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venerdì 29 agosto 2025

Fenomeno Trump 2 - se giovani e di colore lo (ri)voterebbero

"Il Pil americano balza del 3,3 per cento”, “Import in caduta libera (- 30 per cento)”, “La Fed verso il taglio dei tassi di 25 punti”,  “Boeing, record di jet ordinati (grazie alle mosse di Trump): commesse per 200 miliardi”. “Stop ai dazi sull’industria Usa. Così Bruxelles salva l’auto Ue”.
In un solo giorno, in una sola pagina, si registrano tutti successi di Trump. Che nelle pagine politiche è sempre visto come uno scemo, se non è psicopatico, con voglie dittatoriali.
Sui giornali italiani, anche di destra, Trump è uno strano personaggio, un fanfarone, un po’cretino, che dice e disdice. Sui giornali americani, che sono quasi tutti anti-Trump, è diverso: è il presidente eletto, con una maggioranza in Congresso, che continua a sostenerlo convinta. E pericoloso per questo.
Di fatto è un presidente non discusso: mantiene il vantaggio elettorale nel favore popolare. Un sondaggio Pew tra i giovani e gli elettori di colore lo rileva popolare e votabile, specie tra i latinos e gli  afroamericani. E questa è forse la chiave del personaggio. Trump 2 è come il Trump 1, un manager e un uomo di denari abituato a decisioni rapide e all’obbedienza in azienda. Questo non va bene in politica - ma forse no, come vedremo. Ma il Trump 2 è anche altro. Quello che ogni giorno tiene salotto per tutta la stampa, insieme con i suoi ospiti del momento, domande libere, e risponde ai giornalisti a ogni partenza dalla Casa Bianca, usa su X o dove altro scrive ogni mattina uno slang  giovanile, molto appetibile ai non politici, di mestiere o di presunzione, nello spirito dei social, per farsi leggere – che è già un apprezzamento.
Questo è un altro Trump, non isolato contro tutti come il primo. Ha sicuramente uno o più spin doctor  che gli suggeriscono i temi adatti del giorno e le parole giuste, e sicuramente molti redattori dei messaggi apparentemente spontanei. Sempre affabile – che non è possibile, se non è voluto. Ha una strategia della comunicazione  (sua? improbabile, probabile che abbia molti personal trainer  del linguaggio). Compreso il tira-e-molla sui dazi, che sicuramente non è temperamentale – è una strategia commerciale, disorientare, ma con un messaggio forte all’elettore: qui decido io.
È solo in questo quadro che si può analizzarne le politiche. Se i dazi danneggiano gli affari oppure non sono una diga allo strapotere che la globalizzazione aveva concesso ala Cina – che è pur sempre un regime comunista, dirigista, fino alle virgole e su ogni centesimo, prima che un concorrente commerciale. Se l’esercizio dei poteri presidenziali non sia fuori o contro le leggi. E naturalmente inquadrare il forte messaggio conservatore di cui s’è fatto la divisa, perfino reazionario, nelle politiche sociali e culturali: quanto è pregiudizio suo e quanto risponde a una domanda.
Certamente non è una macchietta. Il presidente considerato (presentato come) il più volubile è invece quello più stabile nelle sue politiche. Dichiarate subito prima e subito dopo l’accesso alla presidenza. Un po’ d’inflazione, per allargare gli sbocchi alla produzione americana. Nuovi sbocchi alla stessa, con la minaccia dei dazi. Sradicamento del mercato illegale dell’immigrazione – che potrebbe (dovrebbe) anche essere una politica della sinistra. Aumento delle paghe basse, per evitare le doppie e triple occupazioni, quotidiane, necessarie per la sopravvivenza. E un occhio ai disoccupati, e agli abbandonati per strada, che negli Stati Uniti sono molti, e di molti generi.
C’è molto da spiegarsi se molti americani continuano a credere a Trump.

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