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lunedì 18 luglio 2011

Berlusconi statista - 7

Ha varato una finanziaria di guerra e ha lasciato tutti senza parole, soprattutto i più velenosi. Sanità, pensioni, statali, ha abbattuto d’un colpo tutti i totem, e nessuno se n’è accorto. Che dirne?
Prendiamo per buona l’ipotesi che il ciclo berlusconiano sia al capolinea, se non già finito, e facciamone l’obituary, come l’impavido Montanelli lo minacciava al suo finanziatore e salvatore. La giustizia politica potrebbe rilanciarlo, questa come altre volte, soprattutto in Sicilia, in Campania e nel Lazio, che sono dopo la Lombardia le regioni più popolose – ma anche in Lombardia: uno vede Daria Colombo leader degli arancioni e cambia canale, o suo marito Vecchioni, il milanese che ogni tanto si fa napoletano. Ma tutto finisce e dunque anche Berlusconi – come direbbe di lui il solito Montanelli: era Berlusconi il suo salvatore nel 1974, quando gli sparavano addosso, alla testa prima che alle gambe, e poi per vent’anni il suo finanziatore a perdere.
Ecco, un’opposizione, per giunta ex comunista e ex cattolica, che si fa forte di Montanelli, il discorso si potrebbe concludere qui. O in rapporto ai suoi nemici, i giudici e i giornalisti: l’uomo ha perfino dell’aplomb. Se la farà con le Ruby e le D’Addario, ma al confronto dei torvi giudici ambronapoletani e delle loro giornaliste, o dell’allegro Ingroia, ha stoffa e anche un minimo di decenza. O in queste giornate della finanziaria di guerra, di cui i suoi nemici non si sono nemmeno accorti: allora è uno statista. Uno che sconfigge i Soros e i loro insidiosissimi esecutori nei giornali. Reduce da uno di quei vertici noiosi di Bruxelles dove è, pare, l’unico a sapere di non contare niente, al confronto del ragazzetto smarrito Sarkozy per dire, e della stessa papera Merkel.
Ma ragioniamone, in chiave del tempo che fu, da contemporaneisti che cercano di perscrutare la verità delle cose.
Alcune sono inoppugnabili. Una è che il berlusconismo riempie un vuoto che il Pci ha creato, con una parte della Dc. Avendo raccolto i cocci della stessa Dc, del Psi, e dei partiti laici, liberale e repubblicano.
Un’altra è che l’uomo non è imbattibile, Prodi l’ha battuto due volte. Che è un uomo solo. Ma anche Berlusconi è solo. E dunque deve avere una qualche consistenza.
Prodi peraltro ogni volta è finito nelle sabbie mobili. Perché a sinistra c’è solo una palude insidiosa. Di finte dialettiche politiche, in realtà di menzogna e ipocrisia, per di più violenta sotto il cappello della faziosità – che non crea ma mira a distruggere, segreta e virulenta, volgare, aggressiva. Non si sa e non si parla di lavoro. Né di produzione. Non si parla di strategia politiche. Né dell’antipolitica dominante. Né dei suoi astuti patrocinatori, banchieri e affaristi. Non si parla di Milano che ci governa, male, malissimo, da vent’anni senza correttivi, avvinti alla sua infestante corruzione. Non si considera che l’Italia, il paese di un forte, fortissimo, Pci, egemonico tuttora in molte aree, è l’unico paese in Europa a non avere un partito socialista. A non avere avuto mai un governo socialista. Se Prodi ne è stato vittima pur essendone il leader vincente, l’unico, che dire di Berlusconi, che ne è invece il nemico dichiarato? Anzi, non più di una sagoma di tirassegno. Si dice che Berlusconi è, e governa, la melassa italiana. No, Berlusconi “governa” la melassa sinistra.
L’inconsistenza mediatica della destra, o la rissosità dei suoi governi si può imputare, come si fa, a colpa di Berlusconi, alla sua incapacità di gestire le coalizioni e il governo. Ma nessuno è mai riuscito a governare bene e abbastanza a lungo con Bossi e Casini, e nessuno ci riuscirà con Fini, tanto gonfio di sé quanto asciutto di idee. Trattare ogni giorno con la Lega non è facile, che si tratti di smaltire la spazzatura di Napoli fuori Regione, o delle insegnanti meridionali, anche se di sostegno. Il neo fascismo e il separatismo sembrano remoti e anzi inesistenti, ma correvano l’Italia ancora una quindicina d’anni fa. La Lega è perfino diventato un partito politico, e anche pragmatico, delle cose da fare. Un successo la cui portata si valuta al confronto con la Francia, dove invece il populismo, escluso per principio dal “campo repubblicano”, è cresciuto nel tempo e a lungo, per un trentennio ormai, a livelli minacciosi per la democrazia, condizionando e falsando tutte le elezioni presidenziali dopo Mitterrand.
Inimicizie pericolose
Parlare a favore di Berlusconi, o comunque di Berlusconi, non è meritevole. Anche perché lui stesso, in questi ben fascista, solo ascolta i suoi, e tra i suoi i fedeli a ogni costo. Non Ferrara né Confalonieri, forse neanche sua figlia Marina, ma sì Fede, Sallusti, Santanché, Dell’Utri, gli “incondizionali”. Parlarne tuttavia bisogna dato che quest’uomo occupa la scena pubblica. Anche se a costo di dirne bene, o meno peggio di quello che normalmente si dice.
Seppure è un pieno che è un vuoto, come si vuole, è un’ombra gigantesca. Qualcosa che, nell’eclisse permanente della politica in Italia, ha fermato in qualche modo la marea dell’antipolitica, dopo la caduta del Muro e il riuscito abbordaggio della pirateria giudiziaria, guascona, ricattatrice. È l’unico argine alla canea dei profittatori (il “mercato”). E dei pirati delle informazioni (l’“opinione pubblica”: giudici intercettatori e relativi portavoce) che spianano loro il campo coi diversivi.
È creazione dell’opposizione: è il fantasma dell’opposizione. Un’opposizione indigente non può che avere un nemico indigente. Berlusconi sarà stato la “giustificazione” di tanta idiozia politica, che nell’ex Pci è immensa, a cominciare da Berlinguer, uno che riuscì a dilapidare quindici o sedici milioni di voti: nel sindacato anzitutto, che l’Italia sta portando a tanti mali passi, e poi nella scuola, che questo partito ha semplicemente distrutto, e nella giustizia, dove si è fatto ostaggio di squadristi e mafiosi.
È il re dei media, si dice. Ma è una forma d’invidia. I suoi peggiori nemici sono suoi concorrenti. Falliti in tv, sovrastati nell’editoria – è il caso di De Benedetti e Rizzoli-Corriere della sera In una cosa però i suoi critici, come la concorrente Rcs, hanno di sicuro ragione su Berlusconi: è melenso. Non sa “usare” i media. La sua Mondadori o i suoi giornali non hanno pubblicato un rigo, figurarsi un libro, contro le malefatte della Rizzoli-Corriere della sera, sulle ruberie, l’ipocrisia, l’opportunismo, i continui maneggi. O si prenda il caso, alla Rai, di Santoro: lo hanno allontanato quando gli veniva utile - un paio di serate con De Magistris e Berlusconi avrebbe rivinto le elezioni (ce n’è sempre una). Si conferma che i media, se sono influenti per gli insuccessi, non lo sono per i successi di Berlusconi - ha vinto, quando ha vinto, contro i media.
Ma come nei media così, bisogna dire, in tutti i suoi affari: non ha mai rovinato nessuno. A differenza dei suoi grandi nemici della Milano che conta, De Benedetti e Bazoli, che tanti morti hanno sulle spalle. E ha salvato molti. Compresa “Repubblica”, quando la rovinosa gestione mondadoriana della televisione minacciava l’ancora gracile testata: Berlusconi finanziò Mario Formenton e Mondadori pagando duecento miliardi l’ormai fallita Rete 4. Compreso De Benedetti, che deve a Berlusconi l’unico grande affare della sua vita, la licenza dei telefonini Omnitel-Vodafone, pagata 750 miliardi a fine 1994 e rivenduta a quindicimila due anni dopo.
In una vecchia intervista a Nanni Filippini su “Repubblica”, Alain Touraine spiegava già nel 1987, prima della caduta del Muro, la crisi della rappresentanza politica: “La vecchia politica è legata all’idea della rappresentanza. La destra e la sinistra quali le conosciamo si sono formate durante lo sviluppo del sistema industriale. Oggi non ha più senso: non ci sono più borghesi e operai; c’è una crisi della rappresentatività politica: che apre delle possibilità e tuttavia nasconde dei rischi”. Obama ne è la sintesi, non c’è “prodotto” della modernità migliore, simpatico perfino ai suoi nemici politici. O Sarkozy, dopo Zapatero, dopo Blair: tutti come Obama persuasivi, a prescindere dagli atti concreti, non eccelsi e anche fallimentari, perché più belli, più giovanili, meno radicati (classificati) politicamente-ideologicamente. La battuta di Nanni Moretti, solo, al bar, con D’Alema al televisore: “Di’ qualcosa di sinistra” fa ridere ancora i sessantenni ma non dice nulla ai trentenni.
Ogni annata il vino è nuovo. Ma Berlusconi ha preteso di fare ancora il vino, altri sono passati alle adulterazioni.

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