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venerdì 12 dicembre 2008

Che noia l'umorismo

L’esempio più umoristico è la corrispondenza tra Pirandello stesso e Bontempelli a marzo del 1908, nelle more della quale Pirandello decide di “mandare a stampa” un libro su “L’umorismo”. A maggio, precisa – prima quindi del futurismo su “Le Figaro”. Scrive Bontempelli, trentenne, da Ancona: “Non mi scriva, come fa, «prof. al Liceo etc.». Io sono professore (straordinario) al Ginnasio Inferiore. Lo sono da quasi sei anni, in seguito a regolare concorso, in cui scaricai tutto quello che potevasi di lauree e altri titoli ufficiali; e in sei anni non sono riuscito mai a fare un passo…” Risponde Pirandello da Roma: “Se Ella concorresse, si troverebbe di fronte a una commissione composta da 5 professori d’Università, professori di Storia della Letteratura Italiana, i quali, naturalmente, non sanno che cosa sia né che cosa si debba intendere per Stilistica. E chi lo sa? Io, per conto mio, la insegno da 11 anni. Insegno Stilistica? Insegno Estetica… E dopo 11 anni sono ancora straordinario”. Ma questo non c'è nel libro che verrà due mesi dopo.
Il libro è noioso, e inconcludente (citatissimo per non essere letto?): è solo lungo duecento pagine, di cui il quarantunenne Pirandello aveva bisogno per il concorso a cattedra.
Datato, molti altri hanno esplorato la comicità. Con più modernità nel Settecento, in una cultura che Pirandello pure conosceva bene, le innumerevoli lezioni di Jean Paul, sull’ironia, l’umorismo, l’arguzia, il ridicolo. O le tante lezioni successive. Di Foucault, per esempio, del suo incipit memorabile a "Le parole e le cose", 1966: "Questo libro nasce da un testo di Borges: dal riso che la sua lettura provoca, scombussolando tutte le familiarità del pensiero" (il testo è "L'idioma analitico di John Wilkins", in cui è questione di un capitale testo mandarino, "Emporio celeste di conoscimenti benevoli"). Per ultimo di Kundera, nel recente “Une rencontre”, con “la comica assenza di comicità” nell’ “Idiota” di Dostoevskij: ridere senza ragione è anch’esso un motivo comico. Myškin ride “angosciato”, Aglaja ride “indignata”. E c’è chi ride per conformismo. Maldoror, di cui Kundera è appassionato analista, scopre con sorpresa che la gente ride. Oggi, poi, si ride quasi sempre a sproposito. Sempre in tv, per esempio, anche di se stessi. Anche nella disgrazia, di se stessi e degli altri. Lo humare, sotterrare, che Vico accostava a humanitas, coinvolge evidentemente anche l’umore o humour. Ma, certo, non è facile in Italia, dove l’intelligenza si esprime a negare l’evidenza – Gramsci negherà la comicità, un critico teatrale…
Luigi Pirandello, L’umorismo

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