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Fenomeno Trump 2 - se giovani e di colore lo (ri)voterebbero
"Il Pil americano balza del 3,3 per
cento”, “Import in caduta libera (- 30 per cento)”, “La Fed verso il taglio dei
tassi di 25 punti”, “Boeing, record di
jet ordinati (grazie alle mosse di Trump): commesse per 200 miliardi”. “Stop ai
dazi sull’industria Usa. Così Bruxelles salva l’auto Ue”.
In un solo giorno, in una sola pagina,
si registrano tutti successi di Trump. Che nelle pagine politiche è sempre
visto come uno scemo, se non è psicopatico, con voglie dittatoriali.
Sui giornali italiani, anche di destra,
Trump è uno strano personaggio, un fanfarone, un po’cretino, che dice e
disdice. Sui giornali americani, che sono quasi tutti anti-Trump, è diverso: è
il presidente eletto, con una maggioranza in Congresso, che continua a
sostenerlo convinta. E pericoloso per questo.
Di fatto è un presidente non discusso:
mantiene il vantaggio elettorale nel favore popolare. Un sondaggio Pew tra i
giovani e gli elettori di colore lo rileva popolare e votabile, specie tra i latinos e gli afroamericani. E questa è forse la chiave del personaggio.
Trump 2 è come il Trump 1, un manager e un uomo di denari abituato a decisioni
rapide e all’obbedienza in azienda. Questo non va bene in politica - ma forse no,
come vedremo. Ma il Trump 2 è anche altro. Quello che ogni giorno tiene salotto per tutta la
stampa, insieme con i suoi ospiti del momento, domande libere, e risponde ai giornalisti
a ogni partenza dalla Casa Bianca, usa su X o dove altro scrive ogni mattina uno
slang giovanile, molto appetibile ai non
politici, di mestiere o di presunzione, nello spirito dei social, per farsi leggere – che è già un apprezzamento.
Questo è un altro Trump, non isolato
contro tutti come il primo. Ha sicuramente uno o più spin doctor che gli suggeriscono
i temi adatti del giorno e le parole giuste, e sicuramente molti redattori dei
messaggi apparentemente spontanei. Sempre affabile – che non è possibile, se
non è voluto. Ha una strategia della comunicazione (sua? improbabile, probabile che abbia molti personal trainer del linguaggio). Compreso il tira-e-molla sui
dazi, che sicuramente non è temperamentale – è una strategia commerciale, disorientare,
ma con un messaggio forte all’elettore: qui decido io.
È solo in questo quadro che si può
analizzarne le politiche. Se i dazi danneggiano gli affari oppure non sono una
diga allo strapotere che la globalizzazione aveva concesso ala Cina – che è pur
sempre un regime comunista, dirigista, fino alle virgole e su ogni centesimo, prima
che un concorrente commerciale. Se l’esercizio dei poteri presidenziali non sia
fuori o contro le leggi. E naturalmente inquadrare il forte messaggio conservatore
di cui s’è fatto la divisa, perfino reazionario, nelle politiche sociali e culturali: quanto è pregiudizio suo e quanto risponde a una domanda.
Certamente non è una macchietta. Il
presidente considerato (presentato come) il più volubile è invece quello più stabile
nelle sue politiche. Dichiarate subito prima e subito dopo l’accesso alla presidenza.
Un po’ d’inflazione, per allargare gli sbocchi alla produzione americana. Nuovi
sbocchi alla stessa, con la minaccia dei dazi. Sradicamento del mercato illegale
dell’immigrazione – che potrebbe (dovrebbe) anche essere una politica della sinistra. Aumento delle paghe basse, per evitare le doppie e triple occupazioni,
quotidiane, necessarie per la sopravvivenza. E un occhio ai disoccupati, e agli
abbandonati per strada, che negli Stati Uniti sono molti, e di molti generi.
C’è molto da spiegarsi se molti
americani continuano a credere a Trump.
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