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lunedì 29 aprile 2024

L’amore a Ciudad Juarez, la città più violenta del mondo

La storia di una ragazzina violentata da un balordo alla presenza del suo ragazzo, per questo delusa, poi scomparsa, e della sua ricerca da parte del ragazzo, tra le mafie, i “cartelli” della droga e dello sfruttamento. Una storia non violenta alla maniera dei film d’azione, rumorosa, veloce, ma ugualmente tetra e disturbante.  
L’unico racconto che l’editore italiano di Yasmina Khadra, Sellerio, non traduce, è anche il più circostanziato e veritiero della personale etnografia degli “ultimi” (Palestina, Iraq, Africa) cui l’ex colonnello dell’esercito algerino, noto creatore del commissario di Algeri Loeb, si è dedicato da qualche tempo. Ombra o riflesso di fatti realmente avvenuti. Il più truce dei quali, all’origine probabilmente del racconto, è un fatto di cronaca, uno dei tanti che fanno del Messico il paese col più gran numero di morti assassinati: la scomparsa trent’anni fa, ne 1993, di 4.500 donne giovani, operaie. Nella stessa città in cui è ambientato il racconto, Ciudad Juarez, la capitale dello stato desertico settentrionale del Chihuahua, considerata la città più pericolosa del mondo, per il traffico dei narcotici e degli emigranti, la terza delle grandi città messicane a ridosso della frontiera con gli Stati Uniti, qui con il Texas, con El Paso – è la “Santa Teresa” di Bolaño, “2666” (“La parte dei delitti”).
Letto in originale, Yasmina Khadra (lo pseudonimo è il nome della moglie dell’autore) mantiene, anzi ora accentua, benché da molti anni francese a tempo pieno, anche come residenza, una scrittura franco-algerina. Nei riferimenti, nella terminologia (usa anche parole italiane, “cantina”, “capo”, “ponte”, “omertà”, “mollo”, “porcherie” - anche Camus ne usava nei primi acconti, ambientati a Orano: c’era molta Italia in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo), nei modi di dire, e naturalmente nelle tematiche. Una lingua che caratterizza molto la narrazione, in senso diverso, come di un gergo popolare, di mondi marginali, ma non l’impoverisce. Qui trasferisce nel deserto messicano i modi di dire e di fare del douar algerino: l’isolamento e insieme il radicamento, la coetaneità, il sentimento collettivo.
Con un finale che non è la fine - non si esce dalle mafie se non da morti (anche viventi, ora che vanno i pentiti). O dal male: le violenze subite non si rimarginano. 
Yasmina Khadra, Pour l’amour d’Elena, Pocket, pp. 302 € 8

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