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Al Gran Circo Gadda
Umanista e ingegnere,
milanese a Roma, ma soprattutto passatista e innovatore, nei primi anni 1930
Gadda approfitta del lavoro ben remunerato del papa a Roma per le consulenze sull’Acqua
Marcia, l’acquedotto che arriva al Fontanone del Gianicolo, per farsi pubblicare nel 1934 da “Solaria” questa seconda raccolta di racconti. La prima, sempre affidata alle
edizioni della rivista fiorentina, era uscita tre anni prima, nel 1931, “La
Madonna dei filosofi” – senza echi, malgrado la mobilitazione della rivista. Con questa seconda raccolta, invece, Gadda sarà premio Bagutta 1935, e autore riconosciuto. Dopo averla farcita di note (semiserie), seguendo il consiglio di De Robertis, recensore unico, fra i pochi lettori, della prima raccolta.
Dire di che si tratta in
questa miscellanea è non dire nulla. Una crociera nel Mediterraneo – ironia? I
musicanti girovaghi – un’invettiva. La festa dell’uva a Marino. Il medaglione
di un papa Innocenzo. Monotematici invece i primi cinque testi, cinque “articoli
di guerra”, sulla delusione e anzi la vergogna del reduce. Lo sconforto, da
ufficiale (di artiglieria) in trincea e da prigioniero di guerra, di una
conduzione all’insegna dell’incapacità e della furberia. Era la guerra, per il
giovane ingegnere interventista, un esercizio etico rigeneratore, per il sogno
di “una vivente patria, come nei libri di Livio e di Cesare” – “tutto, tutto
sto cinema, nel mio cuore disumano, si trasfigurò in desiderio, diventò viva e
profonda poesia, inguaribile amore”. Di cui non poteva non disilludersi. Sopraffatto
dalla mitizzazione della furberia, “ignobile e turpe”, abbandonato “verso la
riva dell’inutilità”.
Tutto qui: Gadda è linguaggio.
Sì, la critica della (piccola) borghesia milanese. Sì, l’irredentismo e l’interventismo.
Sì, ma poi – piaccia o non - è tutto nei borborigmi del brontosauro. Clownesco,
volteggiatore, prestigiatore, e illusionista della parola: un “augusto” che è
anche tutto un circo - solo gli mancano le tette. Dotato di grandi conoscenze
letterarie, giù per i secoli, forme, figure, fonemi, mitologemi, che non lo
sopraffanno come succede ai più, sa addomesticarli e rilanciarli, un addestratore
maestro.
Un'edizione “quasi critica”,
come è ora delle riedizioni Adelphi di scrittori del Novecento, Malaparte, Sciascia,
Landolfi, ricca di molteplici apparati. Claudio Vela, che con Paola Italia e Giorgio Pinotti cura il tutto Gadda di Adelphi, arricchisce la pubblicazione di un paratesto che quasi doppia i testi gaddiani. Recuperando la prima edizione, quella del 1934, e i tagli - soprattutto nelle note, politicamente compromettenti - della riedizione voluta da Garzanti venti anni dopo, nel 1955, segnalando tra parentesi quadre. Segnalando, in questi tagli riesumati, o altrimenti documentando, condiscendenze e omaggi di Gadda al regime, al fascismo - ma non era un antemarcia, tesserato nel 1921, in chiave di reducismo-patriottismo?
Carlo Emilio
Gadda, Il castello di Udine, Adelphi, pp. 339 € 22
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