Cerca nel blog

venerdì 2 gennaio 2009

Ombre - 11

Delle tre-quattrocentomila social card che le Poste sono riuscite a distribuire per Natale, un buon terzo sono andate alle suore. Monache di oltre 65 anni, ma anche di età inferiore, bisognose. A Roma soprattutto, ma anche a Milano e in Sicilia. Non c’è un dato preciso che accerti quante suore sul totale hanno fatto richiesta della social card e l'hanno ottenuta, ma è il commento ricorrente fra gli addetti delle Poste: la sorpresa per il gran numero di monache che si sono presentate.

Rachida Dati, bella, colta e capace, non fa “l’algerina”. Per questo la Francia non le perdona, e la fa l’amante del presidente, o di Aznar, o di Blair, insomma la puttana dei potenti. A sinistra proteggendosi con la politica, a destra con l’etica, ma in realtà per forsennata cattiveria.
La Francia è un paese inesplorato. In cui ci sono anche le parigine alla Dati che ne fanno l’immagine, libere e anzi sfrontate, con i tacchi alti, incinte senza marito. Ma di suo è sempre un mondo terragno, chiuso, e anzi cupo. Che non c’è nella letteratura, a parte Giono e Céline, né nei giornali, ma è lì nel voto, nel razzismo, e ora in questo bislacco femminismo anti-femminista.

“Potrei disegnarvi la mappa degli interessi elettorali attraverso i contratti di locazione… ereditati dal Comune di Napoli o dal Comune di Roma”. L’imprenditore Romeo, in carcere per corruzione, si offre di certificare il malaffare di cui tutti a Roma e Napoli sono a conoscenza. “A questo punto”, scrive il “Corriere della sera”, “i pubblici ministeri cercano di entrare nei dettagli”. Ma non delle case date agli amici e parenti. “Lei ha rapporti all’interno del consiglio (comunale) di Roma?”, chiede il Pm.
L’azione penale è obbligatoria, ma per chi?

Lo stesso Romeo afferma che a Milano, dove aveva vinto un appalto, non vollero darglielo perché doveva andare ai milanesi. “Questo camorrista amico di Bassolino non può venire a Milano”, si sarebbero detti in giunta il sindaco Albertini e gli assessori. Invalidarono il bando e suddivisero l’appalto in tre tronconi, afferma ancora Romeo: “Io me ne aggiudico uno, Edilnord un altro, e Pirelli il terzo”. Può darsi che Romeo dica il falso, ma nessuna inchiesta si apre a Milano per accertarlo.

Il sindaco di Pescara è scarcerato. Veltroni critica i magistrati. “L’Unità” sparge veleno su chi critica i magistrati. Al “Corriere” il mite giustizialista Furio Colombo assicura: “Assurdo. Qui a New York, dove mi trovo, nessuno si sogna di prendere posizione o criticare i giudici”. New York, come si sa, è piena di giudici che intercettano e arrestano i sindaci, e poi li liberano.

Prosegue a Cosenza il processo Why not, con interrogatori a questo e a quello. Per l’ipocrisia senza veli della giustizia: non ci può essere una vera indagine, dopo il raid di Salerno Catanzaro può solo condannare gli inquisiti. I calabresi, non Prodi e Mastella, quelli erano già fuori.

Paolo Borsellino era uomo di destra - per questo fu insolentito da Sciascia, che poi si scusò. Agnese Borsellino, la vedova, che si è astenuta in questi quindici anni dall’occupare i giornali nel nome del marito, fa un apprezzamento a Sgarbi, che ha rivitalizzato Salemi, di cui è il sindaco. Tanto basta per suscitare l’ira dei cognati Borsellino, che hanno fatto carriera politica a sinistra, custodi della memoria del fratello assassinato da Riina. Nell’attacco a Borsellino Sciascia coniò la figura del “professionista dell’antimafia”. Era un preveggente?
Anche Maria Falcone si pretende custode unica del fratello. La cui memoria ha dato in uso politico alla sinistra. A quella sinistra, di Orlando e dell’ex Pci, che il fratello ha isolato e messo nel mirino della mafia.

Mastella dice sabato 27 al “Corriere”, per tutta una pagina, cose che incorniciano una repubblica delle banane e una situazione di golpe permanente, a opera dei giudici, con i carabinieri. Ma niente. Lo stesso giornale, che non ne contesta le terribili accuse, le pubblica come gli amorazzi della Marini – o bisogna dire di Luxuria? Un po’ di nudo, seppure coi bozzi.

Moratti dell’Inter ha vinto una partita grazie all’arbitro, e passa all’attacco: “Ma quali favori, ce li meritiamo”, dice. E: “Chi sbaglia oggi lo fa in buonafede. Fino a tre anni fa, invece…”. Può darsi che il presidente dell’Inter sia quello che dice. Ma bisogna essere realisti: è uno che la Procura di Milano ha graziato in almeno tre occasioni, non è uno sprovveduto. Tutti vedono che sei giocatori dell’Inter su undici erano in fuorigioco nella partita incriminata, tutti vestiti di scuro mentre gli avversari erano sul bianco, l’arbitro non poteva in nessun modo sbagliare. E dunque? Perché gli si fa dire quello che dice?

Il giorno dopo Siena-Inter, Sky e la Domenica Sportiva erano alla ricerca ansiosa dell’errore con cui scusare il regalo all’Inter. Hanno creduto di trovarlo in un (forse) errore a favore della Juventus, e per tutto il pomeriggio e la serata della domenica non hanno fatto altro che rimarcarlo, centinaia di replay. Sono succubi di Moratti? O non della par condicio scalfariana, uno a te uno a me, purché vinca io, la virtù della viltà.

L’ex procuratore Gabriele Tinti, autore di “Toghe rotte”, critico della magistratura, scrive sulla “Stampa” che le intercettazioni fanno sempre bene: “Ma chiediamoci anche: se si trattasse di fatti che non costituiscono reato e che però danno la misura della statura etica e politica di chi appartiene alla classe dirigente, non sarebbe bene conoscerli? Io facevo il procuratore della Repubblica; se si fossero intercettate mie telefonate con qualche mafioso che mi invitava con regolarità nella sua riserva di caccia o che mi ospitava a casa sua, non avreste voluto saperlo?”.
È una conferma che ai magistrati, anche ex, il giudizio difetta: ricevere favori da un mafioso è un reato e non un pettegolezzo.
La verità è che per un magistrato i mafiosi non sono veri, non si condannano. Il mafioso è uno che ha (anche) una riserva di caccia, dove convita i magistrati. I magistrati solo perseguono gli amministratori pubblici e i politici in quanto tali. Se vanno a caccia coi mafiosi tanto meglio, o peggio.

Non si sa perché il napoletano Romeo abbia avuto dieci anni fa la gestione delle strade e del patrimonio immobiliare del Comune di Roma. O meglio si sa, ma non si dice. L’ottimo Pippo Pullara, senz’altro informato, esordisce con un titolo promettente, “Immobili comunali: gli interessi di ieri, oggi senza memoria”, ma quando arrivo al fatto si ferma. Fabrizio Caccia sullo stesso giornale, il “Corriere”, facendo parlare assessori vecchi e nuovi, riferisce incuriosito di una Loredana De Petris che non ricorda molto, ma ricorda un Angelo Canale, il consigliere di Stato, rimosso infuriato dal Patrimonio. La verità è ben scritta altrove, per esempio, sul “Messaggero”. Ma seguiamo il “Corriere”.
Canale non era stato commissario al Comune di Roma, distinguendosi per il blocco della rilevazioni di Census, la società della Fiat cui l’ex sindaco Carraro aveva commissionato la ricognizione del ricchissimo, ma costosissimo, patrimonio immobiliare del Comune? L’appalto a Census era troppo oneroso, dissero i commissari. Poi venne l’appalto a Romeo, per il doppio del costo di Census, senza beneficio per il Comune, non che si veda. Canale è dunque la persona giusta da interpellare. Ma Canale è anche ottima fonte del giornalismo della “questione morale”. Da che lato?

Nessun commento: