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mercoledì 8 ottobre 2025

Letture - 592

letterautore
 
A.Christie
– Anticonformista, al limite della misoginia? A Poirot fa dire, a proposito di violenze domestiche: “Io mi sono occupato di molti casi del genere. In ventidue era l’uomo, ma in sessanta (ottanta? – n.d.r.)) a menare le mani era lei”.
 
Colomba
– Simbolo di pace, è una bestia aggressiva – come quasi tutti i volatili, il più bello, il gabbano, è il più feroce.  “Sembra che il piccione sia un animale crudele. Quando si batte con un altro piccione, si accanisce su di lui finché non muore”, Tahar Ben Jelloun, “Cinquanta paradossi”. Il cardinale Ravasi, citando lo scrittore sul “Sole Domenica”, lo conferma con l’esperienza personale - che è quella di tutti, peraltro. Ma, antifrasticamente con gli eventi contemporanei?, fa risalire l’equivoco alla Bibbia, “Genesi” 8,11, il racconto del diluvio: “Quando le acque si ritirarono, la colomba rientrò nell’arca di Noè «reggendo nel becco una tenera foglia di ulivo», altro simbolo di pace”.
Il cardinale non manca di rilevare che in arabo e in ebraico il saluto è lo stesso: shalōm, salām, pace.
 
Ex voto
– Voti, penitenze, una “follia religiosa” per lo scrittore austriaco, ben cattolico, Van Oestéren, 1874-1953, italianista fluente, che viaggiò, specie al Sud (della Calabria pubblicò anche un diario di viaggio, “Povera Calabria”), in un articolo sul quotidiano viennese “Vossische Zeitung” - che poi ha ripreso, spiega Teodoro Scamardi nella postfazione alla traduzione di “Povera Calabria”, da lui curata, dalla rivista dei modernisti tedeschi “Das Neue Jahrhndert”, n.2, 10 gennaio 1909. Dove lega le forme religiose di fanatismo, devozione eccessiva, pratiche umilianti (strisciare, leccare, colpirsi), culti bizzarri, “a fini di lucro”.
 
Harijan – Della stessa radice sanscrita di “ariano”? È il termine indù, che Gandhi ha provato a liberare, con la comunità e il periodico dallo steso nome, e oggi è perfino parola “incorretta” e quindi proibita, per “intoccabile”. L’ariano della nobiltà teutonica o caucasica è sì “figlio di Dio”, - questa la traduzione di “harijan - ma nel senso di paria, intoccabile. Quanta filologia, quanta storia, anche filosofia, e quante guerre, per la “razza ariana”.
Uno spreco di cui fa la sintesi “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione: “La storia della Grecia nasce nel 1840, quando la filologia critica interruppe il filone della storia provvidenziale e se ne fece giudice, libera quindi d’inventare l’“arianesimo”. Che l’università Georgia Augusta di Gottinga veniva elaborando da un secolo: a un certo punto, dice il modello “ariano” della storia greca, dal Nord arrivano gli elleni, parlanti indo-europeo, e soggiogano la cultura egea. Rinata dopo la disfatta nel ‘18 a centro meritorio della fisica, con la meccanica quantistica di Heisenberg, Pauli, von Neumann, Oppenheimer e Born, Gottinga è stata per due secoli la culla della storia eretta a scienza grazie all’invenzione della filologia. Con gli “ariani” e la Grecia fu tedesca pure Roma, la letteratura romanza, la storia, la chimica, la filosofia. Incluso il Giordano Bruno italiano, riportato in vita quattro volte nel solo Ottocento, da Adolf Wagner, Lagarde, Lasson, Kühlenbeck – dopo essere stato salvato ai posteri dai re di Francia e d’Inghilterra. Nel 1770 Blumenthal aveva imposto la prima graduatoria delle razze, inventando il caucasico. Winckelmann la Grecia delle statue patinate quale ideale di bellezza. Tra il 1820 e il 1840 Karl Otfried Müller, il filologo di Gottinga, dà significato culturale e politico alla storia “antica moderna”, con la scoperta dei dori. Era la filologia dei primati – di Ariano vero c’è solo il santo a Venezia, all’isola dei Morti.

La parola nasce dal suono negativo iniziale del sanscrito, un’aspirata equivalente al “non”, seguito dalla radice ar-.., che è di tutti i composti, compresi i nomi propri (Artaserse, Artabano, etc., il celtico Artù), col senso di valore (impresa, nobiltà, superiorità) – eroe, il tedesco Herr, arte, artefice, etc., - ma piace pensarla come il negativo di “ariano”. 

 
Nonnarcato – “La Grande Madre mediterranea è in Italia una madre primitiva”. Così Ernst Bernhard - “il grande psicologo junghiano, nonché astrologo e chiromante” (E. Trevi, “Mia nonna e il Conte”, p.18) – in “Il complesso della Grande Madre” (nella raccolta “Mitobiografia”). Con i noti effetti boomerang: “Essa vizia per lo più i suoi figli con la massima istintività… Ma quanto più li vizia, tanto più li rende dipendenti da sé”, trasformandosi, da “buona madre nutrice e protettrice… nella cattiva madre”.
Trevi, figlio di Mario Trevi, altro grande junghiano, discepolo di Bernhard, non è d’accordo: “Come tutte le teorie”, obietta a Bernhard, “anche quella della Grande Madre finisce per occultare dettagli dell’esperienza quotidiana che non sono meno evidenti”. Per conto suo, nella sua propria famiglia, e per quanto ha potuto vedere al Sud nella sua esperienza, “chi comanda davvero… è la Madre della Madre: la millenaria, zodiacale, rupestre Nonna Mediterranea” – anche se “questo Nonnarcato” non s’illustra come il matriarcato di simboli e culti venerabili, statue, santuari.
 
Sante-papesse – Ci sono più casi, nella tradizione, più o meno veritiera, di donne che si sono volute uomo, per entrare in convento o per fare carriera ecclesiastica. Di questa seconda specie, in realtà, non ci sono casi storici, certificati. Quello famoso della papessa Giovanna (una inglese nata nata in Germania, a Magonza), che sarebbe succeduta a Leone IV nell’855, e avrebbe regnato per due anni, cinque mesi e quattro giorni che avrebbe passato a Roma fornicando, poiché dopo quel tempo, nel corso di una processione, dal Colosseo a San Clemente, avrebbe partorito, non è vero. Lo spiega il medievista Tommaso di Carpegna Falconieri in una ricerca di prossima pubblicazione di cui dà conto Paolo Mieli sul “Corriere della sera”. Ci sarebbe stata una papessa, ma a Oriente, una patriarca nella chiesa di Costantinopoli - se ne saprebbe da una lettera (non spedita) di papa Leone IX al patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario.
Ci sono invece, documentate, “un’infinità di donne di cui si racconta che condussero una vita di santità vestendo abiti maschili e mantenendo celata la loro condizione femminile”.
Ci sono state dunque molte donne che hanno voluto essere uomini. Non ci sono stati invece uomini che hanno provato a farsi monache, nemmeno per insidiarne, come era l’uso, le virtù – nemmeno per scherzo, per così dire.
 
Storie di famiglia – “Le storie d famiglia non sono né vere né finte”, Emanuele Trevi, “Mia nonna e il Conte”, p. 30: “Il loro grado di attendibilità non si misura sulle testimonianze e su documenti, perché consistono di fili narrativi così ingarbugliati che n
on si può separarli e distinguerli, privilegiando i più ragionevoli e tralasciando le palesi assurdità”. Servono a “cementare i cosiddetti legami di sangue”.


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