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mercoledì 11 luglio 2012

Le forche si biforcano a Palermo, poi si ricompattano

Scalfari che polemizza con Messineo e Ingroia, chi sono costoro?, riempiendo il giornale da lui fondato, è uno spettacolino non male, anche se per patiti. A colpi di pandette! Scalfari è laureato in legge pure lui, con 100 e lode. Ma la fattispecie non è da ridere, e bisogna farci un pensierino.
La fattispecie è l’intercettazione del Quirinale, nelle persone del consigliere giuridico del presidente della Repubblica e dello stesso presidente, al telefono con Mancino e col Procuratore Generale della Cassazione. Un fatto subito sembrato grave ai più – le intercettazioni e la loro divulgazione, non le eventuali telefonate - ma non al partito dei forcaioli.
Le intercettazioni non si potevano fare, e comunque andavano distrutte e non passate ai giornali. Ma erano a carico di Mancino, della trattativa Stato-mafia, il monumento che i finti ingenui di Palermo stanno erigendo alla mafia, nelle persone di Brusca, Spatuzza e Ciancimino jr., due bruti e un signorino, e Scalfari non se l’è sentita di scendere in campo. Questo in un primo momento. Poi, invitato dal presidente della Repubblica a Castelporziano e ricevuto in pompa, si è schierato con lui. Ma con giudizio.
L’ex don Chisciotte del giornalismo tramutato in Sancio Panza non ha criticato il giudice Ingroia, che ha disposto le intercettazioni e se le “vende” ai giornali. Ha attaccato il giudice Messineo, che figurativamente è il capo di Ingroia. Figurativamente: Messineo è il classico leguleio che non capisce bene di che si sta parlando. Sparando sul falso scopo Messineo, però, la battaglia si è risolta classicamente tra Scalfari e Ingroia, quando gli eserciti erano figurine, senza danni reciproci: ora la trattativa Stato-mafia può ripartire, senza Napolitano.

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