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giovedì 2 ottobre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (608)

Giuseppe Leuzzi


Pasquale Tridico, il padre del reddito di cittadinanza (la falsa pensione del Sud estesa a tutta Italia), svelto tribuno grillino, torna in Calabria da Bruxelles, dove fa il pingue parlamentare Ue, per candidarsi a presidente della Regione, e si dimentica che ha lasciato casa trenta o quarant’anni fa, e non vi risiede. Quindi, non può nemmeno votarsi – nonché mostrare di non sapere nulla della Calabria nei dibattiti, nemmeno la geografia elementare. I grillini, si sa, ragionano diversamente. Ma il Sud è solo sbadataggine per i meridionali emigrati, con qualche successo. 

O Tridico è diverso? Grillino sicuro, riprende pure il comico Albanese, “Cetto la Qualunque, imprenditore e politico calabrese”. Come lui promette settemila “forestali” – “assumerò seimila, settemila, ottomila forestali, uno per ogni albero!” E niente bollo auto. Professore ma ignorante: sbaglia le percentuali, il 3 col 30, e vaga ha la geografia – tre dice le province, come un tempo, e  Bagnaro per Bagnara Calabra (eco di “bagnarote”, le donne di Bagnara, pittoresche e abili ambulanti?). Prima in lista mette la filosofa Di Cesare, che nessuno sa chi sia. E appelli a sostegno fa firmare da amici defunti, come il sociologo Butera – colpa grave in Calabria, non sapere che un amico è morto. A questo punto la questione è personale, la Calabria non c’entra – si vorrebbe, ma dove potrebbe succedere altrove?

L’autostrada Napoli-Pompei, poi Napoli-Pompei-Salerno, ha fatto questa estate i cento anni. La seconda autostrada italiana. Progettata dallo stesso ingegnere, conte e imprenditore stradale lombardo Piero Puricelli, che aveva progettato e realizzato la prima autostrada, la Milano-Laghi. La  quale però nel 1924, un anno prima s’inaugurava – la prima autostrada al mondo concepita solo per i veicoli a motore: km. 42,6 (e meno di un anno dopo, e prima della prima pietra della Napoli-Pompei, era già stata allungata di 24 km., fino a Como). La Napoli-Pompei, 25 km, sarà inaugurata nel 1936, dopo oltre dieci anni. Puricelli era stato incaricato di progettarla ma non di realizzarla. 


Calabria e Toscana, sanità e inquinamento – 2
Si può continuare con i servizi (pubblici) forniti male in Toscana e bene, o non altrettanto male, in Calabria, fra le sorprese estive.  A nessun esito. L’argomento, poi, non è granché d’interesse – non c’è contesa fra le due Regioni. Ma serve a dire quanto la “narrazione” di una realtà, la percezione che ne ha e se ne dà di essa, conti, e anche molto – i calabresi sono più che convinti di essere curati male e malissimo.
Un richiamo però merita: che non c’è wi-fi sulle spiagge di metà Versilia, quelle di Massa e Carrara e in parte del Forte dei Marmi, e anche i cellulari sul più bello “non hanno campo”,
 o sulla costa apuana, superba muraglia fronte mare, mentre c’è, wi-fi e campo, nello sperduto paese dentro l’Aspromonte. E alla Tonnara di Palmi, gli oltre 2 km. di spiaggia tra Gioia Tauro e Palmi – Ciambra, Scinà, Pietrenere, Ulivo. Dove si fa pure il bagno in mare con piacere, l’acqua è trasparente, anche se non si avvale di bandiere blu o verdi, mentre è impossibile farlo sulle spiagge dell’Alta Versilia, quotidianamente afflitte da varie sostanze, visibili, benché onuste di bandiere blu e verdi – se non al largo (disponendo cioè di una “barca”).

Due località, viene da pensare, stranamente unite, da Leonida Répaci, l’intrepido scrittore e animatore culturale, che da Palmi se ne andò in Versilia, e la ne propiziò il “lancio” con la cultura, il famoso premio Viareggio. Il destino, alle volte….
Un codicillo si può appendere in materia di mari e spiagge: che quelle dell’Alta Versilia sono da alcuni decenni erose per grandi profondità. Da ricostituire periodicamente con mostruosi “ripascimenti”, di sabbia di fiume – scavata chissà dove: le cave di fiume sono la fonte maggiore d’inquinamento delle acque si mare, dove i fiumi inevitabilmente finiscono. Senza che mai una soluzione sia stata decisa affrontando la causa dell’erosione. Che tutti sanno essere il porto di Carrara, a monte. Da quando le banchine sono state raddoppiate, trenta o quarant’anni fa, da 700 a 1.850 metri e hanno deviato le correnti marine. Banchine per lo più inutilizzate. Per un traffico tra 1,4 e 3,4 milioni milioni di tonnellate. Come Fiumicino – che non si direbbe un porto quanto uno scalo aeroportuale. Utilizzato per lo più da qualche anno per le navi da crociera – per la visita al Golfo dei Poeti, alle Cinque Terre e alle cave di marmo. E si scava per per un’altra banchina esterna, per un maggiore pescaggio, per qualche nave da crociera più pesante, per fare concorrenza a Genova e La Spezia.
Un business in sé, la “costruzione”. A effetto economico irrisorio. Con danni invece (in)calcolabili. A Reggio Calabria si sarebbe detto un affare di mafie. Un’economia della spesa pubblica, a beneficio dei pochi, come nel peggiore Sud.  
Il porto di Reggio Calabria, anch’esso nato “naturale”, si allunga con banchine artificiali per mezzo km. o poco più, e gestisce in compenso un traffico, con Messina, le Eolie e Malta, di 13-14 milioni di passeggeri, l’anno. Senza danno per nessuno.
Però, le cose vanno così: in Toscana comunque bene, in Calabria comunque male. L’erosione, viene da pensare, è solo un’occasione di ricco business col ripascimento - come la costruzione dei moli del porto di Carrara. E senza il sospetto di mafia.
Le due entità hanno storie differenti, e il divario accumulato ancora immenso. La buona amministrazione secolare e la potenza politica ed economica che hanno fatto la storia della Toscana dal Duecento in qua, si confronta con un millennio di abbandono, politico, economico, anche militare (chiunque poteva sbarcarvi e depredare), della Calabria, forse la regione meno accudita (governata) d’Italia o più negletta, sia pure per colpe sue, sconfitti i bizantini. Perfino il secolo e più di governo normanno insediato in Calabria non ha lasciato traccia: la capitale i conti-duchi avevano eletto a Mileto, all’interno del monte Poro, per evitare le incursioni barbaresche, ma le giornate passavano sul Monte a guatare la Sicilia, di cui gli arabi avevano fatto un giardino e arricchito di marmi e cesellature. A volte si è pure sfortunati.
 
Una piazza tra i boschi nell’Aspromonte
Salendo faticosamente a dorso di mulo da Sant’Eufemia d’Aspromonte al Montalto (un dislivello di 1.500 m., che pretende di avere fatto all’andata e al ritorno nello stesso giorno), il nobile scrittore austriaco, viaggiatore nel 1908 in Calabria, Friedrich Wernet van Oestéren sbuca con sua sorpresa uscendo dai boschi in una radura o pratone spoglio “denominato «piazza di Martino»”. Una piazza nel bosco. in mezzo alla montagna. E ne racconta la storia, come il mulattiere gliela racconta: “Martino era un capobrigante
molto onorevole che aveva fissato in questo spiazzo il suo accampamento. Da qui era uso intraprendere con i suoi uomini le spedizioni d’affari. Fino a quando, in un momento di debolezza, non fu sorpreso da due gendarmi cattivi che lo catturarono e addirittura lo finirono sul posto a colpi di pistola”.
I due gendarmi cattivi non sembrano fuori posto, erano attivi, fattivi e cattivi, in due e anche d soli, ancora qualche decennio dopo guerra, dopo la Repubblica. Ma una “piazza” tra i boschi? In onore di un brigante?
La curiosità ricorre pure in Carlo Levi, “Prima e dopo le parole”, p. 30. Ma la “piazza Nino Martino” era probabilmente nata con l’abate Vincenzo Padula, che in “Persone di Calabria” ne fa addirittura un santo: “Il morto Nino era divenuto un santo; e così s’era alzato, e inginocchiatosi dietro la botte vi versava sempre del vino, mercé un sarmento che teneva in bocca. La Giustizia, vedendo la madre a vendere sempre vino, e non comprare mai mosto, andò a frugarle in casa, e trovato Nino e visto il miracolo, lo fe’ santificare - noi contadini lo chiamiamo il santo dell’abbondanza, ed entrando in casa altrui, o nell’aia, o nel trappeto sogliamo dire: «Santu Martinu!»”.
Teodoro Scamardi, che ha recuperato van Oestéren e lo ha tradotto per Rubbettino (“Povera Calabria”, p. 183), sintetizza così le sparse “notizie” sul Martino di Piazza Nino Martino: “Nino Martino, detto Cacciadiavoli, era un brigante calabrese del Cinquecento. Sarebbe vissuto sull’Aspromonte (per alcuni in Sila). Brigante pecoraio, catturato e condannato a morte, era stato salvato dalla forca da un suo compegno che si era travestito da monaco per confessarlo prima dell’esecuzione. Una volta libero, stanco della vita di brigante vorrebbe redimersi e va a cercare la benedizione della madre, ma i suoi compagni, avendolo veduto sull’uscio e non riconoscendolo, lo prendono per una spia e lo uccidono”.
La “piazza” nasce, insieme con la statua del Redentore, per il Giubileo del 1900. Per una sorta di cristianizzazione, annessione alla fede, perdurante il “non possumus” dei cattolici nella vita pubblica dell’Italia unita, della Montagna. Promossa dal barone Stranges di San Luca, proprietario terriero di metà Aspromonte, compreso il versante tirrenico (fino agli uliveti di Castellace-Stranges in agro di Oppido Mamertina) - il contributo del barone poi si limitò alla “concessione” del terreno. di nessun valore, sul Montalto per il monumento del Redentore, il costo della enorme pesantissima statua fu sostenuto dai fedeli. La leggenda del brigante santo, raccolta da Padula, rafforzò il progetto. E la Montagna si trova nel mezzo una piazza, intitolata a un brigante, vero - non un Robin Hood.
 
Cronache della differenza: Milano
Respirano le cronache e i giornali milanesi per il Riesame che nobilita i costruttori di grattacieli al posto delle villette chiamandoli ristrutturazioni: non c’è corruzione (nominare un architetto all’Urbanistica, e poi, ma anche prima, dargli progettazioni e consulenze non lo è secondo le giudici, milanesi, del Riesame). Sono felici, si presume, i loro lettori di non essere corrotti, anche se lo sono.
Sembra stupidità e invece è grande saggezza - è forse anzi il segreto di “Milano”: mai darsi la zappa sui piedi.
 
Tre romanzieri giovani, di varia provenienza, hanno ambientato il loro (ultimo) romanzo a Milano. “La Lettura” chiede loro perché. Pietro Santetti: “Ci ho abitato per un breve periodo e ci torno volentieri. Non credo che ci verrei se non avessi un motivo legato al lavoro, ma ho l’agente a Milano”. Alice Valeria Oliveri: “Io non ci tornerei mai a vivere; ma vengo a Milano quasi ogni settimana per lavoro”. Fabrizio Sinisi: “Io sono in città da dieci anni, e si fa fatica. Finché ci riesco a  stare, ci sto”.
 
Dagli hooligans anni 1960, Milano a lungo si è pensata Londra, ai casseurs o maranza di ogni manifestazione, Milano si vuole padrona e insieme ribelle. Uno strabismo strano, anche se coltivato – Milano sempre si assolve nella violenza.
 
Molto milanese – self-assured, perentorio – il linguaggio delle giudici del Riesame sulla Nuova Urbanistica, Paola Pendino, Francesca Ghezzi e Vincenza Papagno, e Pendico-Ghezzi-Gianluca Tenchio. Sbrigativo e sferzante sia nell’assoluzione sia nella condanna – quelli “non bene” li hanno condannati. Un tempo si sarebbe detto “femminile”, ma non si può – e comunque nel secondo trio c’è perfino un uomo, un maschio, Tenchio. No, è molto “buona borghesia”: architetti e immobiliaristi al di sopra di ogni sospetto, politici ladri. Veloce e lapidario.
  
Hakan Çalanoğlu dopo Pirlo, il Milan ha sempre regalato il playmaker alle avversarie più titolate, Inter e Juventus. Senza nemmeno guadagnarci nella contabilità – Pirlo fu ceduto gratis, come uno senza futuro (poi vinse cinque campionati). Da gente di calcio, Galliani e Berlusconi. Le qualità di Milano  sono evidentemente segrete - o fortuite.
 
Nico Acampora, un napoletano a Milano, sempre la stessa storia: insegna ai milanesi cosa e come mangiare, bene, con gusto. Ora però si supera: a far mangiare bene i milanesi mette in cucina i ragazzi autistici. Un’invenzione non da poco.
 
Facendo rivivere Cuccia, ora che Mediobanca è stata vinta dai romani, Michele Masneri sul “Foglio” trova la città cambiata, urbanisticamente: “Nella Milano del loft angusto, delle inchieste urbanistiche e del lamento della gentrification… la vecchia Comit, la Banca Commerciale Italiana, è diventata un museo e un ristorante. Sul tetto della Scala c’è la nave spaziale disegnata da Mario Botta….”
 
Mutato anche il senso del denaro: “Cuccia dopo 50 anni lasciò ai figli un’eredità di un milione di euro; il suo successore Vincenzo Maranghi non volle il tfr. Oggi per Nagel (successore di Maranghi, n.d.r.) si parla invece di 100 milioni”. Cuccia è morto solo venticinque anni fa. Nagel è quello che non ha saputo difendere Mediobanca – gliel’hanno sottratta in due mosse.  

leuzzi@antiit.eu

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