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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (614)
Giuseppe Leuzzi
Francesco Seminario, sindaco di Casabona, un paese
dell’ex Marchesato (Crotone), cone dire un posto per decenni – per secoli? - abbandonato,
arrestato un anno fa per mafia, è scagionato ora del tutto. Era sindaco per la terza
volta – dopo un congruo intervallo dopo le prime due. Una persona cioè di fiducia.
È anche avvocato. Ma è – era – socialista, e questo non va bene alla Procura di
Crotone. Che è Dem. Ma “bianca”. Al Sud la politica non è “liquida”, non si è
liquefatta: è sempre, radicalmente, incistata.
Il rapporto
Nord-Sud, dice Marta Petrusewicz, che ha visto molto mondo, nella nativa Polonia
comunista e poi negli Stati Uniti dove ha insegnato, prima della Unical di
Cosenza, è “un rapporto che è stato sempre definito in termini di superiorità e
inferiorità, e che oggi vede una forte ripresa della criminalizzazione del S ud.
Perché esistono le mafie, certo, ma anche per rappresentare i meridionali come incapaci
di provvedere a loro stessi. Questa criminalizzazione ha finito per creare una
fiacca morale del Sud, dove è stato interiorizzato il senso della sconfitta”.
Questo
è tutto? Sembra poco e invece è un fronte inattaccabile. Un fronte nel mezzo
dell’Italia.
I santi
dell’antimafia
La chiesa interviene contro la
ferocia mafiosa canonizzandone le vittime, il giudice Livatino, don Pino Puglisi,
e altri. Vittime intese come martiri, giacchè opponevano alla violenza il
rifiuto totale – non politico, non opportunista, non farisaico. Fuori della chiesa,
invece, l’antimafia sempre più deriva verso il falso: l’opportunismo, l’interesse
personale, per quanto politico, la “faccia lavata” (formalismo, farisaismo).
Si prendano Falcone e
Borsellino, che pure dovrebbero essere santi senza dubbio seppure laici – anche
martiri, ma la parola si riservi pure alla chiesa. Sono espedienti invece, niente
altro. L’errore-non errore del giudice Gratteri che fa schierare Falcone nei
ranghi del no alla separazione delle carriere (“non errore” perché il giuidice ha
avuto la falsa intervista di Falcone da peersona a lui nota come “rispettabilissima
e informatissima”). In parallelo con l’altro falso che si attribuisce a Borsellino:
“La mafia non si vendica”. Che è una “intervista impossibile” a Borsellino morto
di Enzo Mignosi: “Intuivo che mi avebbero ucciso, ma che non sarebbe stata una
vendetta di mafia, perché la mafia non si vendica”. Roba da antimafia che si
vuole anti-Stato – che è uno Stato che dubita di se stesso (“servizi deviati”, “apparati”,
“grandi vecchi” etc.).
O, sull’altro versante, della
critica al tutto mafia, lo Sciascia di “lo Sato non può processare se stesso”. Che
Guido Vitiello non ha trovato negli scritti di Sciascia e nemmeno nelle interviste:
“Negli
scritti di Sciascia, almeno in quelli in cui era ragionevole attendersela”, ha
scritto il 16 marzo 2014 sul “Foglio”, “L’apocrifo di Sciascia”, “la frase non
c’è (la si trova invece nella commedia “Oplà, maresciallo” di Giovanni Arpino,
che fu il mentore del giovane Travaglio presso Montanelli)”. E il primo a farne
uso è il giudice Ingroia, il Procuratore palermitano che avrebbe tentato la politica
con un proprio partito, nel 2001 sulla rivista “Micromega”.
Una considerazioe inventata, concludeva Vitiello, e di
senso ambiguo: “I tanti che la
citano tra virgolette, un clan endogamico che avrebbe fatto la gioia di
Lévi-Strauss – Marco Travaglio, Saverio Lodato, Maurizio Torrealta, Salvatore
Borsellino, Sandra Rizza, Beppe Grillo – se la passano di bocca in bocca senza
mai menzionarne la fonte”.
Il ritorno è un falso
“Se il nostos, il ritorno
omerico alle radici, è un fake” è più di un ghiotto giochetto
di parole da instagram, perché è vero – poco o molto, ma nell’intimo.
Tutta la narrativa - la narrativa
occidentale, ora è opportuno precisare - è di un “viaggio di ritorno”. Dall’“Odissea”
a Proust, o Céline, e a Thomas Mann – o a un Philip Roth, volendo. Narrare è viaggiare,
si suole dire. Ma non nell’incognito - neanche nella fantascienza. Né si potrebbe
– qualsisi narrazine si radica nel suo autore. Con più verità, è una lotta di se
con se stessi. Ma nella pratica è sempre deludente: o l’habitat è mutato, o noi
siamo mutati. Il passato si può ricostituire ma è un’altra cosa, senza l’aura,
o la patina, della memoria al contrasto con la realtà, con quello che si vede e
si sente.
Il “viaggio” sì, è lusinghiero:
pregnante, promettente, profumato. Lo sbarco no. C’è forse un po’ di curiosità,
ma senza regressione – e perché poi? non si è come si era, è un fatto fisico
(il tempo esiste, e passa). Non solo la “memoria” è cambiata, ambienti, persone,
modi, linguaggi, di pensare, di dire, di giudicare, anche solo di porsi, di
essere visti. Ma già a partire da se stessi: non si è più quelli, anche nella
memoria delle “radici”.
La restanza” si Vito Teti ha
un sentso, il nostos è fine a se stesso. Possibile, libero, ma deludente.
Una riappropriazione, ma di un reale comunque sfuggente. Impossibile nella pratica,
fino alla politica – non si ricordano ritorni produttivi. Deludente nell’aspettativa.
Nella psicologia, comunque datata. Anche senza cattiva volontà, anzi con tutta la
buona volontà, di chi torna e di chi c’era, è restato – che più spesso è, anche
lui, uno di ritorno.
Diverso è il nostos per
la forza del richiamo. Delle cose e dell’ambiente – anche soltanto di un linguggio,
compartecipato. E in questo sta – starebbe – ancora la forza residua del Sud,
il richiamo imperscrutabilmente ancora attivo, “contro venti e maree”.
Sudismi\sadismi
Cervelli in fuga – da se stessi
“Sud,
con la fuga dei giovani si perdono oltre 4 miliardi l’anno”, è la conclusione del
“focus” Censis-Confcooperative, “Sud, la grande fuga” – Confcooperative “bianche”,
quelle di Leone XIII. 134 mila giovani che studiano in università del Centro-Nord
sono “157 milioni di euro evaporati (ogni anno, n.d.r.) dalle casse degli
atenei meridionali”. I soldi sembrano
pochi, ma il tema è serio: il Sud post-unitario è rimasto con le poche università
che aveva prima, solo da qualche decennio l’offerta si è allargata.
Poi ci sono i “36.000
laureati al Sud che hanno scelto le regioni centro-settentrionali o l’estero
come approdo lavorativo” – una cifra incomprensibile: il totale annuale (le
università del Sud laureano così tante persone?)? il totale dei laureati
espatriati? E da che anno a che anno? Ma con questi la perdita sarebbe di 4,1
miliardi di euro, cifra rispettabile: “Soldi investiti dal Sud per formare una
classe dirigente che poi sceglie di restituire altrove il proprio know how”.
E allora, che fare? “Produrre” meno laureati – giusto
i pochi che il Sud riesce ad assorbire?
Il dilemma solitamente è cornuto. Ma qui no. Vogliamo
più formazione universitaria, qualificata va da sé? O non più occasioni
di lavoro, e meno lamentele: cioè un “ambiente” attraente, per costi, servizi, opporutnità,
e senza complessi? Di cervelli non in confusione.
Cronache della differenza: Napoli
Improvvisamente
è gelo fra Conte, l’allenatore, e la città: bastano un paio di sconfitte,
sonore per la verità, ma che con evidenza non sono colpa dell’allenatore. Dopo
averlo dichiarato napoletano a vita, dopo che, quasi da solo, ha vinto uno
scudetto. La città si affeziona, calorosamente, e si disaffeziona in fretta. Caso
unico fra le tante tifoserie accese, della Roma p.es., dove la pazienza è
uguale alla passione (stadio sempre pieno), o del Torino, o del Milan.
Soprattutto,
a Napoli, ci si disaffeziona dalla squadra – caso unico fra le tante in Europa
e nel mondo. Prima che con Conte, l’ammutinamento ha colpito Spalletti,
Ancelotti, Gattuso, Mazzarri, Donadoni, lo stesso presidente De Laurentiis. La
città si può dire contagiosa.
Curisoamente,
si sa anche perché il Napoli ha cominciato all’improvviso a perdere le partite,
pur essendo in testa alla classsifica. Ha vinto l’anno scorso grazie alla difesa.
Quest’anno la difesa è stata indebolita e i gol al passivo fioccano. Questo si
sa, ma non interessa.
Fare
mercato del covid? E perché no, presto fatto: “Nasce gettonopoli”. Riunioni su
runioni da remoto, anche di commissioni più o meno decisorie, e nessun
disturbo. È l’ultimo ritrovato dell’arte di arrangiarsi. Ma da qualche tempo
comodamente – da “colletti bianchi”: a virus virus e mezzo, di fantasia.
Maradona?
L’antropologo Niola non esclude che il culto popolare possa produrre “veri e
propri miracoli”. Francesco Palmieri, l’autore di “Napoli misteriosa, magica,
feroce”, ne documenta in un lungo saggio sul “Foglio”, “Non solo Maradona”, una
lunga serie “miracoli” sempre attivi in città. Maradona, per ora, ha solo provveduto
al “tavolo sospeso” per i bisognosi il 30 ottobre, giorno della sua dipartita. Si
rivitalizza il culto di Totò. E quello di don Dolindo Ruotolo, il “Padre Pio”
napoletano – profetizzò nel 1950 l’avvento di Woytiła, il papa polacco. E si
moltiplicano i santi malacarne, con
murales e altarini – troppi per docunentarli: i “santi di Gomorra”, Genny
Verrano, il quindicenne Ugo Russo, Luigi Caiafa, Emanuele Sibilo, “il capo
della «paranza dei bambini».
Nella
chiesa di San Ferdinando di Palazzo san Charbel Makhluf, il monaco libanese
canonizzato da Paolo VI nel 1977, riempie in continuazione la polla dell’“olio
di san Charbel”. La chiesa di santa Caterina a Formiello (porta Capuana)
raccoglie le teste dei 240 santi martiri decapitati dai turchi a Otranto nel
1480. Oggetto di grande devozione. Insieme con le spoglie di Franceschiello,
l’ultimo re Borbone, “servo di Dio” per la chiesa, e della madre Maria Cristina,
“beata”.
Nella
stessa chiesa dei martiri di Otranto e dei beati Borbone “gli storici collocano
la nascita ufficiale della camorra: fu all’interno della maestosa chiesa che
venne recitato per la prima volta, in un giorno del 1842, lo statuto in ventisei
articoli con cui si stabilivano le regole della «Bella Società Riformata»”.
“Fuitevenne”
avrebbe consigliato ai concittadini Eduardo. Che però a Napoli rimase, anche se
viaggiando da Roma, e prosperò. È difficile pensare che esiste anche l’ironia -
a Napoli come altrove. O il sarcasmo.
Se
tutti i napoletani se ne scappassero, quanti problemi per il leghismo!
Dino
De Laurentiis, che come presidente del Napoli ha mostrato in tante occasioni nervi
forti, usa anche querelarsi. Contro giornalisti, e ora anche contro Mauro Corona,
l’allegrone che alleggerisce la tv di Bianca Berlinguer, “Cartabianca”. Per una
notazione di Corona cinque o sei anni fa, al tempo del covid, quando De Laurentiis
si recò a una riunione dei presidenti del calcio benché avesse la febbre.
Notazione nella quale non si vede un motivo di querela. Sarà questa la napoletanità
del freddo produttore-presidnete, il virus dell’avvocatura”. Curioso, questa figura
tradizionale del “teatro” napoletano, che si trascuri.
Anche
la politica è “sospesa”, scopre Alessio Gemma sul “Venerdì di Repubblica” nella
campagna elettorale per le Regionali del 23 novembre. Grandi manifesti di
facce, affiancate da slogan magniloquenti, e nessun partito. Candidati in
attesa di un partito. Ma la politica è anche teatro. Certo, questi candidati sembrano mercenari,
al migliore offerente - attori.
All’instabile, sospettso, vendiacrtivo Vito Genovese, mafioso napoleano
a New York, si affianca nel film “The Alto Knights - I due volti del crimine”, il racconto di
come Frank Costello in vecchiaia vede gli anni di attività, una moglie superba, Anna,
imprenditrice capace, che si fa anche moglie di Genovese ma se ne difende (Genovese ruba alla cassa del suo
locale) con rabbia e con intelligenza.
Una “donna del Sud” molt veritiera, che si vede solo in un film molto
americano.
leuzzi@antiit.eu
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