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sabato 18 ottobre 2025

Giallo ebraico

Due giovani espatriati, un polacco e un rumeno, uno povero e uno ricco, studiano a Liegi, conviventi in una modesta pensione - il ricco ha diritto a pranzare, solo, con cibo cucinato per lui, in sala da pranzo, gli altri in cucina. Non può funzionare e non funzionerà. Dopo la guerra e qualche decennio, i due si ritrovano in America, il povero è telefonista in albergo, il ricco è diventato padrone dell’albergo, della città dell’albergo, delle miniere che hanno fondato la città. Non ci può essere convivenza, e non ci sarà.
Un racconto del ricco e del povero che Simenon non ha potuto animare. La seconda parte, la ripresa in America, ha tutta l’aria di un ripiego per fare di un racconto un volume, della serie “duri” - il thrilling in secondo piano, rispetto agli ambienti e ai caratteri.
Quello che è interessante è che i due, il ricco e il povero, sono ebrei. Che sono caratterizzati per essere ebrei. E che Simenon ha ripreso la prima parte, il racconto originario, in America, dove si era rifugiato nel dopoguerra per sfuggire alla denazificazione - all’accusa di collaborazionismo con i tedeschi nell’Occupazione, e di antisemitismo. Qui mette in scena due “ebrei erranti”, antipatici, anche a se stessi, e l’uno con l’altro. Simenon impunito?
Un motivo d’interesse marginale ma non insignificante, è che il polacco è di Vilnius - tra baltici e slavi il pendolo oscilla sempre agitato.
Georges Simenon, Delitto impunito, la Repubblica-La Stampa, pp.187 €9,90

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