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Giorgetti al Quirinale, o la Dc in agguato
Paolo
Mieli apre inconsultamente sul “Corriere della sera” la corsa al Quirinale – fra
due anni e mezzo, se tutto va bene. Per candidare il ministro leghista
Giorgetti.
Giorgetti?
Nessun altro nome, solo Giorgetti, che tra l’altro non avrebbe nemmeno l’età.
Si può
pensare che Mieli fa un favore all’editore Cairo, per i suoi traffici bancari. Giorgetti
si sa che è il dominus bancario, col suo impensabile affondo (tramite
Mps…) su Mediobanca-Generali. E col niet a UniCredit su Bpm, a favore
del gruppo francese Crédit Agricole – con l’arma del golden power, che è
una legge a protezione degli “interessi nazionali”.
Poi viene
il sospetto che l’assurda candidatura sia per mettere Giorgetti nel mirino. Era
vechia pratica democristiana, di creare agli avversari piedistalli insostenibili,
per “bruciarli” - di De Mita con Andreotti, e viceversa, di Moro con Fanfani,
di tutti quanti con Rumor, etc. Si crea un “falso scopo”, come si dice in
artiglieria, per colpire meglio il bersaglio vero.
Se così
è, resta da capire in che senso. Milano si è svegliata dal torpore, col passaggio
di Bpm in mano francese invece che della milanese UniCredit? Si dice Giorgetti-for-president
per metterlo nel mirino?
Giorgetti
al Quirinale non raccoglierebbe nemmeno i voti leghisti.
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