì e uno no”. Quando, aggiunge, “ho cominciato a pubblicare le sue lettere mi sono cadute le braccia: gli piacevano tutte”.
Savinio, attesta ancora Archinto, che ne ha avuto in mano l
’epistolario specifico, “l’epistolario più bello”, che però la figlia di Savinio, Angelica, assolutamente non volle si pubblicasse, ebbe una relazione segreta “con una signora di Trieste”: "Niente di sconcio, lui prendeva il treno da Roma, lei dalla sua città e si incontravano alla Stazione di Milano. Si sedevano su una panchina e parlavano. Così per anni, una volta al mese”. 

Dante – È Proust. Cioè, Proust è Dante. Piperno rilancia su “La Lettura” del 4 luglio il parallelo che, “con l’imbarazzo del filologo e l’audacia del letterato di grido”, Gianfranco Continì aveva proposto fra la “Commedia” e la “Ricerca”. Per via del narratore che è l’autore.
Piperno aggiunge: è per la presenza nella “Commedia” e nella “Ricerca” del Sapiente, “l’incrocio tta il filosofo e il moralista”, in quanto “fonti inesauribili di saggezza introspettiva”. E allora Dante e Proust sono “in questo almeno assimilabili a Shakespeare”. E la triade è conchiusa.
Proust non ci avrebbe mai pensato. A Dante, Ma nemmeno a Shakespeare – lui andava in superficie. Amava le chiese, ma da esteta.
 
Non sarà a rischio proscrizione per delitto di genere? Neri Marcoré ha contato per un suo spettacolo i personaggi della “Divina Commedia” per genere, e ha trovato poche donne: “Le donne nella ‘Commedia’ sono 42, contro circa 500 uomini”.
 
La “Commedia” in volgare, perché no? Cioè in un dialetto di oggi. L’operazione sarebbe stata già del Seicento, con una riscrittura in siciliano, scrive
  Maurizio Porro su “La Lettura” dell’11 luglio: “Seguita da molte altre, una calabrese. l’intero ‘Paradiso’, due veneziane e tre napoletane del Settecento in versi”., Nell’Ottocento “una meneghina, oltre al Porta, e in friulano e in bolognese”. Di Carlo Porta ventisettenne si recupera  ora “L’Inferno di Dante riscritto in milanese”.
 
È l’intellettuale per eccellenza, il primo e il più “completo” – equilibrato, coerente. Nella “Commedia” oltre che nei trattati. Onnivoro: curioso e versato su ogni aspetto, linguistica, metrica, poetica, storia, filosofia, teologia, geografia, storia della letteratura, e anche, pare, matematica e fisica. Capace anche, non superficiale, anzi il più attento e approfondito: sa tutto quello che si può sapere, e sa anche “criticarlo”, valutarlo. Con la stessa certezza dell’intellettuale. Che si vuole guida del popolo – dei perplessi e degli incerti.
 
Capossela porta in giro una “Bestiale Commedia” come  “concerto dantesco”. Per una “compagnia”, dice, che lo ha sempre accompagnato, dacché ha ricordi. Anche se, inzialmente, “per miti interposti”. Il suo primo mito è stato “il dannato, il bohémien, il distillatore di bellezza Amedeo Modigliani”, e “Modigliani sgranava come un rosario ebbro i versi di Dante a memoria”. Lo stesso ha provato Capossela, ricavandone “la più sublime forma di preghiera umanistica”: “Una esperienza di spiritualità, che nella ripetizione conduce a una specie di trance”.
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Europa
– Rumiz, dopo averla ridotta a terra del tramonto (v. “Letture”, n. 462), così se la fa spiegare, nello stesso “È Oriente”, 65, da Václav Havel, il drammaturgo, ex presidente della
Repubblica Ceca: “Questo è il luogo dove le identità si addensano, e non hanno alternativa fra la guerra e la coabitazione, fra l’autodistruggersi e l’essere spazio di unitario di spirito e di civiltà.
L’Europa è un arcipelago, con le diversità interrelate al punto che  l’assenza di una sola di esse provocherebbe un crollo globale”. Lui che da presidente ha subito la divisione della Cecoslovacchia. E ancora – più di tutto: “Uno stomaco capace di digerire popoli e culture, senza farne mai un meticciato informe”.
 
Hamsun – Un umorista, secondo Thomas Mann. Conversando a Parigi (“Resoconto parigino”, 39) con la padrona di casa a un pranzo in suo onore, una signora norvegese, Mann  ricorda una massima di Goethe che si appuntò da giovane tanto gli era sembrata peculiare, che a proposito di “un artista italiano” ha scritto in “Poesia e verità”: “Un umorista, quindi non un uomo di prim’ordine”. Per poi dire Hamsun un umorista : “Knut Hamsun, il maggiore scrittore vivente, è stato un umorista lungo tutta la sua carriera, da ‘Fame’ sino a ‘L’ultimo capitolo’”.
 
Montanelli - Giancarlo Mazzuca celebra, col fratello Alberto, Montanelli, presentando il loro libro sui quotidiani del gruppo QN con l’aneddotica su Churchill – “Churchill mi disse, Churchill mi ha confidato, etc.”. Cioè il lato montanelliano di Montanelli, insopportabile - quello dei “ritratti”, del verosimile non vero, e sempre Indrocentrico.
 
Pacifismo massonico – Thomas Mann ha a Parigi (“Resoconto parigino”, 118), all’improvviso, dopo una conversazione con Koudenhove, che ammira, “il pacifismo massonico dei congressi”. Le assise pacifiste internazionali che precedettero la Grande Guerra, ad Amsterdam e altrove. Senza dichiararsi:  “Il pacifismo massonico dei Congressi (qui il traduttore doveva lasciare la maiuscola, n.d.r.) non può più essere considerato depositario della Verità”.
 
Pannonia – Paolo Rumiz va alla ricerca, nei testi raccolti in “È Oriente”, della Pannonia. Testi di geografie politiche inestricabili, commistioni di lingue e linguaggi, diversità anche radicali entro gruppi piccoli e minimi, geografie sociopolitiche e anche culturali fratte, intricate, spesso ostili. Reduce dallo choc Jugoslavia, degli odi di ogni tipo, etnici per lo più, ma anche religiosi, politici, sociali, Rumiz ne trova quello fondamentale tra montanari e gente di pianura. E sembra cercare come Pannonia un’entità unificante, dopo tanto frazionismo, cruento, micidiale-cruento. Riportando il nome alla radice indoeuropea “pen”, palude, acquitrino. Applicabile allora alle vaste zone paludose attorno al Danubio e alla Sava.  
È termine latino, che piace  ricondurre allo slavo pan¸ uomo: un luogo delle genti. Di tribù indistinte: di poco conto e mescolate inestricabilmente. 

Russia – “Dì, ricordi la Russia”, si dice Nina Berberova tornando in patria dopo sessant’anni, “sulle rive dei suoi otto mari\ accerchiata da pesanti navi?”. Lo Stato continentale più grande del mondo, di gran lunga, si sente accerchiato. È questa, si può dire, la verità politica della Russia – di ogni Russia, zarista, sovietica, putiniana.

Vagabondaggio - A lungo appaiato con l’ambientalismo, con la “natura”.  Gli scrittori della natura, Jack London, Knut Hamsum praticano e lodano il vagabondaggio. Ancora di rito dopo la guerra, p.es. con Kerouac. Rifacendosi, direttamente e non, a Thoreau e Whitman. Che però praticavano un vagabondaggio organizzato, programmato. .
Rumiz ne fa la condizione dello scrivere, della scrittura. Partendo per una delle sue randonnées nella (sua) mitica Pannonia, nei testi accolti in “È Oriente”, si pone il quesito: “Mi chiedo se il narrare non nasca dall’andare”.
La cosa si potrebbe pensare anche in forma stanziale. Sagari non è il solo, tra gli scrittori di avventure, a non essere mai uscito dalla sua città. Però ci vuole un atlante, anche fantastico.

letterautore@antiit.eu

Camus si diverte

Un ingegnere che è in realtà un Capitano marittimo reduce da un naufragio, una diga (forse) da costruire, dono del governo francese al paese africano, siamo in Africa, una festa di possessione, la festa in chiesa con gli ex voto, una pietra enorme da trasportare sulle spalle, di cui l’Ingegnere si fa infine carico, il tropico asfissiante. Un Camus esotico (in Francia ancora si può, qui ci sono ancora i neri, e perfino i negretti), narratore puro.
Due racconti estratti dalla raccolta “L’esilio e il regno”, “L’exil et le royaume”. Il racconto del titolo è dell’artista al lavoro, in casa, e quindi dell’opera d’arte rimandata: la moglie è affettuosa, i figli crescono, gli amici s’installano, gli spazi si restringono, il tempo manca, qualche pennellata  si può dare, ma vaga. Alla fine, sulla tela bianca, una parola qualcuno legge, scarabocchiata, forse “solitaire”, solitario, forse “solidaire”, solidale. Dell’artista che non vuole dispiacere a nessuno, compresi i critici, anche se vieppiù perplessi.
Un Camus umorista. Anche in Africa – seppure oggi scorretto, e anzi forse impubblicabile. L’Africa è sempre “profonda”, come usava dire, grandi fiumi grigi, umidità, personaggi, usi e natura inaccessibili – l’esotismo era l’inaccessibilità, anche delle donne. Ma non per Camus, che conosce la cosa. Il Tropico, “La pierre qui pousse”, è afrore, e stanchezza. Il fiume scorre “monotono”. Il gergo locale fose non è evocativo, magmatico, esorcistico, forse è solo limitato, ripetitivo per non sapere come altro dire..
Albert Camus, Jonas ou l’artiste au travail, Folio, pp. 120 € 2

domenica 25 luglio 2021

Ombre - 571

Vinca inaugura oggi il restauro della Via dei Tedeschi. Realizzato dal Cai, dal Comune di Fivizzano, di cui Vinca è frazione, e dal Parco delle Apuane. È la strada costruita dagli abitanti del piccolo borgo apuano durante l’occupazione, per consentire l’approvvigionamento della Linea Gotica. Una costruzione, si dice, che permise agli abitanti di sfamarsi, lavorando in cambio di un pezzo di pane.
Vinca fu vittima di una rappresaglia di più giorni, da parte del “monco” Walter Reder, quello che poi si illustrerà a Marzabotto, con 142 vittime. Tutti quelli che Reder riuscì a scovare in più giorni di rastrellamenti, durante i quali fece bruciare a più riprese il paese.
 
“Manifestazioni da Aosta a Palermo contro il green pass”. Ma quanti sono i no vax di cui ci ingombrano le cronache? Qualche milione? Centinaia di migliaia? Decine di migliaia? No, mille, duemila per piazza. E  ora che negli Stati Uniti le destre fomentano la vaccinazione, rischiano di restare soli.
 
“Manifestazione contro il green pass obbligatorio: a Roma un migliaio di persone in piazza del Popolo”, che ne contiene 200 mila – “Il Tempo”, cioè Giorgia Meloni.
“Il Messaggero” invece, da sinistra, dice tremila: gioca a farci paura?
 
Narra l’inenarrabile Ferrarella, il rappresentante di commercio della Procura di Milano al “Corriere della sera”, in difesa del suo beniamino procuratore Storari, di quando ebbe notizia che una donna in un’auto bianca aveva consegnato al “Fatto quotidiano” le carte della loggia segreta Ungheria: “Solo pochi giorni dopo la venuta del giornalista” (del “Fatto”, n.d.r.) la GdF aveva ricevuto proprio dal pm Storari l’incarico di acquisire” tabulati, telecamere e “l’elenco di targhe di auto bianche a Roma”.
 
“Tre milioni di italiani rinunciano alle vacanze per paura del covid”,  calcola Confcommercio. “Il green pass devasta l’economia”, dichiara lo stesso giorno Giorgia Meloni.
Lo dichiara alla Versiliana, luogo d’incontri estivi a Marina di Pietrasanta. Per un pubblico talmente numeroso che si è dovuto cercare una sede più vasta. 
 
Dobbiamo dunque a Renzi – a Davide Serra, il suo amico finanziere? – nel libro ora annuale con il quale “si toglie i sassolini”, la notizia che la Rcs, l’editrice di Urbano Cairo, è sotto scacco del fondo Blackstone, dopo avere perduto la causa per la vendita della sede storica del quotidiano. Blackstone pretende da Rcs 600 milioni di danni. Causa di cui gli azionisti Rcs non sanno nulla dai prospetti, e contro la quale non c’è in bilancio alcun accantonamento conservativo.
 
Non si smentisce il Csm nel boicottaggio della riforma della Giustizia Draghi-Cartabia. Con un parere negativo non richiesto, e non deliberato, ma comunicato ai media. Solo che, questa volta, pare che la presidenza non sia onoraria: presidente del Csm è il presidente della Repubblica, e Mattarella ha zittito le voci.
Nel Csm, non si dice per patriottismo, ma si annida tutto il marcio della magistratura. Non da ora,  molto prima di Palamara.
 
La legge Zan? “Un’arma di distruzione di massa”: esagera Marco Rizzo, il capo del residuo partito Comunista, con Carmine Saviano sul “Venerdì di Repubblica”? Sul fatto “bastava aggiungere una riga alla legge Mancini”. Perché allora il ddl Zan? “Ti affidi ai diritti civili solo perché non puoi dire nulla sui diritti sociali”.
 
Una decina di arbitri di calcio di prima categoria truccava le note spese. E speriamo solo quelle.
 
Il ministro del Lavoro Orlando fa il viso dell’armi agli industriali che volevano la ripresa dell’attività in sicurezza, con i vaccini. Fare il viso dell’arme all’industriale è ancora il marchio  di fabbrica della sinistra? Cioè, Orlando è di sinistra, uno che espone i lavoratori ai no vax, ai neghittosi, e ai menefreghisti?
 
Un governo di larghe intese, insomma di unità nazionale, non sa decidersi di imporre il vaccino a categorie che lavorano a contatto con il pubblico: gli insegnanti, i sanitari, i commessi, i camerieri, i cuochi, eccetera. Anche se la Costituzione lo impone – imporrebbe, la Costituzione, come si sa, è opinabile.
 
Agli europei di pallamano su spiaggia le nazionali norvegesi si rifiutano di indossare il bikini regolamentare e indossano i pantaloncini. A maggio le giocatrici tedesche di beach volley Karla Boger e Julia Sud hanno minacciato di non giocare in Qatar, dove la federazione locale pretendeva i pantaloncini. È l’unione delle razze, le norvegesi qatariote?
 
Maria Chiara Carrozza, già ministra di Letta, da Letta messa a capo del Cnr, chiama subito alla direzione generale un altro Dc di stretta osservanza, il direttore generale di Roma Tor Vergata – la vecchia risposta di Andreotti alla Sapienza che votava rettori Ruberti e Tecce, di sinistra. La ricerca è Dc pura e dura – l’energia invece (Eni, Enel)) pure, ma alla Renzi, con aperture.
 
Social changes, organizzazione americana riconducibile al partito Democratico, ha finanziato nel 2019 le campagne elettorali anche in Italia, alle Europpe e alle Regioali. Ma due su tre dei candidati che ha sponsorizzato non sono stati eletti: un patrocinio a perdere?
 
Esce nel silenzio compatto – con la sola eccezione del “Corriere della sera” - il libro denuncia del professor Donati, specialista di doping atletico, 400 pagine, sulla trappola tesa ad Alex Schwazer dalla Wada, oggi World Athletics, per escluderlo dall’Olimpiade brasiliana. Un intrigo condannato già in Tribunale, che Donati fa risalire agli interessi (cinesi?) dentro la Wolrd Athletics. La purezza nello sport ha un costo.
 
Pogacar per contro vince il Tour “volando”, con prestazioni che non hanno nulla di “umano”, di valori muscolari, respiratori, di peso, di agilità, riscontrabili, misurabili. Come già l’americano Armstonrg vent’anni prima, che vinse  nove Tour di fila sempre drogandosi.
Si sa ma non si interviene: bisogna creare il campione, che ispiri le folle per qualche anno, poi, quando se ne sarà trovato un altro, si può sempre procedere contro il precedente, come con Armstrong.

Pogacar che non è una novità.  Nel Tour precedente aveva girato nelle quattro tappe di montagna più velocemente di ogni altro campione nella storia – tutt’e quattro le tappe e le montagne a velocità record.
 
Il calciatore brasiliano Léo Sena, in forza allo Spezia, no vax, insieme con un altro compagno di squadra, brasiliano anche lui, positivo, ha infettato mezza squadra e tutto lo spogliatoio tecnico della squadra ligure. Il danno è milionario – in termini di ritardata preparazione, con conseguente difficoltà in campionato e probabile retrocessione.
Ma il calcio non è gioco di squadra? Sotto la forma della libertà di giudizio, il virus ha infettato la libertà di comprendonio.
 
Malan, senatore valdese, lamenta che la protesta dei vescovi sulla legge Zan sulla base del concordato Italia-Santa Sede sia rimasta inascoltata. Tacciono i cattolici, i tanti al governo. Sono per l’aumme-aumme?
 
La Uefa multa lo Spezia per quasi mezzo milione, e ne inibisce il mercato per due anni. Per lo stesso problema, compravendite al di fuori del fair-play finanziario, ha multato il miliardario Manchester City per tre-quattrocentomila euro. Il City è di proprietà di uno degli sceicchi arabi con i quali il presidente della stessa Uefa, Ceferin, è in affari, milionari.

Cronache dell’altro mondo (130)

A Vienna da qualche tempo come già a Cuba, si avvertono nell’ambasciata americana “attacchi acustici”. All’udito. Il bersaglio è il cervelletto. A Cuba da una dozzaina d’anni ormai. Il malessere che colpisce i funzionari dell’ambasciata punterebbe a offuscarne il cervelletto. Si presume, non si sa – la Cia e la dozzina di altre agenzie americane di intelligence non ne sono venute a capo.
Le truppe Usa non hanno ancora lasciato l’Afghanistan, non del tutto, che il primo loro interprete è stato decapitato. Più che forze di liberazione, quelle Usa sono, come già in Vietnam, forze d condanna.
Il presidente Biden, che pure non ne ha sbagliata una, nel primo semestre di governo, è in perdita di consensi, e ora raccoglie meno approvazione dei suoi due predecessori: Obama a luglio 2013 era al 55 per cento dei consensi, Trump a luglio del 2017 al 52. Biden è al 51 per una rilevazione (Rasmussen), al 50 per un’altra (Gallup). Quel che è peggio, ha un alto indice di non gradimento, il 45 per cento, gli indecisi o non informati sono pochi. Biden non è giovanile, questo il suo principale problema. Insieme col Bif  Bipartisan Infrastructure Network, da 1.200 miliardi, per energia pulita e infrastrutture: la politica bi-partisan è poco gradita, il paese è diviso.

Si può votare anche in chiesa (“Souls to the Polls”), anche prma del giorno delle elezioni, solitamente la domenica prima del martedì elettorale, in Florida a partire dagli anni 1990, e poi in Georgia, Texas e altrove. Non propriamente in chiesa, ma le chiese delle congreazioni nere, metodiste, episcopaliane, eccetera, organizzano carovane elettorali dopo il servizio religioso  domenicale. Con effetto pare incisivo sulla mobilitazione elettorale.
Obama al secondo mandato, nel 2012, ottenne il 66,6 per cento degli aventi diritto al voto  afroamericani – si recarono a votare cioè i due terzi degli afroamericani aventi diritto. Un punto percentuale in più degli aventi diritto banchi.

Il ritratto del potere dei Medici

Una mostra rara per il pubblico americano, con Raffaello, Bronzino, Pontormo, Cellini, Tiziano in prestito da Firenze (Uffizi, Pitti, Palazzo Vechio), Palazzo Reale di Pisa, Praga, Fondazione Cini, e anche alcuni pezzi di collezionisti americani. Il filo della mostra è semplice, la politica di Cosimo dei Medici. Come i Medici, tornati al potere sulle imperizie e le disavventure repubblicane, hanno consolidato il potere trasformandolo in principato, sostanzialmente con la sola “invenzione” di Cosimo – Cosimo I: attraverso la cultura. Riprendendo il disegno di Lorenzo il Magnifico nel Quattrocento. Ma con alleanze, parentele, commissioni, esibizioni di ricchezza, se non di potenza. Con Cosimo primo granduca e Caterina regina di Francia.
Un assunto noto, ma con un itinerario curioso: riletto e mostrato attraverso uan serie di ritratti. La politica matrimoniale con la corte di Francia, per esempio, nel ritratto commissionato a Raffaello, in abiti “franciosi”, che Lorenzo de’ Medici manda a Franceso I. O il ritratto di Cosimo come Orfeo, opera del Bronzino - il primo della serie di ritratti di Cosimo e famiglia dello stesso pittore  - del Philadelphia Museum of Art: Cosimo nudo, in mano uno strumento, con Cerbero muto sullo sfondo, il pacificatore. E così via.   
Ilpodcast della mostra è specialmente interessante perché si ascoltano nozioni disusate o anche ignote su questo o quel ritratto, sulla committenza (l’abbigliamento, la posa, i colori, etc.), l’uso, in ragione di intenti politici specifici. In aggiunta al loro valore pittorico.
Keith Christiansen-Carlo Falciani,
The Medici: Portraits&Politics. 1512-1570, New York, Metropolitan Mseum of Art, online

sabato 24 luglio 2021

Problemi di base paraleghisti - 650

spock
Perché non ammettere una evoluzione  delle cose: che un’arma si armi da sola, punti, e spari?
 
Ci sono molti lombardi a Roma, anche fuori del Parlamento, non ci sono praticamente romani in Lombardia, c’è un motivo?
 
Che ha fatto Salvini di buono, a parte espellersi dal governo, dire viete giaculatorie, andare a Mosca in udienza da Putin, che non lo ha ricevuto, ed espellere la  destra dalle amministrazioni comunali e da ogni governo?
 
Salvini senatore della Calabria – che Lega è, non c’è più religione?
 
E vaccinato, contro che cosa?
 
Si è capi della Lega per grazia infusa, come la Madonna?
spock@antiit.eu

L’unità lasciata ai prefetti, da ridere

Camilleri storico, come gli piaceva, ma aristofanesco, da risate sguaiate. Un racconto non suo, non di sua invenzione, poiché “si basa in gran parte su fatti realmente accaduti”. Anzi, raccontati dallo stesso malcapitato protagonista, Enrico Falconcini, “Cinque mesi di prefettura  in Sicilia”. Un signore di Pescia in Toscana nominato prefetto a Montelusa-Agrigento. Ignorante e incapace, come si addiceva ai funzionari del neonato Regno d’Italia, che accumula disastri su disastri e non se ne rende nemmeno conto – dopo cinque mesi il governo deve sostituirlo.
Camilleri sceglie la vena comica per narrarne le gesta. Ma pone ancora di più la necessità di una vera storia dell’unificazione italiana, fuori dalle polemiche giornalistiche.
Si ride dall’inizio alla fine. Con una nota in ultimo di come le cose potevano andare meglio. È il 1862, Garibaldi prova dalla Sicilia a risalire la penisola per il suo “Roma o morte”. Lo stivale di Garibaldi è quello che il suo aiutante  Ricci-Gramitto, un siciliano alto e energico, gli ha levato quando fu ferito sull’Aspromonte. Ricci-Gramitto se lo porta a casa, e ci organizza sopra manifestazioni patriottiche. Alle feste partecipa anche la sua figliola, che s’invaghisce del figlio di un industriale dello zolfo, Pirandello, se lo sposerà, e sarà la madre di Luigi Pirandello.       
Andrea Camilleri,
Lo stivale di Garibaldi, “la Repubblica”, pp. 45, gratuito col quotidiano

venerdì 23 luglio 2021

Problemi di base - 649

spock

Meglio i “sapori senza tempo” o quelli attempati?
 
“I re sono scomparsi ma i cortigiani sono rimasti”, Coco Chanel (P.  Morand)?
 
Se mi vaccino sono più libero, o meno libero, onorevole Fico?
 
Mi si nota di più se vengo vaccinato, oppure se non mi vaccino – magari vengo e sto in disparte, Nanni Moretti (fake)?
 
Black block a Napoli contro il clima: quello vecchio o quello nuovo?
 
Ci sono molti lombardi a Roma, anche fuori del Parlamento, non ci sono praticamente romani in Lombardia, c’è un motivo?
 
Vogliamo il gas russo senza Putin?
 
Era meglio il gas di Breznev?

spock@antiit.eu

Le idee nella spazzatura

“Avviene con le nostre pattumiere come con le nostre idee. Come conoscere i loro vero destino una volta che le abbiamo lasciate andare nel mondo? Mme Dodin”, la portiera che lamenta ogni mattina di dover raccogliere i rifiuti, “è la realtà del mondo”. La mattina presto, fino alle 6,30, quando il ribaltabile della nettezza urbana irrompe nella rue Sainte-Eulalie, Mme Dodin s’intrattiene col suo amico lo spazzino Gaston, dopo l’immane sforzo di trasportare la pattumiera condominiale sull’uscio,  e con Mlle Mimì, una vergine matura, affittacamere, che abita di fronte, sui destini del palazzo e del mondo. A beneficio anche dei condomini, le sere d’estate quando si dorme con le finestre aperte.
Un lungo racconto sulla portiera del condominio ossessionata dai rifiuti – benché ancora non in regime di differenziata (siamo nel 1954, anche se il racconto poi confluirà nella tarda raccolta “Des Journées entières dans les arbres”, 1982). Un esercizio di abilità - tutto è materia di racconto – e un divertimento, per la scrittrice, che a ogni ripresa si vede intenta a cercare per questo niente un nuovo tornante, e anche per il lettore. La surrealtà della realtà più banale – “avviene con le nostre pattumiere come con le nostre idee. Come  conoscere il loro vero destino una volte che le abbiamo lasciate andare nel mondo? Madame Dodin è la realtà del mondo”..
Madame Dodin è una che “si rifiuta a qualsiasi compromesso con l’umanità”. Ha lasciato i due mariti, perché bevevano. E i due figli, dai quali si tiene lontana. Gaston, il suo giovane interlocutore, quarant’anni, “uno spazzino che canta in latino”, seppure di messa, lo tiene anche lui a distanza, del resto non ci potrebbe andare a letto, essendo sui sessanta. Si fann gavettoni e altri scherzi maneschi, perché, dice lui a lei, “non ti stanchi mai di trovare trucchi per rompere i coglioni”. 
Marguerite Duras,
Madame Dodin, Folio, pp. 77 € 2

giovedì 22 luglio 2021

Gobetti uomo del Sud

Gobetti, “un giovane alto e sottile” nel ricordo di Carlo Levi, fu nei suoi pochi anni, morì di 25 anni, editore, giornalista, politico, filosofo politico, slavista (“Il fiore del verso russo”), e uno degli oppositori più temuti da Mussolini, benché ancora agli inizi della sua “lunga marcia”, con la chiusura d’autorità delle sue attività editoriali, l’attacco fisico impunito dei fascisti per strada, l’esilio, benché volontario – morì a Parigi poche settimane dopo l’attacco torinese.
Ci sono molti aspetti di Gobetti che meritano una ripresa, una riflessione. Per primo l’ “operaismo liberale”, che ipotizzò su “La rivoluzione liberale”, la più pregnante delle sue creazioni giornalistiche, sulla traccia di Gramsci e il suo “Ordine nuovo”, dove aveva cominciato a scrivere, seppure solo di teatro - come già Gramsci sul quotidiano del partito Socialista. Spadolini ne ripercorre molti, in vari interventi su pubblicazioni diverse, soprattutto su “Il Mondo” e su “La Stampa”, da storico e da politico. In Gobetti individuando il personaggio e il pensiero che più lo hanno sostenuto nella sua avventura politica, da ministro di vari governi in varie funzioni, da ultimo come presidente del Senato, e nel mezzo da presidente del consiglio. Un anno e mezzo soltanto a palazzo Chigi ma denso: la guerra in Libano, la strage di Palermo contro Dalla Chiesa, la P 2, il sequestro e la liberazione del generale Dozier, lo schieramento in Italia, a Comiso, dei missili a testata nucleare Curise, l’inflazione al 22 per cento, la visita di Arafat in Italia, la malevolenza degli alleati di governo, i democristiani soprattutto – Spadolini si reggeva sull’autorità del presidente della Repubblica, Pertini.
Cosimo Ceccuti, il presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia che fu collaboratore di lungo corso di Spadolini, custode della sua sterminata biblioteca personale, ha raccolto i tanti saggi sparsi che lo storico del giolittismo, e politico di fede repubblicana, ha dedicato a Gobetti. Uno in particolare incuriosisce, “Gobetti uomo del Sud. All’attacco del parassitismo”, su “La Stampa”, 18 maggio 1993, un anno prima della morte.
Il 2 dicembre 1924 “La rivoluzione liberale” pubblicava l’“Appello ai meridionali”, steso da Guido Dorso e firmato da molti intellettuali. È il testo che propone una rilettura del Risorgimento, e la questione meridionale come “la questione italiana”. Gobetti è d’accordo. A maggio era stato a Palermo, osservatore acuto, come testimoniano le sue “Lettere dalla Sicilia”, pubblicate via via su “La rivoluzione liberale”. L’anno prima, a gennaio, si era recato a Napoli per incontrare Benedetto Croce – per presentare a Croce la moglie, una forma di tributo. Pubblicava Nitti, dopo che perfino la casa editrice Bemporad , nota Spadolini, “con quell’insegna ebraica”, gli aveva chiuso “le porte in faccia”. Sturzo collaborava con “La rivoluzione liberale”, Zanotti Bianco, Giuseppe Lombardo-Raidce. E Giustino Fortunato.
L’“Appello ai meridionali” era seguito dall’impegno a pubblicare in ogni numero del settimanale una pagina dedicata alla “Vita meridionale”. Gobetti conveniva con Einaudi, nota Spadolini, e indirettamente con Salvemini, nella denuncia del protezionismo e dell’interventismo pubblico in favore dell’industria, quindi del Nord. Nella denuncia del giolittismo: “La nuova economia italiana del Nord”, scrisse, “sorgeva come industria protetta, rinnegando ogni senso di dignità”. Mentre “l’iniziativa del Sud, subito dopo il’61 connessa col brigantaggio e con l’eredità del vecchio regime, aveva reso impossibile il formarsi di condizioni obiettive” di produzione, finendo per adagiarsi in “parassitismo e beneficenza”.  Era il giudizio di Giustino Fortunato, il fallimento del “liberalismo dei conservatori”.  Mentre “un’industria nata liberisticamente non sarebbe stata l’antitesi della vita agricola, ma l’avanguardia”.
Negli ultimi momenti convulsi, l’aggressione fascista, la chiusura delle sue attività voluta da Mussolini, la nascita del figlio Paolo, la decisione di andarsene a Parigi, per fare solo l’editore, non l’agitatore politico, è a Giustino Fortunato che confida per lettera le sue decisioni.Un mese dopo, a Parigi, sarà morto. Con Fortunato Gobetti purtroppo dooveva condividere l’amara constatazione che il fascismo avrebbe trovato inerte il Meridione. Spadolini conclude con Fortunato: “Il Meridione non disturberà il fascismo. Servirà plebeamente Mussolini. Come ha sempre servito tutti, salvo a darne la colpa agli spagnoli e ai Borboni, quintessenza del nostro sangue e della nostra carne”. Non soltanto il fascismo, si può aggiungere: il Meridione non disturberà nessuno, servemdo via via i Lauro locali o la Dc, poi Berlusconi, e ora Salvini e Di Maio. Il Sud è, diciamo politicamente, servo
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Giovanni Spadolini. Gobetti, un’idea dell’Italia, Luni, pp. 455 € 25

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (461)

Giuseppe Leuzzi

Ragionando con un amico delle Grandi Madri del Mediterrameo, Paolo Rumiz si trova a evocare (“Madre nostra che sei nel mare Mediterraneo”, “Robinson” 17 luglio) “quella fila di Madonne nere, sibille, parche, menadi, prefiche,  erinni che affollano la sacralità del nostro Meridione”. Altro che “la donna del Sud”: il Sud sarebbe femmina, in regime patriarcale?
 
“Sul confine scomparso di quella che fu la Cassa del Mezzogiorno – nato grazie a quella”, scrive Federico Fubini sul “Corriere dela sera” martedì, “l’impianto da un miliardo di dosi”, di vaccini anti-covid. Ad Anagni. Non si fa un bilancio della Cassa del Mezzogiorno – basta il nome, il Mezzogiorno, il Sud. Ma Pomezia, Frosinone, l’Abruzzo tutto, i residui centri industriali in Campania, e altrove, molto la  Cassa ha creato bene.
 
Sudismi/sadismi
“Racconta l’estate”, il quotidiano “la Repubblica”, con Paolo Di Paolo, “sulle orme di Pasolini”. In quattro tappe, partendo da Salerno. Per i sessant’anni dal “celebre viaggio” di Pasolini – in 24 ore mille km., o erano duemila km. in 48 ore. Un viaggio che il quotidiano così sintetizza: “Sessant’anni fa lo scrittore cercava un mondo che non esisteva più. Nel Meridione, scriveva, la notte è ancora quella di molti secoli fa”. Mentre “oggi qui la gente dice: «Il coprifuoco non era bello, per carità, però si vedono scene mai viste, scene da pazzi»”. Cosa che, per la verità, a Di Paolo dice “un bagnante di mezza età” – uno che “ci affida un’intemerata sugli eccessi del «cattolicamente corretto»”. Ma poi si lamenta della mancanza di pudore.
Quando si arriva al Sud non c’è rimedio – “falla come vuoi, sempre è cucuzza”, dice il calabrese.

La mafia cattiva imprenditrice
Un colpo alla dottrina della mafia imprenditrice. Isaia Sales anticipa (“la Repubblica”, 17 luglio), uno studio di tre ricercatori della Bocconi, Antonio Marra, Donato Masciandaro e Nicola Pecchiari, sulle imprese mafiose, create o comprate dalle mafie, da cui risulta che “le aziende a partecipazione criminale e mafiosa, contrariamente a quello che abitualmente si pensa, corrono più rischi di fallire rispetto alle altre presenti sul mercato perché presentano in genere una redditività più bassa, un debito più alto e una minore liquidità”.
Il linguaggio è cauteloso, ma il dato è evidente. “Abitualmente” è parola anche imprecisa, andrebbe detto “contrariamente a quanto siamo indotti a pensare” – chi conosce anche un solo mafioso sa che non è affidabile, non saprebbe esserlo, nemmeno sciacquandosi la bocca a Cambridge.
Lo studio si basa su 1.840 imprese lombarde “collegate con diverse modalità al crimine organizzato, utilizzando i dati dell’Agenza Informazione e Sicurezza Interna (Aisi)”. La conclusione sarebbe che “le mafie incidono in maniera notevole sull’economia della parte più avanzata del Paese (dove si produce il 25 per cento del Pil nazionale), ma ciò non determina un miglioramento della produttività delle imprese  coinvolte”. Conclusione anch’essa cautelosa, ma insomma: la mafia non è manageriale, può spendere ma non sa gestire. 
Un colpo al tutto mafia, all’epica mafiosa. Che i mafiosi non sono buoni investitori  si sapeva: il clan calabrese degli Alvaro ci ha rimesso qualche milione, a via Veneto, tra il Café de Paris e il grande bistrot California. Lo stesso il (presunto) clan Mattiani di Palmi, sempre a Roma: dove aveva rilevato l’Antica Pasticceria Bella Napoli alle Sette Chiese, e col Vaticano, che aveva procurato le necessare licenze edilizie, e un mutuo veloce di favore, aveva riconvertito in pochi mesi, in tempo per il Giubileo 2000, un vecchio convento monacale ormai disabitato, il Luz Casanova, nel Grand Hotel Gianicolo, con roof garden vista san Pietro. Espropriati entrambi, gli Alvaro e Giuseppe Mattiani.
P.S.- Questi due casi però necessitano un poscritto. Sia gli Alvaro che Mattiani hanno poi avuto indietro i beni dalla Cassazione – Mattiani da subito, già in Appello: il suo delitto era stato di candidarsi a sindaco, per questo fu prontamente fatto inguaiare da uno dei Gallico, mafiosi invece professi e condannati. La mafia è poco imprendoriale, ma che dire della giustizia?
 
Legge speciale per il Sud
Il diritto penale le esclude, il diritto democratico, costituzionale: le leggi “speciali” non ci possono essere, discriminatorie. Ma per il Sud sì. Non contro il Sud, contro le mafie. Che, come è noto, sono al Sud.
Un inedito, solitario, riesame del decreto legge 164, 1991, che compie trent’anni, di Paolo Riva per “Buone notizie”, il settimanale del Terzo Settore del “Corriere della sera”, lo spiega con pochi dati (il dl 164 è stato abrogato nel 2000, ma lo scioglimento amministrativo delle amministrazioni locali è rimasto nel Testo unico sull’ordinamento degli enti locali, Tuel, n. 267 del 2000,artt. 143-146): il Prefetto può mandare a casa un consiglio comunale, col sindaco, a suo giudizio. Come usava fino a qualche decennio fa con il “confino di polizia”.  Confidando i Comuni, di qualsiasi dimensione, di mille o di centomila abitanti (a Roma si è arrivati, almeno un paio di volte, dopo la giunta Carraro e il sidnaco Marino, ai

X due o tre milioni, quanti ne conta la capitale), a tre funzionari di prefettura, per un anno e mezzo, con auto e autista, pagati in sovrappiù, per “non fare”.
Un “confino” di cui la Corte Costituzionale nel 1993 ha confermato la validità. In questi termini: lo scioglimento dei consigli comunali va considerato l’extrema ratio dell’ordinamento per salvaguardare la funzionalità della pubblica amministrazione. Funzionamento che invece viene del tutto bloccato perdurando il commissariamento. Che poi lascia tracce sempre negative, in termini di efficienza amministrativa, e perfino di presenza fisica. A Roma queste tracce sono ancora visibili dopo l’ultimo commissariamento: l’assentesimo è aumentato e gli uffici sono ingovernabili. Il precedente commissariamento, nel 1993, s’era affrettato a cancellare l’appalto della rilevazione del patrimonio immobiliare del Comune: il Campidoglio possiede cieca 40 mila unità immobiliare, si ritiene, non si sa, molte di pregio, si ritiene, non si sa, da cui percepisce quanto non basta a pagare gli uffici del patrimonio.   
La legge del 1991 è stata applicata 356 volte. Per “quasi il 90 per cento al Sud, Calabria, Campania e Sicilia”. La quota meridionale è ingrossata perché alcuni comuni sono stati sciolti più volte. Riva cita Marano, nel napoletano, ma Platì si può aggiungere, in Calabria, e San Luca – paesi dove le elezioni comunali vanno deserte, tutti hanno qualche parente più o meno oberato da carichi pendenti.
Per lo scioglimento la legge prevede che ci siano “concreti, univoci e rilevanti elementi sui collegamenti degli amministratori con la criminalità organizzata”. Ma a volte basta una semplice cuginanza con un portatore di carichi pendenti – anche non intervenuta dopo il voto, antecedente alla compilazione delle liste elettorali ma allora non rilevata. Sui “collegamenti” vigilano i Carabinieri, con i carichi pendenti, in un quadro giudiziario cioè, e anche con la “note di servizio”, informali, di caserma.
Decidono i prefetti: la legge riporta all’Italia dei prefetti spadoliniana, cioè giolittiana.
  
Mafie
Lorenzo Tondo racconta dei tanti delitti di mafia impuniti – lo fa sul “Guardian”, che è un giornale ingleose, in Italia l’argomento non appassiona. A Carini, in provincia di Palermo, Vincenzo Agostino ha visto a giugno, dopo trentadue anni, una condanna per l’assassinio del figlio poliziotto, Antonino, e di sua moglie Ida, incinta di cinque mesi, mentre passeggiavano sul lungomare.  Antonino collaborava con i servizi di intelligence, alla caccia dei altitanti.
A Soriano Calabro Filippo Ceravolo, 19 anni, ucciso nove anni fa per sbaglio, per avere accettato un passaggio in macchina da un amico che invece era nel mirino della ‘ndrangheta locale, attende ancora giustizia. Nonostante i killer, quattro, siano stati individuati. I genitori di Filippo e la sorella vivono tra depressioni e tentati suicidi.
A Foggia Francesco Marcone è stato assassinato nel 1995 nella tromba delle scale del suo condominio: era il direttore dell’ufficio del registro e aveva denunciato “la corruzione del suo stesso ufficio e l’evasione fiscale di diverse aziende”. Ucciso non si sa ancora da chi.
Tondo racconta vari casi di giustizia negata di “quattro regioni dell’Italia meridionale con una tradizione di crimine organizzato”, avverte il giornale. E viene da chiedersi: da chi? Ma non sfugge nemmeno lui, Tondo, di Sciacca,  alla sociologia da caserma: la giustizia non funziona per l’omertà. Cioè: i morti non parlano, nemmeno i loro parenti. Perché, si sa, della mafia tutti sanno tutto.
Ma questo, in parte, è vero: i Carabinieri hanno sempre molte confidenze – a parte le lettere anonime.
 
Il clan come esca
Domenico Forgione, mite scrittore di storia locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte, si è fatto sette mesi di carcere un anno e mezzo fa perché “intercettato” in storie di mafia. Scarcerato a inizio anno trova ora la forza di spiegare il suo caso: incredibile. Ha subito detto all’interrogatorio di convalida dell’arresto che lui non era lui, che lui non aveva mai parlato con i criminali. Ma né il gip né il riesame gli hanno creduto – semplice, non lo hanno ascoltato.
La Direzione antimafia di Reggio Calabria agitava contro Forgione un “coacervo” di indizi. Senza però mai produrli. Finché, minacciata, non ha accettato una perizia fonica, che il Ris di Messina ha certificato: Forgione non era Forgione.
Lo stesso hanno accertato, dopo lunga contesa procedurale, le perizie  foniche per il vice-sindaco di Sant’Eufemia, Idà, e per il presidente del consiglio comunale, Alati, arrestati insieme con Forgione.
Eyphemia, l’inchiesta di Sant’Eufemia, ha portato a 65 arresti, in mezza Italia: Milano, Bergamo, Lodi, Pavia, Novara, Perugia, Ancona, Pesaro-Urbino, oltre che localmente. Tutti ruotanti attono al famoso clan Alvaro di Sinopoli. Che però è su piazza da almeno sessant’anni ormai, sessantatré per l’esattezza, e sempre a piede libero.
Il clan serve come esca? Gli arresti per collusione con gli Alvaro saranno ormai migliaia – era già a Roma una trentina d’anni fa, avendo rilevato il Café de Paris a via Veneto, e il California, un bistrot su tre piani, nell’adiacente via Bissolati. Saranno questi Alvaro, nell’intimo, collaboratori di giustizia? Farebbero un buon giallo: vendicarsi dei propri nemici, o anche solo di quelli dei Procuratori della Repubblica, semplicemente accostandoli.
Il Café de Paris, benché confiscato, è tornato di recente nella disponibilità degli Alvaro. Un avviamento ora azzerato, però che soddisfazione.
 
Puglia
Al Bano canta in chiesa a Andria al matrimonio di conoscenti e il vescovo s’infuria. Ma forse non è mai andato a vedere come si fa un matrimonio oggi, in chiesa. Un business: Bari vanta 31 location per matrimoni, ville, castelli, palazzi, monasteri, saloni.
 
Anche Carla Bruni canta al matrimonio, questo non in chiesa, all’hotel Crillon, del calciatore Verratti a Parigi. Ma gli ospiti hanno travolto la première Dame intonando insieme, in coro, “Felicità”, di Al Bano. Se Parigi avesse lu mere, sarebbe una piccola Bere.
 
Rumiz la mette al Nord. Qualche anno fa, 1999, scrivendo delle sue peregrinazioni estive, “Capolinea Bisanzio” (ora in “È Oriente”), Rumiz faceva il vecchio gioco dei quiz al concorso militare per ufficiale di complemento – è più a Est Trieste o Napoli, etc.? Il Sud volendo un Oriente: “Prova a guardare dal Gargano la retta infinita che divide il verde dell’Adriatico dal giallo andaluso del Tavoliere”.

Ma di fatto Rumiz ricalcava la meridionalità del Sud, con qualche annessione al Nord: “Lo Stivale s’inclina, la Puglia non è affatto Sud ma guarda a settentrione. L’Adriatico è il mare del Nord. I latini lo chiamavano superum, mentre il Tirreno era inferum, meridionale”.
Con le migliori intenzioni, ma senza fiato. Insistente: “Se dal Gargano tiri una linea verso ovest, incontri la Catalogna, profondo Nord della dirimpettaia Spagna”. 
 
“A Manduria, dove vivevo con la mia famiglia, non c’erano librerie. Zero”, lamenta con Antonello Guerrera, sul “Venerdì di Repubblica”, lo scrittore Franeesco Dimitri, che torna in libreria con un fantasy scritto in inglese – si scrive come si fanno i film? Era ventisei anni fa, Dimitri aveva tredici anni, e non riusciva a leggere “Il Signore degli anelli”. Si penserebbe perché, un po’, illeggibile. No: “Era il Sud feroce”, conclude. Sarà per questo che se ne è andato a Londra.
 
Di Manduria quando Dimitri era bambino si hano ottimi ricordi – fu nel 1946 o 1947 la città più ricca d’Italia, quella che oggi è Varese o Bologna secondo “Il Sole 24 Ore”, avendo olio e vino. Del resto, lo stesso Dimitri poi lo dice: “Quando ero ancora in quinta elementare”, quindi a dieci anni, “mio fratello Arcangelo aveva comprato per sé ‘Lo Hobbit’, edizione Adelphi. Lo lessi anch’io, tutto d’un fiato”.
 
Conversando con la commessa di pasticceria a Patrasso, nell’attesa della traghetto, una ragazza che parla l’italiano, ha viaggiato in Europa, sbarcando a Bari, chiediamo l’impressione che fa a una giovane greca l’arrivo in Italia. “Tutto è grande è la risposta”, dopo una pausa. E specifica: gli uliveti, gli agrumeti, i campi, allora, di grano. Sottinteso: in raffronto alla Grecia, dove tutto è minuscolo. Grande è l’epiteto della Magna Grecia.
 
Mantiene la primazia in tutto il Sud, in fatto di politica e di istituzioni. Rispetto a Napoli per esempio, o alla Sicilia, aree più popolose e a vocazione più scopertamente – dialetticamente – politica: Salandra,  Di Vittorio, Moro, Conte (Boccia, Bellanova), eccetera, i fratelli Salvi, Cesare e Giovanni, che hanno gestito per qualche decennio mezza giustizia. O economica di Stato: Menichella (Banca d’Italia), Di Cagno (Enel), Sette (Eni).
 
O forse non ha più “gente famosa” delle altre regioni. Ma non fa pesare una pugliesità – come la napoletanità, la sicilitudine. Lo stesso i suoi tanti artisti, specie i musicisti, Muti, Modugno, Arbore, eccetera. Il Sud si obera di una finta tradizione, fine a se stessa, che finisce per fare zavorra, la Puglia va invece veloce.

leuzzi@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo (129)

Il Senato del Texas ha applicato la cancel culture a Martin Luther King. Né “I have a dream” né la “Lettera da una prigione di Birmingham” si possono insegnare a scuola. Il Senato del Texas è evidentemente repubblicano, ma non senza titolo per decidere, ai termini della cancel culture.
Afroamericani in battaglia sui social contro la ginnasta italiana Vanessa Ferrari e in difesa del loro idolo Simone Biles, per un commento razzista che però non c’è mai stato. Un commento contro Biles era stato postato da un’altra ginnasta italiana, Carlotta Ferlito, che alla finale alla trave ai mondiali di Anversa, 2013, era stata declassata di un posto, fuori medaglia, per un ricorso vinto da Biles. Il commento di Ferlito era: “La prossima volta io e Vanessa (Ferrari, n.d.c.) ci dipingeremo il volto di nero per vincere”.
Biles è alta 1,43, per 47 kg.. Ferrari 1.46, per 47 kg.. Ferlito 1,60, per 55 kg. È diverso il peso specifico – o anche questo è razzismo? Agli americani non piace perdere, come alle italiane, e gli afroamericani evidentemente sono americani. Biles è già stata dichiarata in America, prima dell’Olimpiade di Tokyo, “la più grande atleta del mondo”
Dopo oltre cento anni la squadra di baseball di Cleveand cambia nome: non più “Indians”, nome ora irrispettoso dei nativi americani, ma “Guardians”. Lo stesso aveva fatto un anno fa esatto la squadra di football americano di Washington, i “Redskins”, che si erano ribattezzati anonimamente , dopo il 1937, Washington Football Team.
Ha fatto campagna contro Trump, prima e dopo la sua elezione a presidente nel 2016, autore anche di un best-seller anti-Trump, “Elegia americana”, commentatore per quattro anni anti-Trump di “The Atlantic” e opinionista del “New York Times”, ma ora è un trumpiano convinto. Al punto da concorrere per il Senato in Ohio, dove la vittoria per un repubblicano è improbabile, agitando i temi di Trump, per primo la vittoria rubata da Biden. È James David Vance, barbuto quarantenne. È anche affermato venture capitalist – per questo si suppone che attaccasse Trump – e come tale si presenta.




La legge dei Procuratori – bis

“Ci sono 57 mila pendenze, con già oggi altrettante prescrizioni, solo nel distretto di Napoli, e non per effetto della riforma approvata dal consiglio dei ministri ma per una situazione di gravità estrema, una violazione ai diritti delle vittime e degli imputati”. Un ministro della Giustizia finalmente non di categoria, Maria Cartabia, non ha problemi a dire la verità ai giudici napoletani che sollevavano la solita ammuìna contro ogni (eventuale) obbligo di lavorare. “I processi non rischiano per colpa della riforma”, così “il Messaggero” titola “la lezione di Cartabia ai giudici di Napoli”.
Napoli è un caso a parte, e lo sa bene la mezza Italia che per qualche secolo l’ha sofferta. La Napoli non dell’ingegno e del fare applicato, inventivo, faticatore, ma la Napoli che si vorrebbe nobilissima, dei “professionisti”. Del non fare – giudici figli di giudici nipoti di giudici, primari figli di primari nipoti di primari, tutta l’insolenza che farebbe inorridire una democrazia, con l’insensibilità ‘ncoppa alla presunzione. Vent’anni fa il Procuratore Capo di Napoli Cordova litigò con i suoi sostituti, specialisti, a suo dire, del “non andare” meglio del “non fare”. Con montagne di procedimenti mai aperti, oltre alla montagne di quelli finiti nella sabbia. Finì che Cordova fu rimosso, dal Csm, su filippica di Giovanni Salvi, il giudice di tutti i processi “delicati”, Ustica, Pecorelli , Calvi, fratello di Cesare Salvi, senatore e ministro ex Pci.
Ora i giudici non hanno più altri giudici con cui interloquire, ma la Unione Europea, che non vuole affidare i suoi miliardi agli esperti del “non andare”. 
È curioso che, oggi come vent’anni fa, i giudici recalcitranti siano automaticamente annessi dalla sinistra politica. Questa è un’altra storia, ma è parte importamte dell’insieme. Sono annessi dalla sinistra per modo di dire (loro personalmente spesso sono fascistissimi): da “la Repubblica”, col suo filo diretto con i giudici sempre e comunque, allora con D’Avanzo (fascista professo e non pentito) ora con una selva di “cronisti giudiziari” – e quindi dal “Corriere della sera” (c’è altra sinistra all’infuori delle due tribune, di comodo – per chi?).
Bandiera alternativa dei giudici è “Il Fatto Quotidiano”. Da sinistra, questa, o da destra? Travaglio lo nega (D’Avanzo no) ma pure lui era di destra, pura e dura. L’ordinamento giudiziario è l’unico resto del fascismo – dopo un secolo ormai.

mercoledì 21 luglio 2021

La legge dei Procuratori

“L’impianto da un miliardo di dosi”, di vaccini anti-covid, ad Anagni, la Catalent, da “un sabato notte del marzo scorso”, col nuovo corso allora inaugurato dai nuclei Antisofistcazione dei Carabinieri, “ha avuto continue visite e ispezioni da parte dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanza”. Manca la Polizia, ma il resto c’è stato tutto e abbondante. Per quattro mesi le polizie d’Italia hanno cercato i “vaccini «nascosti»”, scrive sarcastico Fubini sul “Corriere della sera”. Si voleva trovare un caso di mercato nero dei vaccini. Lo hanno cercato dov non potevano trovarlo, in una multinazionale? Dove erano sicuri di non trovarlo?.
Non è inefficienza, è l’azione penale passata in mano alle Procure della Repubblica. Dalle indagini alle conclusioni. Cosa sia avvenuto a Frosinone Fubini non lo dice. Ma ciò che dice raffigura il Procuratore della Repubblica camilleriano, o montalbaniano, a tutto interessato meno che al crimine.
Ma c’è di peggio. A metà anni 1995 il più grosso scandalo della Repubblica, l’ammanco di 1.300 miliardi di lire alla Rizzoli-Corriere della sera, esito di ruberie diffuse e continuate. non fu né denunciato né perseguito. Lo denunciò, come abbiamo spiegato in “Mediobanca Editore”, Deloitte, il revisore dei conti. E non fu perseguito: i profittatori se la cavarono con vantaggiosi patteggiamenti, un paio, i più senza un solo avviso di reato. Mentre contemporaneamente, per la stessa tipologia di  delitti, la Procura di Milano mandava Carabinieri, Finanza e Dogane alla Mediaset di Berlusconi, due e tre volte al giorno, da 500 a mille ispezioni in un anno. Senza esito, se non su un punto: la negoziazione estero su estero dei diritti delle opere acquisite.
Era questo uno dei canali di aufofinanziamento dei dirigenti della Rcs, spiegava “Mediobanca Editore”, 1997, in casi acclarati, ma non fu mai perseguito. Lavorandoci sopra, invece, la Procura di Milano ha ottenuto infine, dopo vent’anni, la famosa condanna di Berlusconi.
L’azione penale in mano ai Procuratori della Repubblica è inefficace: lenta, e per lo più sbagliata. Si vede contro le mafie: a fronte di pochi, anche per questo eroici, perché isolati, l’incuria o inefficienza dei più. O nella diffusissima corruzione – si è perfino dovuto creare un’apposita Autorità anti.corruzione.
L’azione penale dei Procuratori è “efficiente”  - anche se spesso, a fine ciclo gudiziario, inefficace o nulla - contro i nemici personali dei Procuratori stessi. O di partito. E a fini (immediati) di carriera – se servono cento, duecento incarcerazioni per diventare Procuratore Capo. L’azione penale è obbligatoria up to a point, a discrezione.

Tycoon in volo per vendere internet spaziale

Sembra una cosa goliardica e quasi fantascientifica, il viaggio suborbitale dei neo ricconi, Branson, Bezos e Musk, una decina di minuti sparati da un razzo. È invece una promozione di internet spaziale, una banda larga celeste, al costo fra i 30 e i 100 euro al mese. Branson con Virgin Media, Bezos con Blue Origin, Musk con Space X.
Musk è partito per primo. La sua Starlink in due anni ha già posizionato 1.600 satelliti a bassa orbita, fra i 1.100 e i 1.325 km. dalla Terra, mobili. E avrebbe già raccolto mezzo milione di abbonamenti, a 100 euro al mese, per connessione tra i 50 e i 150 megabit al secondo – punta al milione entro l’anno. Bezos ha in progetto Amazon Kuiper, un investimento da dieci miliardi di dollari, per una costellazione di 3.200 satelliti su orbite dimezzate rispetto alla Starlink di Musk.
Ma prima di tutti è arrivata l’europea Eutelsat, che ha una quota del 24 per cento di OneWeb, il gruppo di telecomunicazioni spaziali cerato dal governo britannico col gruppo indiano Bharti Global. Eutelsat propone in una decina d apesi – in Italia attraverso Tim – abbonamenti alla banda larga satellitare a partire da 30 euro al mese. Tim promoziona la novità con tremila abbonamenti a 19,90 euro in più dell’abbonamento telefonico, con antenna e modem in comodato d’uso.
Uno studio Eurconsult prevede a fine decade 110 milioni di utenti della banda larga satellitare. Per un mercato da quasi 13 miliardi di dollari – 12,7.

Roma nel 1940 sembra oggi, malinconica

Brevi ritratti di “personaggi” e situazioni romane, del 1940-42, attorno a via Veneto e a Cinecittà, oppure no, che sembrano degli anni 1950-1960, e ancora oggi si ritrovano. Forse non con frequenza, ma ugualmente caratterizzati: il “bel ragazzo”, la “serata d’arte nella taverna in finto stile antico”, le amiche che l’autista scarica all’osteria popolare, per i “fagioli con le cotiche”, la “signora ironica”, “le acque”, la “domenica al mare”, col trenino, da Piramide, i “cinematografari”, i “forti industriali dello schermo”, le signore dei Parioli che si preparano a prendere il mezzo pubblico. Nel negozio di barbiere, con manicure, entra anche “il figlio del re di Spagna,”, Juan Carlos, “bel ragazzo”.
Sarà l’attrattiva di questo scrittore, catanese trapiantato a Roma, un tempo molto amato anche dai critici, Cecchi, Montale, Bo, Gigli, poi del tutto dimenticato, che ora si ripropone (l’editrice La Nave di Teseo ne ha ristampato “Tutte le opere”). Di una città che non cambia, in quasi un secolo ormai – “poche cose sono più malinconiche”, si può concordare con lo scrittore. Senza contare che nel 1940 la città si poteva presumere addormentata, narcotizzata da Mussolini, mentre oggi rema – naviga, rema poco - nel Duemila.
Ercole Patti,
Quartieri alti

martedì 20 luglio 2021

Ecobusiness

Ammonta a oltre due tonnellate, ovvero l’equivalente del peso di un Suv di grandi dimensioni, il cibo sprecato ogni anno pro capite nei paesi del G 20. Poiché io non lo spreco, e voi nemmeno,  quanto sprecheranno gli altri, due e tre camionate – come si fanno le statistiche?
Vokswagen (con Audi e Porsche), Bmw e Daimler-Mercedes sono stati multati dall’Antitrust europeo per essesi accordati a ritardare lo sviluppo delle tecnologie  che limitano le emissioni inquinanti. In segreto? Sono stati multati in segreto? Poiché non se ne è saputo niente. La multa è di di poco meno di 900 milioni.
Entra in vigore la direttiva europea contro gli oggetti di pastica monouso, dalle cannucce al cotton fioc. Con che esito? Quello di favorire industrie alternative, di plastiche non monouso. L’effetto antinquinamento è nullo, spiega Nathalie Gontard, autrice di “C’è vita senza la plastica. Perché farne a meno, prima di morire soffocati”, ricercatrice e imprenditrice di materiali alternativi. Si poteva consentire l’utilizzo di materiali biodegradabili per questi prodotti monouso. Che sono la soluzione, molto meglio che produrre plastiche multiuso.
La plastica è “materiale straordinario!”, spiega Gontard, ma contaminante e indistruttibile. Quindi anche micidiale: “Bisognerebbe fermarne subito il consumo”. Questo non è possibile, “alcune plastiche sono necessarie, ma dobbiamo limitarci a questa ristretta categoria”.

Landolfi impossibile

Un Landolfi giocoso. Apre “La passeggiata”, tre pagine di nulla, parole senza più senso estratte dallo Zingarelli – allora il vocabolario più diffuso. Un giallo elucubrato su una notazione di Gaboriau, una parodia. Allevatori di polli in batteria finiti dentro una rete più grande, gestita da polli giganti. Un esercizio sarcastico di filologia inventiva su S.P.Q.R. Qualcuno nel cosmo ha letto di un pianeta Terra, padre e figlio si chiedono cosa possa essere. 

Chiudono la raccolta due brevi testi molto landolfiani. Uno, da ultimo, sui modi del raccontare. Il penultimo è la confidenza di un compagno di viaggio, che la inventa e la modula per compiacere il suo occasionale interlocutore, che presume scrittore - una esemplificazione del romanzesco.

Un Landolfi scherzoso come lo è sempre stato, benché divagante, fantastico, metafisico, loico, segreto. Ma sempre da remoto, intellettualistico. Una lezione in classe sulla morte prende cinquanta pagine: un racconto filosofico, ma non alla maniera di Voltaire, no, di filosofia vera, argomentata, un dialogo platonico, più frammentato. Freddo di programma, il lettore di racconti si smarrisce.

Un Landolfi risentito. La raccolta è assortita in appendice di due testi testi polemici, “Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni” e “Fatti personali”, l’ultimo testo, questo, proposto al “Corriere della sera”, cui Landolfi collaborava, che però non lo pubblicò. Contro Leone Piccioni, che pure si era speso molto per Landolfi, nei premi leterari, nelle critiche, in televisione, e contro Paolo Milano e, a lungo, Montale (Fatti personali”), rei di essersi occupati, con benevolenza, dei “Racconti impossibili”. Perfino contro Geno Pampaloni, che alla periclitante Vallecchi aveva passato la pubblicazione della raccolta nel 1966, malgrado le limitazioni imposte dall’autore: niente scheda, niente risvolto, niente presentazioni, niente promozioni, interviste, conferenze. 

Un risentimento di cui Giovanni Maccari, che cura il volume, non si dà ragione. Trovandola in ultimo in una sorta di complesso di superiorità, per quanto irriflesso. Essendo Landolfi “l’autore di limpide speculazioni linguistiche come il ‘Dialogo dei massimi sistemi’ (1937) e ‘La Dea cieca o veggente’ (1962)”, e “uno scrittore poliglotta, ipercolto e, si è detto, insieme a D’Annunzio, il più addentro alla lingua italiana del Novecento”. Ma è la narratività che lo isola. Un paio di racconti brevi, centrati sul romanesco, lingua e caratteri, nella forma ironica di Gadda, ne mostra la distanza dalla narratività dell’Ingegnere – Landolfi non esce dal bozzetto
Tommaso Landolfi, Racconti impossibili, Adelphi, pp. 195 € 14

lunedì 19 luglio 2021

Ecobusiness

Il ministro dell’Ambiente Cingolani non si smentisce: la transizione ecologica? “Confermo, potrebbe essere un bagno di sangue”. Se non sarà graduale, e mirata sui bisogni generali e non su interessi di parte - di mercato industriale, di mercato politico: “Per cambiare il sistema e ridurre il suo impatto ambientale bisogna fare cambiamenti radicali, che hanno un prezzo. Dovremo far pagare molto la CO2, con conseguenze, ad esempio, sulla bolletta elettrica”.
Più radicale ancora l’ex ministro dell’Industria, l’economista Alberto Clò, specialista delle questioni energetiche, ammonisce su “La Nazione-Il Resto del Carlino” contro una transizione affrettata, quale quella del piano Ue: “Fa danni sociali e riduce le emissioni globali solo dell’1 per cento”. L’Europa conta poco, riflette mesto l’ex ministro: ha già fatto molto e può fare ancora poco, il problema delle fonti di energia fossili è la Cina.
Il problema paventato da Cingolani è stato sollevato col governo tedesco, che ha ispirato il piano di Bruxelles, dal presidente francese Macron: l’industria automobilistica francese, ora franco-italiana, dovrebbe chiudere. E lo stesso il nucleare, che in Francia copre ancora il 70 per cento della produzione di elettricità, ed è considerato “pulito”.

Profumo di Chanel, pepato

“La piccola figura tormentata da indiana jivaro” si racconta. Con fedeltà, chissà, ma molto alla Morand.
Ritorna nella vasta produzione di Paul Morand questo autoritratto di Gabrielle “Coco” Chanel, nel revival Chanel in corso, per i cinquant’anni dalla morte. Nel quadro di una riaffermazione del marchio di fabbrica “France” nei piani del presidente Macron. Con le trionfali celebrazioni in costume alle sfilate di Parigi, sulla scalinata del Palais Galliera, e con la mostra “Gabrielle Chanel, Manifeste de Mode”, nello stesso palais, un edificio dell’800 restaurato per ospitare mostre. Il percorso stilistico e di vita di Mademoiselle, dalla prima marinière, 1916, allo Chanel N° 5, 1921, al tailleur, di più generazioni, al little black dress e al prêt-à-porter. Di una stilista sempre avanti agli altri, e sempre nel gusto dei più. Con pezzi provenienti da varie collezioni e musei importanti, il Victoria & Albert, il Momu di Anversa, il De Young di San Fancisco.
È notevole il personaggio. Tutto fatto da sé. Solitaria ma non zitella. Anche se con pochi amori,  non più di due grandi amori nella lunga vita, e non di comodo. In gioventù col “bell’inglese” Boy Capel”, “essere di una vasta cultura, di un carattere originale”, “inglese beneducato”, fornitore di guerra, molto amato da Clemenceau, che la “installa in un hotel a Parigi”, presto morto in un incidente d’auto. E dieci anni più tardi, nel 1924, a 41 anni, già stilista famosa, col bellissimo e ricchissimo duca di Westminster, altro britannico, l’uomo più ricco del mondo, per dieci anni (secondo questa “memoria”, per cinque secondo wikipedia) – una relazione probabilmente promozionale, come sarà quella di Onassis con Jacqueline Kennedy: il duca aveva una moglie, la seconda o terza, e non viveva a Parigi. Dopo un intermezzo con Paul Iribe, “l’uomo più complicato che abbia conosciuto”.
Con molta Italia. Il Lido entra nella narrazione come il faubourg Saint-Honoré, un posto di casa, il Lido di Venezia. I viaggi sono molteplici nella penisola, col Veronese, il parmigiano, Roma, Leonardo, e altri riferimenti domestici – tra le due guerre l’Europa era nazionalista ma ancora cosmopolita, meno identitaria di oggi.  
Un carattere forte, che qui si esemplifica in tante storie, piccole (con le dipendenti) e grandi, con gli amici, i titolati, i potenti. Un mestiere studiato. Un mestiere: l’invenzione con le mani, la prova, l’aggiustamento, l’innovazione provata e riprovata, mai l’eccesso - la moda “concettuale”, o l’illusione per i fresconi, per quanto ricchi. Con molte notazioni, via via, su personaggi piccoli e grandi: Diaghilev, grasso, pieno d’anelli, instancabile, maestro d’innovazione e di cultura ai francesi, Picasso, la contessa Adhéaume de Chévigné, née Sade, personaggio proustiano, Stravisnsky, un flirt che rischiò di diventare amore, e in breve, con vista acuta, Colette e Cocteau. E i “trucchi”, o criteri, del “taglio”, del mestiere. Molto sua, di Chanel, è la rivendicazione centrale: aver preso la donna inutile, superflua, adorna, per lo più di stravaganze, anteguerra e averla vestita come persona attiva - una che “si sente”, si conosce e cammina, non naviga.
L’autobiografia è però di fatto un testo morandiano. Anche perché è scorretto: Morand si approfitta per saldare alcuni suoi conti aperti. L’avrebbe scritto nell’inverno del 1946, così vuole il sito del marchio, basandosi su una serie di conversazioni avute con Chanel in un albergo di St. Moritz, su invito di lei. Lo stile è della confessione-confidenza, ma è un testo di Morand, scritto dopo la morte della stilista e pubblicato nel 1976.
La griffe di Morand - benché già accademico di Francia, dopo il lungo ostracismo del generale De Gaulle, per essersi schierato in guerra, da diplomatico in servizio, col regime di Vichy - è nella reiterazione di alcune sue fisime, oggi politicamente scorrette ma non censurate in questa riedizione: sugli ebrei (Morand non si priva nella sua lunga opera, prima e dopo la guerra, di sottolineare il forte legame etnico fra ebrei), e sugli “invertiti”. Ma anche contro l’intellettualizzazione della moda, dai sarti a Roland Barthes: la “poesia sartoriale” è un bel pezzo satirico. Nella prima idiosincrasia rientra la reiterata, perfino estenuante, vendetta contro Misia Sert, il “personaggio” più influente della scena parigina tra le due guerre, nata Godebska, “pianista e modella russa”: “asiatica”, modella a 15 anni per le prostitute di Toulouse-Lautrec, Renoir, Vuillard e Bonnard, “cinquant’anni tra i grandi artisti e nessuna cultura”, “una inferma di cuore, strabica in amicizia, zoppa in amore”, “anima ebrea”, che solo si cura degli ebrei.     

Con la - inevitabile? anche nel 2021? anche nelle celebrazioni? - rimozione del collaborazionismo, antisemita, che accomuna i due, Chanel e Morand. E, curiosamente, della passione di Coco per la caccia  che fu la parte grossa della relazione col duca di Westminster - certificata anche da Churchill, stranito da tanto vigore.
Paul Morand,
L’allure de Chanel, Folio, pp. 248 € 7,50

domenica 18 luglio 2021

Ombre - 570

Con l’alluvione in Germania e nelle pianure di Nord-Ovest, in Belgio e Olanda, la fine del mondo si vuole vicina. Ma era stata altrettanto micidiale l’acqua in Germania vent’anni fa, allora con allagamenti sul suo fianco di Sud-Est, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Russia. Le alluvioni sono i terremoti della Germania, che ha grandi fiumi.
Le alluvioni in Europa sono state, nei numeri dell’Oms, circa 400 dal 1975 in poi. Con oltre tremila morti.
 
5 Stelle e Lega sono contro i vincoli alla libera circolazione, per evitare – ridurre - i contagi. Ma non lo dicono – alla quarta ondata poi si vota, a ottobre. Lo fanno dire dai loro rappresentanti nell’autorità per la Privacy, Guido Scorza e Ginevra Cerrina Ferroni.
 
Quest’ultima, professoressa fiorentina di diritto costituzionale figlia di un comunista, moglie di un barone, salviniana dichiarata (ma ha saputo evitare di venirne immolata a Nardella al voto per il sindaco due anni fa), sembra inappellabile: “Gravissimi gli effetti sui diritti e sulle libertà dei cittadini”. Ma la Costituzione non ha l’art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”? E la Corte costituzionale, in più sentenze? E il buonsenso: posso andare in moto senza casco, in auto senza cintura? Dio li fa, e poi li perde.  
 
L’ex presidente del consiglio Conte, che pure è uomo di legge, non vuole la riforma Cartabia della Giustizia. Non per un motivo, così: la riforma della Giustizia è stata la sua, anche se lui non l’ha fatta.
 
“la Repubblica”, che sostiene la riforma Cartabia, e il Pd, annuncia: “Il Pd difende il testo Cartabia, ma se si ridiscute il testo è pronto a proporre il lodo Orlando”. Cioè a non fare nessuna riforma della Giustizia. Sinistra sinistra – a meno che non sappia quello che dice (nei giornali succede).
 
Salvini col Pd contro Meloni era da vedere - Salvini a sinistra...
Salvini deve difendersi contro i sondaggi pro Meloni - Salvini a sinistra non è pensabile. Ma non è venuto in mente al Pd di sgambettarlo, al Copasir come al consiglio Rai? O ritiene Salvini meglio di Meloni? O non ritiene niente, giusto porta a casa qualche posto in consiglio d’amministrazione?
 
Il Tar del Lazio annulla la multa dell’Antitrust alle compagnie telefoniche che si erano inventate il mese di 28 giorni. Dunque, si scopre che il mese di 28 giorni, cioè un abbonamento mensile in più sull’anno, non è materia penale, anche se è una grossa sopraffazione – per molto meno si va in prigione (qui la truffa è di molti milioni, al mese). Ma di sanzione amministrativa. Che per di più si annulla: la giustizia amministrativa, cioè lo Stato, dice le ladrone telefoniche vergini e martiri.
 
Siena, Calabria, Roma, il Pd ha difficoltà a trovare candidati –mentre a destra i candidati sono troppi. Nessuno vuole esporsi? È cosi - a partire da Zingaretti nel 2016. Il partito non attira, ma non si chiede perché.
 
Lunedì si festeggia a Roma in pompa e in piazza la vittoria all’Europeo di calcio. Il “Corriere della sera” commosso cavalca l’entusiasmo con uno speciale martedì: “Cuore azzurro”. Con foto-ricordo, ritratti, commenti, evocazioni epiche. Lo stesso giorno il prefetto di Roma Piantedosi convoca Fiorenza Sarzanini, la detective del quotidiano, e denuncia l’evento: “Mai autorizzato”. Possibile? No, il Prefetto mette “le mani avanti”.
 
Ma, poi, un prefetto è un prefetto – un burocrate. Piantedosi si segnala, per dine una, per non avere mai affrontato in due anni il problema della discarica di Roma - si vede che non esce mai in città. O, per dirne un’altra, per il record di zero permessi di soggiorno in un anno, a fronte di 16 mila richieste, in base alla legge che regolarizza gli immigrati con contratto.
Il prefetto non conta, è il giornale che cavalca tutto, anche lo scandalismo: il giornale della borghesia che copia i popolari inglesi, quelli che pompano la merda.
 
Fino al 19 luglio la Gran Bretagna è in semi-lockdown: restrizioni agli assembramenti, mascherine, distanziamento. Ma lo stadio di Wembley è sempre strapieno, di tifosi liberamente ammassati, bercianti.
Lo è stato anche quando non giocava l’Inghilterra.
 
La cattolicissima ex ministra della Difesa Pinotti difende il ddl Zan tal quale. Anche contro i suoi vescovi. Mentre la presidente di Arcilesbica vuole assolutamente cambiarlo – “non difende la donne”. Non c’è più religione.
 
Aequa Roma è, malgrado il nome, l’esattore del Comune di Roma. Averci messo a capo uno che non ha i titoli non è un  svista. Ma c’è una nomina giusta della sindaca di Roma Raggi, a cominciare dagli assessori, in cinque lunghi anni?
È anche vero che il personale 5 Stelle è fatto così, di arraffatori di posti, altro che il Sud. Il titolo – il posto - contraddice, certo, l’uno vale uno. Ma questa uguaglianza ha un solo senso, non democratico.  

Il piccolo chimico Sacks - e Levi che non c'è

“Sono cresciuto nella zona nord-occidentale di Londra, prima della seconda guerra mondiale, in un’enorme casa edoardiana”. Da genitori entrambi medici. Che in ambulatorio, in casa, e in altri ambienti tenevano disordinati flaconi di medicine, ”la bilancia per pesare le polveri, i portaprovette e la vetreria, la lampada a spirito” e “farmaci, lozioni, elisir – sembrava una vecchia farmacia”, eccetera, il microscopio, i reagenti. Insomma, Oliver Sacks ha avuto un’infanzia “chimica”. E in questo primo volume delle memorie la ricostruisce.
Dettagliato, non appassionante. Sacks sa raccontare i casi degli altri meglio dei suoi: è sempre scrittore gradevole, “veloce”, ma alla fine di queste memore non resta molto. Se non lo stupore per l’assenza, in questo racconto del 2001, di una “infanzia chimica”, del minimo riferimento a Primo Levi. Che per primo aveva saputo far parlare gli elementi, nel “Il sistema periodico” - il “Carbonio” meglio del tungsteno, ben più curioso. In una raccolta piaciuta anche in America, dove l’inglese Sacks ha vissuto e lavorato una vita. Stupisce anche per essere Levi, ebreo come Sacks, forte nella memoria ebraica.
In effetti, questa prima biografia è molto, solo, autocentrata. E celebrativa. Lo psichiatra Sacks dirà solo in punto di morte nel 2015, nell’ultimo volume di memorie, di essere omosessuale. Una “confessione” peraltro da succès de scandale, per rinsaldare la fama, da ottimo scrittore di bestseller – questo, il minore dei suoi successi, ha in italiano già otto edizioni o ristampe.
L’autobiografia dello scienziato è insidiosa. O forse solo rivelatrice: questa del professor Sacks come di miglior scrittore che ricercatore.
Oliver Sacks, Zio tungsteno, Adelphi, pp. 317 € 15