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Cronache dell’altro mondo – critiche (364)
I lamenti sullo stato della critica sono una storia vecchia. Ma il
mestiere si va perdendo: oggi non conviene
sbracciarsi per incarichi sempre più limitati e non (ben) pagati. Per di più sotto
la concorrenza della rete, dove opinioni anche approfondite sono elargite
gratuitamente.
Non conviene fare il critico, di letteratura come di cinema, teatro, arte
eccetera. Non conviene ai critici e non conviene ai media. Non ci sono
più le critiche musicali, se non in forma di promozione. La “Chicago Tribune”
non ha più il critico dei film. Il “New York Times” ha spostato quattro dei
suoi critici d’arte ad altre sezioni, anche agli obituaries – i necrologi
in forma di biografia.
Ma l’esigenza di una “buona critica” starebbe tornando, in forma
diversa. Mantenendo la critica tradizionale, la prima impressione di una “prima”
(edizione, rappresentazione, esecuzione, mostra) a caldo. Ma in breve: come una
segnalazione, seppure di segno più o meno. Seguita a distanza da una critica
ragionata, se il manufatto o evento la merita.
(“The New York Review of Books”)
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