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venerdì 25 novembre 2016

L’Economist giaguaro

L’Italia è un paese “refrattario alle riforme”, dice l’“Economist”. E perciò l’Italia non ha bisogno della riforma del Parlamento, “dove le leggi possono ballonzolare avanti e indietro tra le due Camere per decenni”.
Si penserebbe il “non” di troppo, un errore di stampa, ma il finale è di logica anche più singolare: “Che dire, allora del rischi di disastro se il referendum fallisce? Le dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe che molti in Europa temono. L’Italia potrebbe mettere assieme un governo d’affari tecnocratico, come ha fatto molte volte in passato. Se, però, un referendum perso innescasse il collasso dell’euro, allora sarebbe un segno che la moneta unica è così fragile che la sua distruzione era solo questione di tempo”.
Non sono le sole sciocchezze. Si dice anche che il rischio è concreto che Grillo diventi presidente del consiglio. Ma che questo non avverrebbe se Renzi si dimettesse.
Crolli Renzi con tutto l’euro
Il giornale non si smentisce, essendo l’espressione della cerchia d’affari che da un quarto di secolo si arricchisce sulle spalle dell’Europa, e dell’Italia in particolare. Mascherato da liberalismo, di cui evidentemente  è la negazione. Il 2011, nel quale l’“Economist” ebbe un ruolo di punta, fu ricco di superprofitti. Reiterarlo nel 2017 in effetti, il giornale ha ragione, sarebbe ancora più facile.
Nel 2011 e dopo i suoi technocratic caretaker government furono avallati da Napolitano. Con Mattarella la reiterazione potrebbe non essere automatica. Ma il settimanale non ha a cuore il governo dell’Italia.
Destra o sinistra, pari sono
Il ruolo del settimanale nel 2011 dell’Italia fu giustificato con l’antiberlusconismo. Ma era un caxhe-sex: il settimanale ha sponsorizzato in passato John Major e Bush jr.
Non si può dire però “The Economist” un settimanale di destra. È per gli affari: le “riforme” che avoca sono gli affari liberi, senza paletti, senza controlli. Ha sostenuto Clinton, il presidente della banca “universale”, speculazione, risparmio e credito insieme. E poi Blair e Obama. In Italia con coerenza Prodi, Veltroni, Monti. E si penserebbe anche Renzi, ma Renzi no, perché “non ha fatto le riforme”.
Affari riservati
La proprietà dell’“Economist” è da un paio d’anni degli Elkann. Che non contano, se non  i dividendi? È possibile, l’opinione pubblica in Inghilterra è affare riservato.
Il settimanale sa di parlare un linguaggio esoterico, per iniziati, ma tiene fermo: “I risparmiatori, e molti governi europei, temono che il No faccia dell’Italia il «terzo domino» nel crollo dell’ordine internazionale, dopo Brexit e Trump. Tuttavia, questo giornale ritiene che No è come gli italiani dovrebbero votare”.

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