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martedì 30 aprile 2024

Gertrude Stein fu hitleriana, anzi no

Gertrude Stein è periodicamente accusata di simpatie fasciste (Mussolini, Vichy) se non naziste. Da ultimo dalla storica Barbara Will, “Unlikely Collaboration: Gertrude Stein, Bernard Faÿ and the Vichy Dilemma”. Dove documenta che Stein tradusse in inglese 32 discorsi del maresciallo Pétain, il capo della repubblica collaborazionista di Vichy. Will avrebbe trovato in archivio i manoscritti delle traduzioni, di mano di G. Stein. Compresi quelli “che annunciavano la decisione di escludere ebrei e altri ‘elementi stranieri’ da posizioni di potere nella sfera pubblica”. Inoltre, Stein avrebbe presentato Pétain come il George Washington della Francia.
La questione è controversa. Il sospetto di collaborazionismo fu avanzato alla fine della guerra e subito lasciato cadere. G. Stein e la sua compagna, Alice Toklas, benché ebree e americane, scelsero nel 1940 di restare nella Francia occupata dalla Germania, sfollando da Parigi nell’area di Sud-Est della repubblica di Vichy, vicino alla Savoia, e alla zona occupata dall’Italia. Oltre questa scelta, ha fatto dubitare delle inclinazioni politiche di G.Stein il fatto che, benché ebrea, non sia mai stata non solo perseguitata ma in nessun modo incomodata, neanche quando, a fine 1942, Vichy divenne di fatto anch’essa zona d’occupazione tedesca. Che non abbia sofferto di nessuna privazione, alimentare, di mobilità, durante i quattro anni dell’occupazione. Che la sua collezione d’arte, importante e ricca, sia rimasta a Parigi ben protetta dall’occupate tedesco – senza furti né manomissioni.
Charles Bernstein ha argomentazioni contro ognuno di questi sospetti. Poeta per molti versi innovativo negli anni 1970, Bernstein spiegava un anno fa in un’intervista con “Il Manifesto” di essersi formato sulla morfologia del linguaggio parlato introdotta e sperimentata da Gertrude Stein. Alla protezione della sua memoria politica ha dedicato un sito. In molti interventi, Bernstein contesta uno per uno i sospetti avanzati su G.Stein, e ne mette in rilievo invece gli interventi anti-Hitler. La protezione di cui godette nel regime di Vichy mette in relazione col rapporto di amicizia da Stein intrattenuto con Bernard Faÿ, uno storico del Collège de France che fu collaborazionista, esponendosi personalmente nella caccia ai massoni – al “complotto ebraico-massonico” - anche lui omosessuale. Faÿ, condannato ai lavori forzati dopo la guerra, si rifugiò in Svizzera, continuando a insegnare in istituzioni religiose (sarà uno dei “lefebvriani” nel 1969), e nelle memorie si dirà grato a G.Stein, che nel processo per collaborazionismo scrisse al tribunale in suo favore, spiegando di averla protetta presso il regime negli anni della repubblica di Vichy, anche per le occorrenze materiali.
In proprio la scrittrice, nel memoriale “Guerre che ho visto”, scritto nel 1943-44 e pubblicato all’inizio del 945, critica a ogni pagina i soldati tedeschi (apprezza gli italiani), e la leva del lavoro obbligatorio in Germania. La storia della seconda guerra mondiale è ancora da scrivere.
Charles Bernstein, Gertrude Stein’s war years: setting the record straight
, free online

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