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giovedì 9 ottobre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (609)

Giuseppe Leuzzi


Ascolti in calo per “Lezioni di mafia” del giudice Gratteri su “La 7” dopo la prima curiosità: da1,1 milioni di audience al debutto a 950 mila e a 720 mila in quindici giorni. Forse le mafie non tirano 
più tanto, malgrado il brio che ci mette il giudice. Sarebbe il primo calo d’interesse da “La piovra” quarant’anni fa – la serie di cui la Polizia ha voluto insignire l’interprete, Michele Placido, qualche giorno fa del titolo di “poliziotto ad honorem”, per la fama che le avrebbe conquistato.

 
Emanuele Trevi, che ha passato le estati fino ai vent’anni dalla nonna materna in Calabria, e la celebra in “Mia nonna e il Conte”, dà un senso pieno al (poco) dialetto che usa: cibbia (gebbia), vagabundu e scostumatu. Sbaglia la trascrizione, e quindi le fonetica (cibbia è ggibbia), ma ha pieno il senso delle parole. Il senso cioè locale, dialettale. Non quello del vocabolario, della traduzione. Il dialetto ha sue valenze (significati, sfumature) che l’equivalente in lingua non ha. Il linguaggio è radicato.
 
La città italiana con più centri commerciali non è Milano: è Catania - secondo una ricerca di “Men’s Health”. Sempre al Sud, in Campania, le strutture più grandi: il Centro Commerciale “Campania”, a Marcianise, provincia di Caserta, e il “Vulcano Buono” a Nola, provincia di Napoli. Modernizzazione? Omonegeizzazione sicuramente, malgrado i leghismi.
 
La campagna regionale perdente di Pasquale Tridico, 5 Stelle, è stata puntata sul sottogoverno: soldi per tutti, senza faticare. Una campagna “laurina”, da Napoli anni 1950, affamata, negli anni 2020. Un errore così marchiano da non potersi attribuire a nessuno stratega elettorale. Ma è la forma mentis dell’emigrato. Dell’emigrato mentale come Tridico, che della Calabria si è ricordato solo perché spinto dai 5 Stelle. Che fa propria, sulle proprie origini, la narrativa dominante.
Si spiega che Tridico non sia stato votato neanche dai suoi, secondo l’Istituto Cattaneo, che analizza i flussi elettorali: “Da sinistra a destra”, al concorrente di Tridico, si è spostato un 5 per cento del voto, “dall’area «liberaldemocratica» e da elettori che nel 2024 avevano votato per il M5S”.
 
Sudismi\sadismi
La partecipazione al voto alle regionali in Calabria è stata bassa oppure alta? Votano sempre in pochi, dicono i commenti più benevoli, la politica è estranea al Sud. E si svolge su pattern ridicoli – naturalmente non poteva mancare il commento irridente su questo aspetto del mangiaterroni Gian Antonio Stella, firma privilegiata del “Corriere della sera”, martedì 7: “Prometto tutto in stile «Cetto La Qualunque»”. 
L’Istituto Cattaneo sottolinea invece il contrario: in Calabria si vota, e a ragion veduta: “Dobbiamo sottolineare che, al contrario di quanto si potrebbe ritenere considerando i tassi di partecipazione ufficiali, la partecipazione alle regionali è notevolmente cresciuta rispetto alle politiche del 2022 e alle europee del 2024 (come del resto era capitato nel 2020 rispetto alle europee del 2019). Questo  perché in Calabria il numero degli aventi diritto al voto residenti all’estero è molto più elevato che in altre regioni: è pari a circa il 20 per cento degli aventi diritto. Questi elettori non sono inclusi tra gli aventi diritto nelle sezioni elettorali calabresi al voto per il parlamento nazionale, perché in quel caso possono votare in apposite circoscrizioni estere. Sono invece inclusi nella base su cui si computa il tasso di partecipazione “ufficiale” nel caso delle elezioni regionali e locali, in quanto possono esprimere il voto solo recandosi al seggio nel comune di origine. Ma, ovviamente, non tornano in Italia per votare.
“In Calabria il numero dei votanti è cresciuto in queste regionali, rispetto alle precedenti elezioni parlamentari (nazionali ed europee). E se si calcola il tasso di partecipazione alle regionali considerando solo i residenti, cioè coloro che realmente hanno la possibilità di partecipare al voto (e ne hanno realmente interesse), il tasso di partecipazione supera il 50 per cento, raggiungendo livelli simili a quelli a cui si sono collocate negli ultimi anni varie regioni del centro-nord”.
Ed è un voto semmai maturo, attesta il Cattaneo: “Molti elettori calabresi ….tendono stabilmente a orientarsi…. verso candidati al consiglio regionale dell’area centrista, o meglio di candidati privi di 
una chiara connotazione ideologica, più presenti nel territorio”. Non verso i demagoghi, bensì verso candidati moderati, fattuali.

Certo, si può sempre dire che questo voto, a candidati “presenti sul territorio”, è un voto di scambio. Ma la politica è uno scambio, il voto – il voto è una delega. Bisogna fare, in questo “scambio”, la differenza che non si fa, tra uno scambio specifico, di favori, posti, soldi, e uno politico, di fiducia, ancorché reciproca.
 
La donna del Sud
Le “storie familiari” sono inattendibili, spiega Emanuele Trevi nel racconto sul lato materno della famiglia, in Calabria, “Mia nonna e il Conte”, ma un dato dà per certo: “Quello che è sicuro è che la madre di mia nonna”, la bisnonna, “vissuta in tempi certamente meno fiabeschi e avventurosi, era altrettanto capace di esigere quello che le spettava, senza fare compromessi”- girava da ragazza per il paese, senza dare scandalo, con una piccola pistola nella borsetta, “allo scopo di scoraggiare i corteggiatori” che non le piacevano. E si 
spinge per questo, e sulla propria esperienza nelle estati passate con la nonna, ad argomentare, invece del matriarcato, il Nonnarcato. In aggiunta all’incipit ormai famoso, “mia nonna diventò bellissima dopo gli ottanta”, esuma la Grande Madre mediterranea del “grande psicologo junghiano, nonché astrologo e chiromante, Ernst Bernhard”, quella che vizia i figli, il figlio, e quindi diventa “cattiva madre”, per dire che, “nella maggioranza delle famiglie del sud, chi comanda davvero, stringendo saldamente il suo scettro di emozioni primarie, è semmai la Madre della Madre: la millenaria, zodiacale, rupestre, Nonna Mediterranea”. Un “Nonnarcato” dunque. Che, benché sprovvisto di “simboli venerabili”, statue, santuari, grotte, crepacci, e di poemi epici e racconti “storici”, non per questo è meno reale – di donne “che siano sarde, cicladiche o tirreniche, dalmate o berbere”.

La sua, di nonna, di Trevi, “era pur sempre una divinità tirrenica, appartenente al temibile, indomabile, antichissimo ceppo calabrese: perspicace, volubile, testarda, capace di leggerti un pensiero nella testa prima ancora che tu stesso l’avessi formulato”.    
 
Nero Calabria, nero Aosta
“Lei sa perché Molti valdostani hano i capelli neri?”, chiede d’acchito al suo intervistatore, Paolo Bricco del «Sole 24 Ore», l’intervistato Vito Gamberale, che è stato un manager pubblico di successo di grandi imprese, ed è nostalgico della “fabbrica”, della “manifattura”, dell’industria. E si risponde: “In Calabria, nel Settecento e nell’Ottocento, si trovavano importanti centri siderurgici. Le Reali Ferriere ed Officine di Mongiana, in provincia di Vibo Valentia, costituivano uno dei maggiori poli industriali del Regno delle Due Sicilie. Arrivarono ad avere milleseicento operai. Producevano ghisa e ferro. Realizzavano le armi per l’esercito dei Borboni e le rotaie per la linea ferroviaria Portici-Napoli. Dopo l’unità d’Italia il Sud, che nonostante mille arretratezze aveva alcuni fra i poli pù avanzati della penisola, subì una deindustrializzazione. I Piemontesi intensificarono lo sfruttamento delle miniere in Valle d’Aosta e, nel 1907, fondarono la Società Anomina delle Miniere di Cogne. Molti calabresi, che sapevano di metallurgia e di siderugria, si trasferirono, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in Valle d’Aosta”.
 
Cronache della differenza: Calabria
“Che il feudalesimo fosse una caratteristica calabrese”, fa mordace Nisticò nella “Controstoria della Calabria”, 60, è una stramberia. I baroni, salvo qualche eccezione, “non lasciarono alcuna memoria di sé”. Tanto meno si atteggiarono a mecenati di artisti, come usava in Iralia. Ma non senza ragione: “Se leggiamo di Ruggero e Marfisa, figli di Ruggero di Risa (Reggio), della Chanson d’Aspremont e del romanzo Aspramonte, lo leggiamo sì ma nei versi del Boiardo e dell’Ariosto di Ferrara; mentre questa notizia, se mai sia giunta a Reggio, noncommosse e non commuove nessuno”.
Colpa dei baroni?
 
“La più romantica delle province italiane”, è la conclusione che lo scrittore austriaco Friedrich Werner Van Ostéren antepone al suo racconto di viaggio “Povera Calabria”, 1908. Dove racconta di esistenze “umbratili”.
 
“La Calabria ci prende alla prima con quel suo classico viso che non ha forse l’uguale di purezza e di nobiltà in tutta la casata” d’Italia, “fatto più bello dalla sventura”. È lirico Antonio Baldini a metà del suo viaggio in Calabria nel 1931. Sono prime impressioni di un viaggio fugace. Ma come un’istantanea: “È la parente povera… Ha la fronte bianca cme il marmo e l’occhio molto intento dei fatalisti… Col suo accento nativo, a voce alta e cadenzata, dice cose semplici e severe in un suo tono appassionato… Si studia in tutti i modi di offrirci la migliore ospitalità nella sua casa quasi vuota e cadente… Il frasario cittadino le darebbe fastidio”. Però, “bisogna adattarsi”.
 
Le meraviglie non sono finite: “In nessun altro paese come in Calabria le farmacie fanno venire voglia anche al forastiero di prendere una seggiola ed entrare in discussione. Parlatori di primordine, ornatissimi patrocinanti, liberi maestri d’eloquenza, c’è da stare a sentire incantati; gente che parla con la compostezza di un re sul trono…. Con l’allure di un predicatore..., piacendosi straordinariamente del suono delle proprie parole. Parla così fiorita e magnificente che per le cose correnti non resta che il dialetto. Tradandatona nei fatti, agguerritissima nelle apparenze. Avvocati come piovesse”.
 
E non è tutto. “Calabria, casamadre dell’Ospitalità italiana”, la elegge Baldini. Stendhal in Calabria, dove non ci fu, “non per niente diceva di avere colto sulla bocca dei calabresi il modulo ampio e fluente del tirate di Tito Livio”.
 
È stata, oltre che il tema di molte fantasie, fantasticata scena di molti avvenimenti del mito. L’ultima spiaggia di Oreste. Rifugio variato di Ulisse, nel suo svagato peregrinare. La piana dove fu rapita Persefone. Il porto di Agatocle.
 
In sintesi, nella seconda guera (punica) i Bruzi e i Lucani si schierarono con Annibale, per difendersi da Roma. Quando Annibale, ridotto a Squillace, prima di imbarcarsi per Cartagine, chiese agli alleati di seguirlo, questi si rifiutarono. Annibale li fece sterminare, nel santuario di Era Lacinia a Crotone. I superstiti furono ridotti in schiavitù dai Romani.
I prigionieri di guerra diventavano “schiavi pubblici”. Gellio dice che gli schiavi pubblici erano chiamati “bruziani”.
 
Amedeo Matacena jr, imprenditore delle traghetto Villa San Giovanni-Messina, passa con Berlusconi e viene subito colpito, montagne di inchieste per mafia. In una delle quali viene anche condannato, per concorso esterno. Cinque anni. Che passa a Dubai. Con una (seconda) moglie. E poi con un terza, sposata con “rito africano”. Dopo il quale la madre protettiva muore, e lui pure, senza malattie, a 59 anni. Basta un “rito africano” per atterrare un mafioso calabrese.
I Matacena sono napoletani - Amedeo Matacena padre era uno stimato medico a Napoli. Ma la cosa non cambia: il problema è l’antimafia.


leuzzi@antiit.eu

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