Capri, Anacapri e Caprile. E il monte Solaro, “greco”
- “Che monte ridente! Che monte misurato! Che monte «greco»!”. Con “le donne
dal collo robusto” di Omero. E i Teleboi – che sono di Virgilio, ma Savinio,
pur professandosi latinista in gioventù, non ne fa cenno.
La partenza è promettente. Allo sbarco gli si erge la
memoria di “quel principe del pompierismo letterario che risponde al nome di C.A.Sainte
Beuve” – che dell’isola arrivando aveva visto “la silhouette severa, il
profilo formidabile, Tiberio”, l’imperatore crudele in persona, “nel golfo della
mollesse, il richiamo grave e terribile”. Subito poi ce n’è per Debussy,
sentendo su per un sentiero “le notine perlate di un preludio di Debussy”: “Che
musica da morticini! Che musica da piccoli annegati gonfi che galleggiano sopra
un mare putrefatto” – ed è uno “uno dei più brutti, uno dei preludi più banali
che abbia scritto magister Claudius: ‘Les collines d’Anacapri’”.
Pochi altri umori. Un Savinio ben disposto ma poco ispirato
– una “guida” scritta nel 1926, ma pubblicata solo nel 1988. Anche lui ci trova
Tiberio, naturalmente, il Salto di Tiberio – ma con la Madonna del Soccorso,
che protegge dalle tentazioni (“se Tiberio faceva precipitare gli schiavi da
questa rupe, era solo per sedare un poco il terribile desiderio che lo
struggeva di buttarsi egli medesimo dal Salto di Tiberio”). Con più agio ci ha
trovato Augusto. E poco altro. In una pagina si affastellano Shakespeare, Verne,
Victor Hugo, Walter Scott e Barbarossa - Khaireddin, non Federico.
Alberto Savinio, Capri, Garzanti, pp. 80 €
5,90
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