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venerdì 15 ottobre 2010

Fuoco amico sul Pd e sindrome De Martino

La chiamano, suona elegante, scalata. Ma la scena è quella di un banchetto arabo, dove l’agnello è rosolato a fuoco lento, e i convitati ne spiluzzicano brandello dopo brandello, con dita gentili, che non si vorrebbero unte. La vittima di questo non innocuo banchetto è il partito Democratico. Che in termini bellici contemporanei si direbbe vittima del fuoco amico, ma non per caso né per errore, per calcolo. Tre leader divorati in un anno, Veltroni, Franceschini e Bersani. Senza contare l’autoescluso Prodi e il Dalemone. In attesa del papa straniero, il federatore, che dovrebbe essere Fini… Ogni proposta politica, mozione, iniziativa di base o parlamentare, soffocata subito nell’insignificanza. Il gioco delle autocandidature moltiplicato a subitanei picchi di ridicolo. A opera di tutti i giornali sostenitori, che è come dire, senza ingiuria per gli esimi commentatori, dei loro padroni.
“Il Pd non ha appeal (stavo per scrivere “sex appeal”)”, Scalfari su “Repubblica”. Bersani “potrebbe essere un eccellente ministro, non è un convincente capo dell’opposizione”, Michele Serra su “Repubblica”. “Il Pd è oggi un partito senza identità. Alla mercé degli incursori esterni, da Di Pietro a Vendola”, Panebianco sul “Corriere della sera”. I più feroci antiberlusconiani, il gruppo De Benedetti, il gruppo Rcs, i conduttori della Rai, di Sky, della 7, non lasciano passare giorno senza strappare un pezzo a questo Pd. Che statisticamente è impossibile che non combini nulla di buono.
Sono attacchi giornalistici. Ma il Pd non è altro che l’opinione di questi giornali. È l’altro aspetto del problema della sinistra inconsistente – un vero partito in qualche modo si farebbe rispettare. La sindrome è quella dei socialisti di De Martino, che si consideravano i migliori, avevano buona stampa, e a ogni elezione si riducevano. Fino a considerarsi essi stessi un partito d’opinione, soddisfatti di avere qualche articolo gratificante sui giornali dei padroni. Fu su questo vuoto che emerse Craxi. Della stessa sindrome soffre il Pd. Che si accontenta delle comparsate ai talk show dei tanti conduttori amici, e delle interviste di comodo. E finge di non vederne l’opera di dissoluzione.

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