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sabato 19 agosto 2023

Le pene dello sradicamento, con humour

“Ai genitori e alla sorella”, all’India in realtà, la raccolta di racconti è dedicata. Nel tentativo di “capire ciò che non afferravo”, spiega l’autrice a Missiroli nell’intervista che introduce la riedizione: “I miei genitori soprattutto. Mi amavano molto, mi proteggevano, ma io ero già divisa e ricordo di essermi sentita straniera anche con loro”. Una differeza, o scissione, che non è così semplice come sembra – uno emigra e per qualche tempo si trova a disagio, non di qua e non di là: “È un dolore importante che provo a elaborare qui e in tutti i miei libri. Fa parte del mio malanno, e della sua cura”. Ma è una celebrazione in realtà dell’India trasvolata, al di qua degli oceani: dei belletti, i colori, le capigliature forti, i sari, dell’inanità delle mogli, che hanno pure cura di sé ma si spendono a occhi chiusi nelle faccende domestiche. Specialmente della miriade di cibi di quella formidabile cucina: si preparano, si cucinano, si mangiano e si sgranocchiano a ogni pagina.
Una scrittura, senza eccessi, divertita in realtà, e divertente. Il tratto è crepuscolare – di quella remota stagione minimal anticipata di mezzo secolo che l’Italia gha avuto nel dopoguerra, con Marino Moretti e pochi altri.
Dieci racconti di un mondo che è stato il suo, dell’autrice, ma lei non ha “vissuto”, se non a distanza – è il ragazzo, Eliot, lasciato alle cure dopo la scuola della laboriosissima, attentissima e impratica signora Sen che si è proposta a baby sitter. Cosmopolita per definizione ma più per bisogno, poiché senza radici. Di famiglia indiana, ma di nascita e di forma mentis, nonché inguaribilmente nostalgica (i genitori, i nonni, le sorelle, i fratelli, i nipoti, le feste…), di fatto trapiantata. Nata e cresciuta in Inghilterra, universitaria e scrittrice americana, da una dozzina d’anni romana, scrittrice italiana. La scrittrice della differenza come mancanza, come smarrimento. Racconti del “tipo” indiano, visto in filigrana, sul reagente americano. Non specialmente caratterizzato questo, solo quotidiano, “normale”.
L’interprete dei malanni, il signor Kapasi, lavora come guida turistica (“vado in gita”) il venerdì e il sabato, i giorni della settimana lavora presso uno studio medico. Fa l’interprete del medico, che “ha molti pazienti del Gujarat” ma non capisce il gujarati, che invece il signor Kapasi padroneggia, perché suo padre “era del Gujarat”. Nel racconto guida al Tempio del Sole a Konarak una coppia di americani con tre figli, che gli sembrano indiani ma non hanno e non sanno nulla dell’India, loro si limitano a venire ogni due anni a trovare i genitori che sono tornati in India con la pensione.
È di questa identità gregaria che l’autrice si è voluta liberare, scegliendo una ligua e un mondo terzi, l’italiano a Roma, una cultura classica? Qualche autoanalisi è in grado di produrre nell’intervista con Missiroli.
Jhumpa Lahiri, L’interprete dei malanni, “Corriere della sera”, pp. XIV + 225 € 8,90

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