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Il mondo com'è (488)
astolfo
Blitzkrieg – La guerra
lampo, che si suppone teorizzata dallo Stato maggiore tedesco di Hitler – la parola
è apparsa per la prima volta nella rivista dell’esercito tedesco, “Deutsche Wehr“, difesa tedesca, nel 1935 - ha trovato applicazione
solo nel 1939-1940, quando le difese della Polonia e della Francia, compresi
Belgio e Olanda, si trovarono impreparate di fronte all’armamento corazzato mobile
tedesco, carri armati e artiglieria montata (semovente). Più che una
teorizzazione, quella di “Deutsche Wehr“ era un adattamento della guerra ai
nuovi mezzi mobili corazzati, rispetto alla guerra di uomini e difese fisse (trincee,
muri, cavalli di frisia).
Un solo altro caso si registra, nella guerra dei Sei Giorni, di Israele
nel 1967 contro Egitto, Giordania e Siria. Ma in quel caso si trattò di una
guerra sostanzialmente aerea – l’aviazione israeliana distrusse quella egiziana
a terra nelle prime ore di guerra, e l’esito fu quasi subito condizionato - l’occupazione
israeliana di metà Giordania, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, e del Sinai fino al canale di Suez, fu una “passeggiata“.
Il Blitzkrieg
del 1967, dal 5 al 10 giugno, viene di solito attribuito al generale Moshe Dayan.
Ma il capo di Stato maggiore israeliano era Yitzhak Rabin – che poi sarà primo
ministro socialista, e morirà assassinato per motivi politici. Dayan l’aveva
anticipato nel 1956, nell’impresa poi fallita della liberazione lampo, cioè
dell’occupazione, del canale di Suez, in reazione alla nazionalizzazione del
canale da parte del governo egiziano di Nasser. Fu il primo atto della lunga guerra di Israele contro l’Egitto,
terminata col trattato di pace Sadat-Begin del 26 marzo 1979. L’occupazione
lampo del canale di Suez fu organizzata e realizzata da Dayan in accordo con la
Gran Bretagna e la Francia, allora potenze coloniali, cui facevano capo gli
interessi proprietari del Canale nazionalizzato da Nasser. Ma la “liberazione” durò
pochi giorni: il presidente americano Eisenhower fermamente si oppose all’occupazione
franco-britannico-israeliana.
Il 26 luglio Nasser nazionalizzò il Canale. Il 29
ottobre, dopo mesi di intensi schieramenti franco-britannici nell’area, a Cipro
e Malta, con piani d’azione allargati a tutto l’Egitto, non soltanto al Canale,
Dayan occupò Gaza (allora egiziana) e il Sinai. Due giorni più tardi Inghilterra
e Francia cominciarono bombardamenti pesanti sull’Egitto. Nasser rispose affondando
tutte le navi (quaranta) che si trovavano nel Canale di Suez. Dayan giunse in
poche ore sul Canale. Ma lì si dovette fermare, per poi smobilitare – il Sinai resterà
però dominio di Israele, fino alla guerra del Kippur, 1973-74 (i giacimenti di
idrocarburi che l’Eni aveva scoperto e messo in produzione, in consocietà con l’azienda
petrolifera di Stato egiziana, furono nazionalizzati da Israele per la quota
egiziana, la quota dell’Eni veniva invece pagata su conti riservati, in base ad
accordi Israele-Italia anch’essi riservati).
Un po’ come la Polonia contro Hitler, Nasser vagheggiava
l’isolamento e la sconfitta di Israele. Con la creazione di una Repubblica Araba
Unita, tra Egitto, Siria e Giordania. La guerra dei Sei giorni fu un disastro,
per l’Egitto (Gaza e Sinai), per la Giordania (Cisgiordania) e per la Siria
(Golan).
Camp David – La residenza
estiva dei presidenti americani è il punto di riferimento di tutte le
trattative, e qualche trattato di pace, tra Israele e i vicini arabi. Ma una
sola trattativa è stata portata a conclusione, quella tra Israele e l’Egitto,
patrocinata dal presidente Carter nel 1978. Il 17 settembre 1978, dopo una
sessione di negoziati bilaterali lunga dodici giorni, furono firmati, dal
presidente egiziano Sadat e dal primo ministro israeliano Begin, con la mediazione
di Carter, due accordi, un “Accordo-quadro di Pace in Medio Oriente” e un
“Accordo-quadro per la conclusione di un Trattato di pace tra Egitto e Israele”.
Questo fu portato a effetto, il trattato sarà sottoscritto, sempre tra Sadat e
Begin, il 26 marzo 1979 in forma solenne a Washington. Della pace in Medio
Oriente non si parlò più. Fino al 2000, quando il presidente americano Clinton
provò a rianimare la questione.
Sempre in estate, Clinton convocò a Camp
David il primo ministro israeliano Ehud Barak e il fondatore-presidente dell’Olp
(Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yasser Arafat. Si discusse per
quattordici giorni, tra l’11 e il 24 luglio, e si concluse con una
dichiarazione che poi rimase lettera morta. Israele accettava di negoziare un
assetto sulla base delle risoluzioni dell’Onu, compresa quella del 1967 sulla
Cisgiordania – sulla “restituzione” della Cisgiordania occupata da Israele. Ma
le riserve erano molte – e Arafat era in declino di rappresentatività (subito
dopo il vertice, nell’autunno, scoppiò la “secondo rivolta palestinese”). L’accordo
era di fatto un documento preparato da Barak a gennaio e fatto proprio dagli Stati
Uniti. Il documento contemplava un richiamo esplicito al “diritto al ritorno
dei palestinesi”, ma per confutarlo e rigettarlo. Largheggiava invece sul numero
dei rifugiati che sarebbero potuti ritornare nelle aree controllate dall’Olp-Autorità
palestinese. In un piccolo Stato palestinese, con capitale Abu Dis, un
villaggio. Senza smantellamento degli insediamenti coloniali israeliani.
L’accordo di Camp
David veniva peraltro dopo il fallimento dei ben più impegnativi, formalmente,
accordi di Oslo, sottoscritti tra Israele e Arafat sette anni prima, il 13
settembre 1993. Presentati come una sorta di trattato di pace, e invece mai applicati.
Per Israele li aveva sottoscritti il primo ministro socialista, ex generale,
Rabin, che a novembre de 1995 fu assassinato. Dopo qualche mese il governo era
assunto da Netanyahu.
Harijan - Termine un tempo popolare, utilizzato da Gandhi a partire
dal 1933 per un suo giornale settimanale e per una comunità (ancora attiva),
Harijan Sevak Sangh, per riferirsi agli “intoccabili”, di cui perseguiva la
liberazione o riabilitazione. Oggi, in questa accezione, un termine desueto,
considerato anzi spregiativo – si preferisce il termine “dalit”, oppressi. Di
origine sanscrita, significa “figli di Dio”.
Novecento, 1919-1989,
la dissoluzione degli imperi europei – La dissoluzione dell’Europa viene con la
dissoluzione dei suoi imperi? Se la si fa partire correttamente, cioè dalla
Gande Guerra e dai trattati che la conclusero (Versailles, Saint Germain en
Laye, Trianon, Sèvres – poi Losanna), sì. Una storia che non si fa, e che invece
sarebbe utile perché si prolunga in questo millennio, è che il secolo parte da
Versailles, dai trattati di pace che chiusero la prima guerra mondiale sancendo
la dissoluzione di due imperi sui quali si erano conformati l’Europa e il Mediterraneo:
l’impero austro-ungarico e l’impero ottomano. All’insegna del nazionalismo (irredentismo)
e della democrazia (libera scelta). Che invece hanno scatenato rivendicazioni e
guerre nazionaliste (irredentiste, tribali) senza fine, e un numero elevato di fascismi
– una ventina solo in Europa negli anni 1930, ovunque allora e poi nel Sud Mediterraneo, tra Nord Africa e
Medio Oriente.
I trattati hanno
avviato un secolo di continue e forti instabilità, politiche e nazionalistiche.
Che perdurano, e anzi prospettano un secondo secolo di instabilità. Un secolo
fa tra le potenze sconfitte, Germania, Austria-Ungheria, Turchia, e tra quelle
vincitrici, l’Italia, la stessa Francia. Oggi con la forte instabilità, e le
molte guerre, nell’Europa orientale o slava. Tra gli slavi del Sud, la ex Jugoslavia,
e nel dissolto impero russo-sovietico dopo il 1989. Di tutti contro la Russia
e, oggi più o meno sopite, di tutti contro tutti. La Romania contro l’Ungheria,
contro la Moldavia, contro la Russia (la Romania è nazione latina, ma immersa
nel mondo slavo, di cui condivide le lacerazioni). Gli Stati Baltici, l’Ucraina,
la Georgia, la Finlandia, la Romania contro i russi – e viceversa. La Polonia contro
l’Ucraina. La Lituania contro la Polonia. Tutti contro la Serbia - e non solo
per il Kossovo.
L’ex impero russo
è serbatoio di guerre infinte. Nell’ultima sua incarnazione, quella sovietica,
del “socialismo in un solo Stato”, era un impero che andava fino a non molti
anni fa dal Reno all’Alaska.
Vittoria Tesi – Detta la
Fiorentina o la Moretta, fu il migliore e più famoso contralto del primo
Settecento, sulle scene di mezza Europa. Nata sicuramente il 13 febbraio 1701 a
Firenze, morta non si sa dove né quando. La Moretta perché il padre era
africano o di origini africane, stando a un memorialista dell’epoca, Niccolò
Susier, che suonava la tiorba e tenne un diario. Nei registri parrocchiali il padre è
identificato come Alessandro Rapacciuoli. Secondo Susier era un lacchè di
origini africane che frequentava la corte medicea. Giacché al servizio di Francesco
De Castris, un sopranista anche lui celebre, favorito del principe Ferdinando
Maria dei Medici, musicologo – principe ereditario, ma premorto al padre Cosimo
III (il regnante più longevo di casa Medici). De Castris comunque risulta
padrino di battesimo di Vittoria – madrina la soprano Vittoria Tarquini,
circostanza che dà credibilità alla notazione di Susier.
Notevoli comunque, benché indiretti, e concordanti
i riferimenti dei contemporanei ai segni fisionomici della cantante. Quando
Vittoria era divenuta famosa, una nuova contralto che avrebbe fatto successo,
Anna Bagnolesi Pinacci, veniva chiamata “la Tesi bianca”. Un giurista melomane
olandese, grande viaggiatore per l’Europa, Jan Alenson, scrisse che, preparandosi
a un recital a Milano per il Carnevale del 1724, Vittoria “si sbiancava con
cipria la bruna pelle”. E Metastasio esaltava la “nostra impareggiabile africana
Tesi” scrivendo al sopranista famoso Carlo Broschi, “il Farinelli”. Altre
tracce le attribuiscono corteggiamenti serrati da mezza nobiltà europea, tra
essi l’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto II il Forte, e un Enea
Silvio Piccolomini, senese e cardinale come l’omonimo papa di famiglia Pio II,
ma del Settecento.
astolfo@antiit.eu
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