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martedì 20 luglio 2021

Landolfi impossibile

Un Landolfi giocoso. Apre “La passeggiata”, tre pagine di nulla, parole senza più senso estratte dallo Zingarelli – allora il vocabolario più diffuso. Un giallo elucubrato su una notazione di Gaboriau, una parodia. Allevatori di polli in batteria finiti dentro una rete più grande, gestita da polli giganti. Un esercizio sarcastico di filologia inventiva su S.P.Q.R. Qualcuno nel cosmo ha letto di un pianeta Terra, padre e figlio si chiedono cosa possa essere. 

Chiudono la raccolta due brevi testi molto landolfiani. Uno, da ultimo, sui modi del raccontare. Il penultimo è la confidenza di un compagno di viaggio, che la inventa e la modula per compiacere il suo occasionale interlocutore, che presume scrittore - una esemplificazione del romanzesco.

Un Landolfi scherzoso come lo è sempre stato, benché divagante, fantastico, metafisico, loico, segreto. Ma sempre da remoto, intellettualistico. Una lezione in classe sulla morte prende cinquanta pagine: un racconto filosofico, ma non alla maniera di Voltaire, no, di filosofia vera, argomentata, un dialogo platonico, più frammentato. Freddo di programma, il lettore di racconti si smarrisce.

Un Landolfi risentito. La raccolta è assortita in appendice di due testi testi polemici, “Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni” e “Fatti personali”, l’ultimo testo, questo, proposto al “Corriere della sera”, cui Landolfi collaborava, che però non lo pubblicò. Contro Leone Piccioni, che pure si era speso molto per Landolfi, nei premi leterari, nelle critiche, in televisione, e contro Paolo Milano e, a lungo, Montale (Fatti personali”), rei di essersi occupati, con benevolenza, dei “Racconti impossibili”. Perfino contro Geno Pampaloni, che alla periclitante Vallecchi aveva passato la pubblicazione della raccolta nel 1966, malgrado le limitazioni imposte dall’autore: niente scheda, niente risvolto, niente presentazioni, niente promozioni, interviste, conferenze. 

Un risentimento di cui Giovanni Maccari, che cura il volume, non si dà ragione. Trovandola in ultimo in una sorta di complesso di superiorità, per quanto irriflesso. Essendo Landolfi “l’autore di limpide speculazioni linguistiche come il ‘Dialogo dei massimi sistemi’ (1937) e ‘La Dea cieca o veggente’ (1962)”, e “uno scrittore poliglotta, ipercolto e, si è detto, insieme a D’Annunzio, il più addentro alla lingua italiana del Novecento”. Ma è la narratività che lo isola. Un paio di racconti brevi, centrati sul romanesco, lingua e caratteri, nella forma ironica di Gadda, ne mostra la distanza dalla narratività dell’Ingegnere – Landolfi non esce dal bozzetto
Tommaso Landolfi, Racconti impossibili, Adelphi, pp. 195 € 14

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