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Se il rimpianto è sterile
Un poemetto a Belluno, la
“montagna” del Veneto, dove passa le vacanze estive, “ogni estate a Belluno,\
per almeno due mesi”, con uso ampio della toponomastica, curiosa. Ma in realtà un
poemetto all’assenza, sempre a Raboni, alla memoria di Raboni, l’amore
immortale. “Le nuove ere sono qui, lo so”, ma non per lei, “oh mio Ideale, mai
ti dirò addio”. Anche gli alberi lo sanno: “I due cedri deodara\ parlano tra di
loro\ - Che bella notte chiara!\ Ma il sole d’oro\ non sorgerà per loro”, i due
amanti.
Con la poetica: “È l’impoetica
la mia poetica:\ il poetico ammazza la poesia”. Con Da Ponte (il “Don Giovanni”,
variamente richiamato), nato a Ceneda, cioè a Belluno. Con momenti vecchi, di
felicità, liberamente svolti, tra “cazzi” e “culi”. E momenti nuovi, di
letterine al sindaco Sala, e al presidente Mattarella, che diano una
medaglietta a Giovanni (Raboni). Jean Paul aveva sempre vivo il “Discorso del Cristo morto”, Valduga ha il “Discorso del
Giovanni morto”.
Versi semplici, come un
compitare infantile, che invece si radicano nobilmente – la scoperta si fa nelle
note finali, senza richiamo in pagina: Patrizia Valduga accentua il suo ultimo
modo, di rimette facili in settenari, anche endecasillabi andanti. Ma qui
monotoni. Lo spiritaccio è sempre quello, ma anche le rime zompettano – la
morte di Raboni ha inaridito la “veletta”, le mort saisit le vif?
Patrizia Valduga, Belluno,
Einaudi, pp.121 € 14,50
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