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lunedì 6 ottobre 2025

In Polonia il vento è sempre di guerra

Non c’è molto sulla Polonia, di oggi e nemmeno di ieri. L’analisi più recente è questa, di un  diplomatico francese ex ambasciatore in Polonia. Che i giornali francesi hanno ripescato nelle ultime settimane, dopo che Varsavia ha firmato a maggio un Trattato di Nancy con la Francia, da cui il primo ministro Donald Tusk si attende un collegamento stretto con l’E 3, il collegamento informale Gran Bretagna-Germania-Francia che gestisce la politica europea di confrontation con la Russia. Questo succedeva con Tusk tornato al governo dopo la vittoria del suo partito, Piattaforma Civica (PO) al voto nell’ottobre del 2023. Poi, a giugno, la presidenza della Repubblica è andata a Karol Nawrocki, il candidato del partito destra PiS (Partito Diritto e Giustizia), lo stesso che aveva governato la Polonia prima di Tusk, e la Polonia è rimasta fuori dall’E 3. Questa l’analisi che Buhler traeva prima di questi eventi, fra una destra dichiaratamente nazionalista e una moderata, e malgrado il sicuro europeismo, attestato e rinforzato dall’enorme sviluppo economico ottenuto con l’adesione alla Ue, in soli venti anni. Ma proprio questo successo, secondo il diplomatico francese, riporta la Polonia post-Woytiła, fra una destra moderata e una radicale, indietro di un secolo. Alla rinascita del paese con i trattati di pace del 1919, che subito si proiettava in una politica di Grande Potenza. A Varsavia si respirerebbe un “tanto atteso «momento polacco»”, di una Polonia “chiave di volta della sicurezza europea”. Specie al confronto con la Russia. Favorito, con “aperto sostegno”, dal clero polacco, in contrasto con la linea pacifista del Vaticano. Un’ambizione che Buhler vede come “il risveglio dei fantasmi del passato, quei conflitti di memoria che gravano sui rapporti della Polonia coi suoi vicini”.
Questo risveglio Buhler reperisce nella politica anti-tedesca del PiS, e in quella anti-russa del PO. La Polonia rinata dopo l’occupazione sovietica non avrebbe rinunciato al mito della Polonia “jagellonica”, dominante tra il mar Nero e il Baltico, o in alternativa del “modello Pilsudskij”, perseguito dalla nuova Polonia, quella rinata a Versailles, tra le due guerre. Quella Polonia fece in pochi anni sei guerre contro i vicini per i confini: due con la Germania per la Slesia e la Prussia orientale, con l’Ucraina e con la Lituania perché si rifiutarono di rifare la “Polonia jagellonica” del Seicento, con la Russia, e con la Cecoslovacchia per il distretto di Teschen. I primi anni dell’indipendenza furono agitati anche per la questione delle minoranze, che si volevano assimilate o espulse: quattro milioni di ucraini, un milione e mezzo di ruteni, un milione di tedeschi, 100 mila lituani – e tre milioni di ebrei.
Quella Polonia fu per Franco nella guerra civile, e per Mussolini in Etiopia, e si prese parte della Slesia quando Hitler smembrò la Cecoslovacchia - salvo diventare preda di Hitler un anno dopo. Mai comunque in pace con i vicini. L’attacco hitleriano all’Urss nel 1941 fu recepito in Ucraina “come un presagio dell’imminente creazione di uno Stato ucraino indipendente”. Scatenando il nazionalismo ucraino contro i polacchi, in Ucraina e in Polonia – oltre che contro gli ebrei. Anche in Lituania l’invasione tedesca “diede ai lituani l’opportunità di vendicarsi dei polacchi di Wilno”, Vilnius in polacco, nonché degli ebrei. Dopo la guerra la Polonia si prese la Galizia, con, di nuovo,  mezza Prussia orientale e un po’ di Brandeburgo, e deportò sette-otto milioni di tedeschi nella Germania Ovest – nella guerra, sotto l’occupazione tedesca, la Polonia aveva perduto oltre un sesto della popolazione, sei milioni, solo per la metà ebrei.
Pierre Buhler, Pologne, histoire d'une ambition, Tallandier, pp. 272 € 21

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