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lunedì 29 settembre 2025

Il mondo com'è (488)

astolfo


Blitzkrieg – La guerra lampo, che si suppone teorizzata dallo Stato maggiore tedesco di Hitler – la parola è apparsa per la prima volta nella rivista dell’esercito tedesco, “Deutsche Wehr“, difesa tedesca, nel 1935 - ha trovato applicazione solo nel 1939-1940, quando le difese della Polonia e della Francia, compresi Belgio e Olanda, si trovarono impreparate di fronte all’armamento corazzato mobile tedesco, carri armati e artiglieria montata (semovente). Più che una teorizzazione, quella di “Deutsche Wehr“ era un adattamento della guerra ai nuovi mezzi mobili corazzati, rispetto alla guerra di uomini e difese fisse (trincee, muri, cavalli di frisia).
Un solo altro caso si registra, nella guerra dei Sei Giorni, di Israele
nel 1967 contro Egitto, Giordania e Siria. Ma in quel caso si trattò di una guerra sostanzialmente aerea – l’aviazione israeliana distrusse quella egiziana a terra nelle prime ore di guerra, e l’esito fu quasi subito condizionato - l’occupazione israeliana di metà Giordania, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, e del Sinai fino al canale di Suez, fu una “passeggiata“.  

Il Blitzkrieg del 1967, dal 5 al 10 giugno, viene di solito attribuito al generale Moshe Dayan. Ma il capo di Stato maggiore israeliano era Yitzhak Rabin – che poi sarà primo ministro socialista, e morirà assassinato per motivi politici. Dayan l’aveva anticipato nel 1956, nell’impresa poi fallita della liberazione lampo, cioè dell’occupazione, del canale di Suez, in reazione alla nazionalizzazione del canale da parte del governo egiziano di Nasser. Fu il primo atto della lunga guerra di Israele contro l’Egitto, terminata col trattato di pace Sadat-Begin del 26 marzo 1979. L’occupazione lampo del canale di Suez fu organizzata e realizzata da Dayan in accordo con la Gran Bretagna e la Francia, allora potenze coloniali, cui facevano capo gli interessi proprietari del Canale nazionalizzato da Nasser. Ma la “liberazione” durò pochi giorni: il presidente americano Eisenhower fermamente si oppose all’occupazione franco-britannico-israeliana.
Il 26 luglio Nasser nazionalizzò il Canale. Il 29 ottobre, dopo mesi di intensi schieramenti franco-britannici nell’area, a Cipro e Malta, con piani d’azione allargati a tutto l’Egitto, non soltanto al Canale, Dayan occupò Gaza (allora egiziana) e il Sinai. Due giorni più tardi Inghilterra e Francia cominciarono bombardamenti pesanti sull’Egitto. Nasser rispose affondando tutte le navi (quaranta) che si trovavano nel Canale di Suez. Dayan giunse in poche ore sul Canale. Ma lì si dovette fermare, per poi smobilitare – il Sinai resterà però dominio di Israele, fino alla guerra del Kippur, 1973-74 (i giacimenti di idrocarburi che l’Eni aveva scoperto e messo in produzione, in consocietà con l’azienda petrolifera di Stato egiziana, furono nazionalizzati da Israele per la quota egiziana, la quota dell’Eni veniva invece pagata su conti riservati, in base ad accordi Israele-Italia anch’essi riservati).
Un po’ come la Polonia contro Hitler, Nasser vagheggiava l’isolamento e la sconfitta di Israele. Con la creazione di una Repubblica Araba Unita, tra Egitto, Siria e Giordania. La guerra dei Sei giorni fu un disastro, per l’Egitto (Gaza e Sinai), per la Giordania (Cisgiordania) e per la Siria (Golan).

 
 
Camp David – La residenza estiva dei presidenti americani è il punto di riferimento di tutte le trattative, e qualche trattato di pace, tra Israele e i vicini arabi. Ma una sola trattativa è stata portata a conclusione, quella tra Israele e l’Egitto, patrocinata dal presidente Carter nel 1978. Il 17 settembre 1978, dopo una sessione di negoziati bilaterali lunga dodici giorni, furono firmati, dal presidente egiziano Sadat e dal primo ministro israeliano Begin, con la mediazione di Carter, due accordi, un “Accordo-quadro di Pace in Medio Oriente” e un “Accordo-quadro per la conclusione di un Trattato di pace tra Egitto e Israele”. Questo fu portato a effetto, il trattato sarà sottoscritto, sempre tra Sadat e Begin, il 26 marzo 1979 in forma solenne a Washington. Della pace in Medio Oriente non si parlò più. Fino al 2000, quando il presidente americano Clinton provò a rianimare la questione.
Sempre in estate, Clinton convocò a Camp David il primo ministro israeliano Ehud Barak e il fondatore-presidente dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yasser Arafat. Si discusse per quattordici giorni, tra l’11 e il 24 luglio, e si concluse con una dichiarazione che poi rimase lettera morta. Israele accettava di negoziare un assetto sulla base delle risoluzioni dell’Onu, compresa quella del 1967 sulla Cisgiordania – sulla “restituzione” della Cisgiordania occupata da Israele. Ma le riserve erano molte – e Arafat era in declino di rappresentatività (subito dopo il vertice, nell’autunno, scoppiò la “secondo rivolta palestinese”). L’accordo era di fatto un documento preparato da Barak a gennaio e fatto proprio dagli Stati Uniti. Il documento contemplava un richiamo esplicito al “diritto al ritorno dei palestinesi”, ma per confutarlo e rigettarlo. Largheggiava invece sul numero dei rifugiati che sarebbero potuti ritornare nelle aree controllate dall’Olp-Autorità palestinese. In un piccolo Stato palestinese, con capitale Abu Dis, un villaggio. Senza smantellamento degli insediamenti coloniali israeliani.
L’accordo di Camp David veniva peraltro dopo il fallimento dei ben più impegnativi, formalmente, accordi di Oslo, sottoscritti tra Israele e Arafat sette anni prima, il 13 settembre 1993. Presentati come una sorta di trattato di pace, e invece mai applicati. Per Israele li aveva sottoscritti il primo ministro socialista, ex generale, Rabin, che a novembre de 1995 fu assassinato. Dopo qualche mese il governo era assunto da Netanyahu.  
 
Harijan - Termine un tempo popolare, utilizzato da Gandhi a partire dal 1933 per un suo giornale settimanale e per una comunità (ancora attiva), Harijan Sevak Sangh, per riferirsi agli “intoccabili”, di cui perseguiva la liberazione o riabilitazione. Oggi, in questa accezione, un termine desueto, considerato anzi spregiativo – si preferisce il termine “dalit”, oppressi. Di origine sanscrita, significa “figli di Dio”.  
 
Novecento, 1919-1989, la dissoluzione degli imperi europei – La dissoluzione dell’Europa viene con la dissoluzione dei suoi imperi? Se la si fa partire correttamente, cioè dalla Gande Guerra e dai trattati che la conclusero (Versailles, Saint Germain en Laye, Trianon, Sèvres – poi Losanna), sì. Una storia che non si fa, e che invece sarebbe utile perché si prolunga in questo millennio, è che il secolo parte da Versailles, dai trattati di pace che chiusero la prima guerra mondiale sancendo la dissoluzione di due imperi sui quali si erano conformati l’Europa e il Mediterraneo: l’impero austro-ungarico e l’impero ottomano. All’insegna del nazionalismo (irredentismo) e della democrazia (libera scelta). Che invece hanno scatenato rivendicazioni e guerre nazionaliste (irredentiste, tribali) senza fine, e un numero elevato di fascismi – una ventina solo in Europa negli anni 1930, ovunque allora e poi nel Sud Mediterraneo, tra Nord Africa e Medio Oriente.
I trattati hanno avviato un secolo di continue e forti instabilità, politiche e nazionalistiche. Che perdurano, e anzi prospettano un secondo secolo di instabilità. Un secolo fa tra le potenze sconfitte, Germania, Austria-Ungheria, Turchia, e tra quelle vincitrici, l’Italia, la stessa Francia. Oggi con la forte instabilità, e le molte guerre, nell’Europa orientale o slava. Tra gli slavi del Sud, la ex Jugoslavia, e nel dissolto impero russo-sovietico dopo il 1989. Di tutti contro la Russia e, oggi più o meno sopite, di tutti contro tutti. La Romania contro l’Ungheria, contro la Moldavia, contro la Russia (la Romania è nazione latina, ma immersa nel mondo slavo, di cui condivide le lacerazioni). Gli Stati Baltici, l’Ucraina, la Georgia, la Finlandia, la Romania contro i russi – e viceversa. La Polonia contro l’Ucraina. La Lituania contro la Polonia. Tutti contro la Serbia - e non solo per il Kossovo.
L’ex impero russo è serbatoio di guerre infinte. Nell’ultima sua incarnazione, quella sovietica, del “socialismo in un solo Stato”, era un impero che andava fino a non molti anni fa dal Reno all’Alaska.
 
Vittoria Tesi – Detta la Fiorentina o la Moretta, fu il migliore e più famoso contralto del primo Settecento, sulle scene di mezza Europa. Nata sicuramente il 13 febbraio 1701 a Firenze, morta non si sa dove né quando. La Moretta perché il padre era africano o di origini africane, stando a un memorialista dell’epoca, Niccolò Susier, che suonava la tiorba e tenne un diario. Nei registri parrocchiali il padre è identificato come Alessandro Rapacciuoli. Secondo Susier era un lacchè di origini africane che frequentava la corte medicea. Giacché al servizio di Francesco De Castris, un sopranista anche lui celebre, favorito del principe Ferdinando Maria dei Medici, musicologo – principe ereditario, ma premorto al padre Cosimo III (il regnante più longevo di casa Medici). De Castris comunque risulta padrino di battesimo di Vittoria – madrina la soprano Vittoria Tarquini, circostanza che dà credibilità alla notazione di Susier.
Notevoli comunque, benché indiretti, e concordanti i riferimenti dei contemporanei ai segni fisionomici della cantante. Quando Vittoria era divenuta famosa, una nuova contralto che avrebbe fatto successo, Anna Bagnolesi Pinacci, veniva chiamata “la Tesi bianca”. Un giurista melomane olandese, grande viaggiatore per l’Europa, Jan Alenson, scrisse che, preparandosi a un recital a Milano per il Carnevale del 1724, Vittoria “si sbiancava con cipria la bruna pelle”. E Metastasio esaltava la “nostra impareggiabile africana Tesi” scrivendo al sopranista famoso Carlo Broschi, “il Farinelli”. Altre tracce le attribuiscono corteggiamenti serrati da mezza nobiltà europea, tra essi l’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto II il Forte, e un Enea Silvio Piccolomini, senese e cardinale come l’omonimo papa di famiglia Pio II, ma del Settecento.


astolfo@antiit.eu

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