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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (609)
Giuseppe Leuzzi
Ascolti in
calo per “Lezioni di mafia” del giudice Gratteri su “La 7” dopo la prima curiosità:
da1,1 milioni di audience
al debutto a 950 mila e a 720 mila in quindici giorni. Forse le mafie non tirano più tanto,
malgrado il brio che ci mette il giudice. Sarebbe il primo
calo d’interesse da “La piovra” quarant’anni fa – la serie di cui la Polizia ha
voluto insignire l’interprete,
Michele Placido, qualche giorno fa del titolo di “poliziotto ad honorem”, per la fama che
le avrebbe conquistato.
Emanuele Trevi,
che ha passato le estati fino ai vent’anni dalla nonna materna in Calabria, e
la celebra in “Mia
nonna e il Conte”, dà un senso pieno al (poco) dialetto che usa: cibbia (gebbia), vagabundu e scostumatu. Sbaglia la trascrizione, e quindi
le fonetica (cibbia è ggibbia), ma ha pieno il
senso delle parole. Il senso cioè locale, dialettale. Non quello del
vocabolario, della traduzione.
Il dialetto ha sue valenze (significati, sfumature) che l’equivalente in lingua
non ha. Il linguaggio
è radicato.
La città
italiana con più centri commerciali non è Milano: è Catania - secondo
una ricerca di “Men’s Health”. Sempre
al Sud, in Campania, le strutture più grandi: il Centro Commerciale “Campania”,
a Marcianise, provincia di Caserta, e il “Vulcano Buono” a Nola, provincia di Napoli. Modernizzazione?
Omonegeizzazione sicuramente, malgrado i leghismi.
La campagna regionale perdente di Pasquale Tridico, 5 Stelle, è stata
puntata sul sottogoverno: soldi per tutti, senza faticare. Una campagna
“laurina”, da Napoli anni 1950, affamata, negli anni 2020. Un errore così marchiano
da non potersi attribuire a nessuno stratega elettorale. Ma è la forma
mentis dell’emigrato. Dell’emigrato mentale come Tridico, che della Calabria
si è ricordato solo perché spinto dai 5 Stelle. Che fa propria, sulle proprie
origini, la narrativa dominante.
Si spiega che Tridico non sia stato votato neanche dai suoi, secondo
l’Istituto Cattaneo, che analizza i flussi elettorali: “Da sinistra a destra”,
al concorrente di Tridico, si è spostato un 5 per cento del voto, “dall’area
«liberaldemocratica» e da elettori che nel 2024 avevano votato per il M5S”.
Sudismi\sadismi
La partecipazione
al voto alle regionali in Calabria è stata bassa oppure alta? Votano sempre in pochi, dicono
i commenti più benevoli, la politica è estranea al Sud. E si svolge su pattern
ridicoli – naturalmente
non poteva mancare il commento irridente su questo aspetto del mangiaterroni
Gian Antonio Stella,
firma privilegiata del “Corriere della sera”, martedì 7: “Prometto tutto in
stile «Cetto La
Qualunque»”.
L’Istituto Cattaneo sottolinea invece il contrario: in Calabria si vota,
e a ragion veduta: “Dobbiamo sottolineare che, al contrario di quanto si potrebbe ritenere
considerando i tassi di partecipazione ufficiali, la partecipazione alle regionali è notevolmente cresciuta
rispetto alle politiche del 2022 e alle europee del 2024 (come del resto era capitato nel 2020 rispetto
alle europee del 2019). Questo perché in Calabria il numero degli aventi diritto al voto residenti
all’estero è molto più elevato che in altre regioni: è pari a circa il 20 per cento degli aventi diritto. Questi elettori non sono inclusi tra gli aventi diritto nelle sezioni elettorali calabresi al voto per
il parlamento nazionale, perché in quel caso possono votare in apposite circoscrizioni estere. Sono invece
inclusi nella base su cui si computa il tasso di partecipazione “ufficiale” nel caso delle elezioni
regionali e locali, in quanto possono esprimere il voto solo recandosi al seggio nel comune di
origine. Ma, ovviamente, non tornano in Italia per votare.
“In
Calabria il numero dei votanti è cresciuto in queste regionali, rispetto alle
precedenti elezioni parlamentari
(nazionali ed europee). E se si calcola il tasso di partecipazione alle regionali considerando
solo i residenti, cioè coloro che realmente hanno la possibilità di partecipare
al voto (e ne hanno
realmente interesse), il tasso di partecipazione supera il 50 per cento, raggiungendo
livelli simili a
quelli a cui si sono collocate negli ultimi anni varie regioni del centro-nord”.
Ed è un voto semmai maturo, attesta il Cattaneo: “Molti elettori
calabresi ….tendono stabilmente a orientarsi…. verso candidati al consiglio regionale dell’area
centrista, o meglio di candidati privi di una chiara connotazione ideologica, più presenti nel territorio”. Non verso
i demagoghi, bensì verso candidati moderati, fattuali.
Certo, si può sempre dire che questo voto, a candidati “presenti sul territorio”,
è un voto di scambio. Ma la
politica è uno scambio, il voto – il voto è una delega. Bisogna fare, in questo
“scambio”, la differenza
che non si fa, tra uno scambio specifico, di favori, posti, soldi, e uno
politico, di fiducia, ancorché
reciproca.
La donna del Sud
Le “storie familiari” sono inattendibili, spiega Emanuele Trevi nel racconto
sul lato materno della famiglia, in Calabria, “Mia nonna e il Conte”, ma un dato dà per
certo: “Quello che è sicuro è che la madre di mia nonna”, la bisnonna, “vissuta
in tempi certamente meno fiabeschi e avventurosi, era altrettanto capace di
esigere quello che le spettava, senza fare compromessi”- girava da ragazza per il
paese, senza dare scandalo, con una piccola pistola nella borsetta, “allo scopo
di scoraggiare i corteggiatori” che non le piacevano. E si spinge per questo, e
sulla propria esperienza nelle estati passate con la nonna, ad argomentare,
invece del matriarcato, il Nonnarcato. In aggiunta all’incipit ormai famoso, “mia nonna diventò bellissima
dopo gli ottanta”, esuma la Grande Madre mediterranea del “grande psicologo
junghiano, nonché astrologo e chiromante, Ernst Bernhard”, quella che vizia i
figli, il figlio, e quindi diventa “cattiva madre”, per dire che, “nella
maggioranza delle famiglie del sud, chi comanda davvero, stringendo saldamente
il suo scettro di emozioni primarie, è semmai la Madre della Madre: la
millenaria, zodiacale, rupestre, Nonna Mediterranea”. Un “Nonnarcato” dunque. Che, benché sprovvisto di “simboli venerabili”, statue, santuari, grotte, crepacci,
e di poemi epici e racconti “storici”, non per questo è meno reale – di donne “che siano
sarde, cicladiche o tirreniche, dalmate o berbere”.
La sua, di nonna, di Trevi, “era pur sempre una divinità tirrenica, appartenente
al temibile, indomabile, antichissimo ceppo calabrese: perspicace, volubile,
testarda, capace di leggerti un pensiero nella testa prima ancora che tu stesso
l’avessi formulato”.
Nero Calabria, nero Aosta
“Lei sa perché Molti valdostani hano i capelli neri?”, chiede d’acchito
al suo intervistatore, Paolo Bricco del «Sole 24 Ore», l’intervistato Vito
Gamberale, che è stato un manager pubblico di successo di grandi imprese, ed è
nostalgico della “fabbrica”, della “manifattura”, dell’industria. E si
risponde: “In Calabria, nel Settecento e nell’Ottocento, si trovavano
importanti centri siderurgici. Le Reali Ferriere ed Officine di Mongiana, in
provincia di Vibo Valentia, costituivano uno dei maggiori poli industriali del
Regno delle Due Sicilie. Arrivarono ad avere milleseicento operai. Producevano
ghisa e ferro. Realizzavano le armi per l’esercito dei Borboni e le rotaie per
la linea ferroviaria Portici-Napoli. Dopo l’unità d’Italia il Sud, che
nonostante mille arretratezze aveva alcuni fra i poli pù avanzati della penisola,
subì una deindustrializzazione. I Piemontesi intensificarono lo sfruttamento
delle miniere in Valle d’Aosta e, nel 1907, fondarono la Società Anomina delle
Miniere di Cogne. Molti calabresi, che sapevano di metallurgia e di siderugria,
si trasferirono, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in Valle
d’Aosta”.
Cronache della differenza: Calabria
“Che il
feudalesimo fosse una caratteristica calabrese”, fa mordace Nisticò nella
“Controstoria della Calabria”, 60, è una stramberia. I baroni, salvo qualche
eccezione, “non lasciarono alcuna memoria di sé”. Tanto meno si atteggiarono a
mecenati di artisti, come usava in Iralia. Ma non senza ragione: “Se leggiamo di
Ruggero e Marfisa, figli di Ruggero di Risa (Reggio), della Chanson
d’Aspremont e del romanzo Aspramonte,
lo leggiamo sì ma nei versi del Boiardo e dell’Ariosto di Ferrara; mentre
questa notizia, se mai sia giunta a Reggio, noncommosse e non commuove nessuno”.
Colpa dei baroni?
“La più romantica delle province
italiane”, è la conclusione che lo scrittore austriaco Friedrich Werner Van
Ostéren antepone al suo racconto di viaggio “Povera Calabria”, 1908. Dove
racconta di esistenze “umbratili”.
“La Calabria ci prende alla prima
con quel suo classico viso che non ha forse l’uguale di purezza e di nobiltà in
tutta la casata” d’Italia, “fatto più bello dalla sventura”. È lirico Antonio
Baldini a metà del suo viaggio in Calabria nel 1931. Sono prime impressioni di
un viaggio fugace. Ma come un’istantanea: “È la parente povera… Ha la fronte
bianca cme il marmo e l’occhio molto intento dei fatalisti… Col suo accento nativo,
a voce alta e cadenzata, dice cose semplici e severe in un suo tono appassionato…
Si studia in tutti i modi di offrirci la migliore ospitalità nella sua casa quasi
vuota e cadente… Il frasario cittadino le darebbe fastidio”. Però, “bisogna adattarsi”.
Le meraviglie non sono finite:
“In nessun altro paese come in Calabria le farmacie fanno venire voglia anche al
forastiero di prendere una seggiola ed entrare in discussione. Parlatori di
primordine, ornatissimi patrocinanti, liberi maestri d’eloquenza, c’è da stare
a sentire incantati; gente che parla con la compostezza di un re sul trono…. Con
l’allure di un predicatore..., piacendosi straordinariamente del suono
delle proprie parole. Parla così fiorita e magnificente che per le cose correnti
non resta che il dialetto. Tradandatona nei fatti, agguerritissima nelle
apparenze. Avvocati come piovesse”.
E non è tutto. “Calabria, casamadre
dell’Ospitalità italiana”, la elegge Baldini. Stendhal in Calabria, dove non ci
fu, “non per niente diceva di avere colto sulla bocca dei calabresi il modulo
ampio e fluente del tirate di Tito Livio”.
È stata, oltre che il tema di
molte fantasie, fantasticata scena di molti avvenimenti del mito. L’ultima spiaggia
di Oreste. Rifugio variato di Ulisse, nel suo svagato peregrinare. La piana
dove fu rapita Persefone. Il porto di Agatocle.
In sintesi, nella seconda
guera (punica) i Bruzi e i Lucani si schierarono con Annibale, per difendersi
da Roma. Quando Annibale, ridotto a Squillace, prima di imbarcarsi per Cartagine,
chiese agli alleati di seguirlo, questi si rifiutarono. Annibale li fece sterminare,
nel santuario di Era Lacinia a Crotone. I superstiti furono ridotti in
schiavitù dai Romani.
I prigionieri di guerra diventavano
“schiavi pubblici”. Gellio dice che gli schiavi pubblici erano chiamati
“bruziani”.
Amedeo Matacena jr, imprenditore
delle traghetto Villa San Giovanni-Messina, passa con Berlusconi e viene subito
colpito, montagne di inchieste per mafia. In una delle quali viene anche condannato,
per concorso esterno. Cinque anni. Che passa a Dubai. Con una (seconda) moglie.
E poi con un terza, sposata con “rito africano”. Dopo il quale la madre protettiva muore, e lui pure,
senza malattie, a 59 anni. Basta un “rito africano” per atterrare un mafioso
calabrese.
I Matacena sono napoletani - Amedeo Matacena padre era
uno stimato medico a Napoli. Ma la cosa non cambia: il problema è l’antimafia.
leuzzi@antiit.eu
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