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Una guerra senza pace
L’assalto del 7 ottobre era una guerra, si spiegava nel sito il giorno
dopo – una guerra e non un atto di terrorismo, come i tanti subiti dagli Stati
Uniti, la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna, la Germania. Ed è stata una
guerra molto dura, la più aspra oltre che lunga dopo quella del 1948, della nascita
di Isarele. E come nel 1948, va ora aggiunto, non si conclude con una pace.
Non c’è un vincitore netto.
Israele deve accettare delle condizioni. E non ci sarà pace: Israele non intende
fare pace.
Israele nel suo insieme, non solo la destra al governo con Netanyahu. Nessun
governo precedente ha mai affrontato la questione politica. Gli accordi di Oslo
del 1993 non sono stati applicati, neanche prima dell’assassinio di Itzak
Rabin, che li aveva sottoscritti. Quelli di Camp David nel 2000 erano vuoti.
La soluzione di polizia non paga – non funziona, oltre che mettere Israele
dalla parte del torto, giuridico e politico. Specialmente dopo questa guerra,
ma anche prima. Si stima che un palestinese su cinque sia passato per le carceri
israeliane, anche senza condanna, quindi un milione – tra essi migliaia di
ragazzi sotto i 12 anni. A nessun effetto pratico, se Hamas ha potuto fare
guerra contro Israele – di fatto contro gli Stati Uniti – per due anni.
Dopo una guerra, specie dopo una sanguinosa come questa, viene la pace.
Se c’è un vincitore.
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