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venerdì 3 maggio 2024

La peste dei "Promessi sposi", dal vivo

Molto citato e poco letto (non pubblicato, da almeno un secolo) la revocazione di Milano nel primo Seicento alla base della parte storica dei “Promessi sposi” - anzi, la fonte unica, per quanto ricca. Si ripropone con una nuova traduzione.
Ripamonti, brianzolo, di famiglia povera, sacerdote, fu scelto dal cardinale Federigo Borromeo come direttore della Biblioteca Ambrosiana. Insegnò letteratura latina ed eloquenza sacra nel Seminario di Milano. Fu nominato cronista della città dai decurioni di Milano e storiografo regio dal governatore spagnolo. Autore delle “Historiae Ecclesiae Mediolanensis”, pubblicate fra il 1617 e il 1628, di “Historiae Patriae” pubblicate postume tra il 1643 e il 1648. E di questo “De peste Mediolani quae fuit anno 1630”, pubblicato nel 1640, tre anni prima della morte. Molto dettagliato, e ben costruito, ma rimasto praticamente ignoto prima del romanzo – fu tradotto solo nel 1841.
La cronaca è voluminosa ma non noiosa. È divisa in cinque libri: la carestia e la peste; gli untori; le gesta del cardinale Federico Borromeo e del clero durante il contagio; le “grida” della sanità e delle varie altre magistrature; un parallelo fra gli antecedenti contagi e la peste del 1630. Fra le tante storie di peste successive, da Defoe fino a Camus, è questa forse quella più vivace, e meglio argomentata.
Sono qui i capitoli XXI e XXII del romanzo di Manzoni. Che non nascose la fonte, anzi: cita Ripamonti spesso, lo dice anche sua principale fonte storica, per tutto, compresi i “bravi”. Ma tutto il romanzo, e molto Manzoni, si direbbe “ripamontiano”, dolente e inflessibile – non c’è debolezza che eviti o nasconda.
Giuseppe Ripamonti, La peste di Milano del 1630, Luni, pp. 432 € 128
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