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martedì 17 giugno 2025

Il mondo com'è (483)

astolfo


Alice Barbi
– È stata la suocera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la madre di Alessandra “Licy” Wolff, la moglie dell’autore del “Gattopardo”. Molto frequentata da Lampedusa da quando si stabilì a Roma, sul finire degli anni 1920, moglie in secondo letto di Pietro Tomasi della Torretta, zio di Tomasi di Lampedusa, fratello minore del padre Giulio, secondo di cinque fratelli tutti maschi. Tomasi della Torretta era stato un importante diplomatico. A Londra nel 1920 aveva sposato Alice, vedov del barone tedesco-lettone Boris Wolff von Stomersee, il padre di “Licy”. Era poi stato ministro degli Esteri del governo Bonomi, 1921-1922, su indicazione del re Vittorio Emanuele III, che contemporaneamente lo nominò senatore. Al Senato era tornato nel 1927, dopo un lungo soggiorno a Londra come ambasciatore, quando fu escluso da Mussolini dalla diplomazia - presiederà il Senato durante la Luogotenenza, 1944-1946, membro della Consulta, e nel 1948, dopo il primo voto politico, membro di diritto del primo Senato, in base a una disposizione transitoria della Costituzione (essendogli il nipote Giuseppe premorto, ereditò anche i titoli dei Tomasi di Lampedusa connessi al maggiorascato: duca di Palma, principe di Lampedusa, barone di  Montechiaro, barone della Torretta, Grande di Spagna di 1a classe).
Di Alice dice tutto bene Gioacchino Lanza Tomasi nel libro di memorie, “Lampedusa e la Spagna”, pp. 84-85: “Una donna autonoma e volitiva, vissuta lungo tempo all’estero. La Barbi era un mezzosoprano di grande bellezza, un fiero e indipendente carattere, era stata un perno delle serate di musica italiana da camera tenute nel salone della regina Margherita, corrispondente e amica di Giuseppe Martucci, prima di intraprendere una carriera di liederista in Germania, dove era stata l’ultima fiamma di Johannes Brahms. Questi l’aveva accompagnata nel suo concerto di addio, quando a quarant’anni aveva accolto la proposta di matrimonio del barone baltico Boris Wolf von Stomersee”.
Nata a Modena nel 1858, morirà a Roma a novant’anni. Sposò Pietro della Torretta quindi a 62 anni.
Anche la sua seconda figlia, nata due anni dopo Alexandra, Olga, sposò un diplomatico italiano, Augusto Biancheri Chiappori, col quale vivrà poi a Roma. Olga è la madre di Boris Banchieri, lo scrittore, anche lui diplomatico di rango, segretario generale della Farnesina, che ha custodito molte memorie dello zio acquisito Tomasi di Lampedusa, sempre a suo agio nella famiglia di Olga.
 
Giuseppe Becce
– “È stato un compositore italiano del cinema tedesco”, esordisce secca wikipedia. Oggi dimenticato, è stato un personaggio importante, come attore e come musicista, del cinema in Germania. Dove è morto, a Berlino Ovest, quasi centenario (di 96 anni), nel 1973. Era emigrato nel 1906, a 29 anni, originario di Lonigo (Vicenza), dopo aver fatto studi, fra le tante applicazioni tentate, di musica e filosofia a Padova. A Berlino approfondì gli studi musicali col maestro ungherese Arthur Nikisch, e con Ferruccio Busoni, altro illustre espatriato – mezzo empolese, mezzo triestino. Sarà compositore e direttore d’orchestra, ma fu famoso dapprima come attore, di film importanti: “Richard Wagner” (1913), nel ruolo del compositore, “Il gabinetto del dottor Caligari” (1920), “La tragedia di Pizzo Palù” (1929). Come attore è ricordato anche per i Berg-Film, i film di montagna, dove ebbe come co-protagonista anche Leni Riefenstahl.
È uno dei tre musicisti italiani di maggior nome emigrati in Germania nel primo Novecento, con Busoni e Bruno Maderna. Famoso soprattutto come compositore di musica per film. Che praticamente ha inventato. Dapprima con gli accompagnamenti al piano, e con un piccolo complesso orchestrale, Orchester des Berliner Mozartsaals – che localizzò a Nollendorf Platz, “Nolli”, il centro della vita omosessuale a Berlino. Poi con la colonna sonora. Musicista accreditato della Ufa, la maggiore casa di produzione di cinema in Germania fra le due guerre, e nel dopoguerra
 con la Heimatfilm, tedesco-occidentale. Per film musicali specialmente, su temi e arie d’opera e operetta. Editò dal 1920 per alcuni anni la rivista di settore (musica per film) più accreditata, “Film-Ton-Kunst”. E pubblicò anche successivamente, nel 1927, il primo manuale della musica da film, “Allgemeines Handbuch der Filmmusik”.


Ricciotto Canudo – Ricciotto Colombo Canuto Attilio Enrico Canudo, conosciuto come Ricciotto Canudo, è l’inventore della “settima arte”, del cinema come arte. Nel 1921, quando pubblicò il saggio-manifesto “La nascita della settima arte”. A 44 anni, due prima di morire. A Parigi, dove viveva da 22 anni. Poligrafo (poeta, critico cinematografico, scrittore di varia umanità, romanziere) apulo-parigino, è negli annali per questo, per l’invenzione della “settima arte”. Ma anche per esserne stato il primo studioso, sotto molteplici aspetti.
Visse poco, dal 1877, quando nacque a Gioia del Colle, al 1923, quando morì a Parigi subito dopo essersi sposato, e avere pubblicato il suo lavoro principale, “Riflessioni sulla settima arte” – “L’officina delle immagini”, che raccoglie i suoi migliori saggi sul cinema, sarà pubblicato quattro anni più tardi, nel 1927, a opera dello scrittore franco-belga Fernand Divoire. Ma operò e scrisse molto – non poco anche come referente parigino di Gabriele D’Annunzio. Oggi sconosciuto ai più (la sola traccia è una dissertazione di laurea una decina d’anni fa, allo Iulm, di Giulia Mauri, per “Linguaggi dell’arte”, una monografia per “Un’estetica della sintesi. Ricciotto Canudo teorico delle arti”), ma non in Francia, dove si stabilì a 25 anni, abbandonando un modesto impiego al Comune di Roma. Si stabilì a Parigi, visse per qualche tempo di stenti, ma presto diventò un personaggio in vista del giornalismo e culturale. In Italia l’ultimo suo ricordo risale al 1966, quando Mario Verdone, il critico cinematografico (papà di Carlo), curò la prima, e poi unica, edizione italiana dell’opera maggiore di Canudo, “L’officina delle immagini”, la raccolta curata da Divoire.
In Italia la sua memoria resta confinata a Villa Stampacchia, la villa al mare, alla vecchia Marina di Bitonto, della madre Emilia Stampacchia, che dopo varie vicissitudini è ora adibita dal Comune di Bitonto e dalle Belle Arti a casa della sua memoria. Alta borghesia e genialità, la famiglia Stampacchia, da cui Ricciotto può avere mediato carattere e predisposizioni. Famiglia di giurisperiti e avvocati, gli Stampacchia di Bitonto – residenti a Bari ma di origini leccesi. Un cugino di Ricciotto, Vito Mario Stampacchia, nato cinque anni prima di lui, nel 1872, è stato nel dopoguerra, in tarda età, deputato del Psi a Roma. Hanno costruito la villa due fratelli di Emilia, entrambi avvocati e poi magistrati, due gemelli, nati a sei ore di distanza, che moriranno a sei ore di distanza. Guido Stampacchia, di un ramo passato da Lecce a Napoli, è stato nel secondo Novecento matematico illustre.
Ricciotto scartò. Fece pochi studi tecnici. A 18 anni si offrì volontario in sostituzione del fratello maggiore Raimondo al servizio militare, fu ufficiale di complemento a Bari. Congedato, se ne andò a Firenze, a studiare lingue orientali. Da Firenze esordiva nel 1898, a 21 anni, come poeta, con una raccolta pubblicata a Bologna dell’editore Cappelli (editore a spese dell’autore, come ancora nel 1923 per “La coscienza di Zeno”), “Le piccole anime senza corpo”. Firmando “Karola, Olga, Edina”, la prima e l’ultima due ragazze da lui mate, Olga la sigla di Onore, Lavoro, Gloria, Amore. Poi passò a Roma, a studiare teosofia. Con un piccolo impiego.  
Nel 1902, a 25 anni, è a Parigi. Preso in benevolenza dal sociologo, criminologo e filosofo Gabriel Tarde, che morirà nel 1904, entra nell’ambiente giornalistico, e della bohème intellettuale e letteraria – vanterà l’amicizia di Apollinaire, Braque, Delaunay, Picasso, Milhaud, Ravel. Dapprima come mediatore della cultura italiana - si adopererà sempre molto per D’Annunzio, per i suoi scritti in francese e per la sua ricezione a Parigi. E approfondirà la ricezione del cinema, la nuova arte. È negli annali, gennaio 1908, un saggio sul cinema, che la rivista senese “Vita d’Arte” pubblicò. Il 25 novembre dello stesso anno un suo “Trionfo del cinematografo” fu pubblicato dal “Nuovo giornale” di Firenze. Nel 1911pubblicò su “Les Entretiens idéalistes” la teorizzazione che veniva maturando della nuova arte, detta allora la “sesta”, “La naissance d’un sixième art. Essai sur le cinématographe”: “Viviamo tra due crepuscoli, quello della sera di un mondo, e quello dell’alba di un altro. La luce del crepuscolo è imprecisa, e i contorni di tutti gli aspetti sono confusi, solo una vista affilata dalla volontà di scoprire gesti invisibili e originari degli esseri e delle cose possono orientarsi in mezzo alla visione annebbiata dell’anima mundi. Ma la sesta arte s’impone allo spirito inquieto e scrutatore. E sarà la superba conciliazione dei Ritmi dello Spazio (le Arti plastiche) e dei Ritmi del Tempo (Musica e Poesia)”.
Un saggio notevole per il concetto di “unità dinamica dell’arte”, delle interconnessioni fra le arti, plastiche e dei “ritmi del tempo”, e della loro continua, intrinseca, evoluzione, tecnica e creativa – “il teatro ha realizzato fin qui questa conciliazione. Era effimera, perché la plastica del teatro s’identifica con quella degli attori, ed è per conseguenza sempre diversa”, il cinema la realizza. Un saggio che ebbe agio di leggere alla École des hautes études, per la presentazione del film “L’Inferno”, di Giuseppe De Liguoro.
L’interesse per il cinema sarebbe stato anche anteriore a questi scritti documentati. Sisto Sallusti, pseudonimo redazionale, nella voce che la Treccani ha dedicato a Canudo nel vol. 18 (1975) del “Dizionario biografico degli italiani”, lo fa anche “inventore, all’età di trent’anni, nel 1907, (del) primo cineclub del mondo, che denomina «Le Club des Amis du Septième Art», in cui si parla di  tecnica cinematografica, montaggio, rapporti tra la luce e l’azione”. L’“invenzione del cineclub” è dibattuta - ma non eravamo ancora alla “sesta” arte? Di certo, nel 1913 fondò e diresse una rivista, “Montjoie”, per l’“unificazione” delle arti. Nel 1914, il 9 febbraio, pubblicò anche lui un suo “manifesto” su “Le Figaro”, sulla scia di Marinetti nel 1908, contro il sentimentalismo e per la sperimentazione e l’innovazione, “Manifeste de l’art cérébriste” - per “un’estetica indissolubilmente cerebrale e sensuale, contro ogni sentimentalismo nell’arte e nella vita”.
Allo scoppio della guerra si arruolò nella Legione straniera. Aggregato, col grado di tenente, alla Legione Garibaldina, con la quale combatté nelle Argonne. Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia e lo scioglimento della Legione, fu comandato in Algeria, a Orano, la città che sarà di Camus. Passò capitano, tornò in Europa, e al comando di una compagnia di zuavi combatté contro la Turchia, in Macedonia e nei Dardanelli. Fu ferito, forse, e comunque ottenne numerose decorazioni militari, anche italiane.
La “settima arte” nasce definitivamente nel 1921, col manifesto così intitolato, “La nascita della settima arte”. Il cinema unisce spazio e tempo, le arti plastiche con la musica e il movimento, la danza. Il cinema dunque arte totale, “nuovo mezzo di espressione”, “officina delle immagini, “scrittura di luce”.
Pubblicò anche un romanzo (in francese, nel 1913, “Les Transplantés”), prose brevi, come quelle dell’esordio, “Piccole anime senza corpo”, raccolte poetiche, tragedia, un balletto (una rappresentazione con scene di Fernand Léger e musica di Honegger), saggi musicali e sulla letteratura (anche su Dante, “L’âme dantesque”).
Trascurato nelle biografie, il balletto fa di Canudo un personaggio centrale nella scena parigina dopo la Grande Guerra. Ricordato per i costumi di Fernad Léger, il balletto “Skating Rink à Tabarin/Ballet-aux-Patins/pour la musique”, coreografo Jean Börlin, musica di Arthur Honegger, era una produzione 1922 dei Ballet Suédois, la compagnia fondata dal collezionista d’arte svedese Rolf de Maré sul modello dei Ballets Russes di Diaghilev, e si basa su una poesia dallo stesso titolo pubblicata da Canudo nel 1920.  

astolfo@antiit.eu

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