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lunedì 20 ottobre 2008

Perché i giudici milanesi temono la Procura

Berlusconi viene assolto dai giudici stranieri cui la Procura di Milano fa ricorso, in Spagna ora, dopo l’Inghilterra e la Germania. In Italia i giudici lo condannano prima del processo. Non c’è solo la giudice del processo Mills (il più ridicolo di tutti, nella corruzione che imperversa a Milano), la ex giovane sessantottina, tutti i giudici di Berlusconi ci hanno tenuto a dichiararsi colpevolisti in privato e in pubblico. Perché?
Si dice per impegno politico. Ma alcuni giudici di Berlusconi sono a Milano notoriamente di destra. In più di un'occasione giudici emeriti hanno proposto in conversazione di riprendersi il borrelliano "resistere, resistere, resistere!", che come si sa era "la linea del Piave", l'appello di Vittorio Emanuele Orlando dopo Caporetto. E anche l’ex Pci da tempo prende le distanze dalla giustizia politica, con Violante e con lo stesso Veltroni.
Si dice per reazione preventiva ai progetti ormai quindicennali di Berlusconi di rifare le istituzioni giudiziarie. Nel senso di limare i poteri che l’ordine giudiziario, unificato nelle Procure, esercita illimitatamente – la magistratura giudicante unita a quella inquirente ne assume l’irresponsabilità. Ma condannare Berlusconi sui giornali non può che rafforzarne la voglia punitiva.
Si dice per solidarietà di casta. Questo può essere. La Procura tra l’altro assicura periodicamente una delle cariche più ambite con cui terminare la carriera. Manlio Minale è stato a lungo giudice. Anche Borrelli lo era stato. Ma non c’è un buon feeling al palazzo di Giustizia milanese verso la Procura. Per tre motivi. Per un fatto di leghismo, forse irriflesso: in tutti i piani si sente criticare la “Procura dei napoletani” (anche se ne sono esponenti eminenti pure i siciliani Spataro, De Pasquale, mentre il Procuratore Capo Minale, tripolino di nascita, è di ascendenza calabrese). Per una questione di rappresentanza. Questa risalente al lontano 1995, quando Borrelli pretese tutto un piano per poter ricevere i giornalisti al riparo della curiosità degli avvocati. Con susseguenti litigi sulle dimensioni degli uffici, con o senza il bagno privato, e sulle dimensioni degli stessi spazi igienici. Ma soprattutto per una questione di risorse. Che la Procura spende munifica, in consulenze, rogatorie, viaggi, personale esecutivo, e atti di diecine di migliaia di pagine.
Bisognerà trovare un altro motivo per cui i giudici a Milano restano, malgrado tutto, così rispettosi della Procura.
P.S. Minale meriterebbe un’apposita trattazione. È il giudice che impiantò la condanna contro Sofri: a più riprese corresse e ammonì i testimoni, per sancire la verità della Procura di Milano. Essendo già stato designato alla carica di vice capo della stessa Procura, quindi a futuro collega e superiore degli accusatori al processo. La sua nomina a capo della Procura nel 2003 ebbe il plauso dei Ds e di An, i partiti degli accusatori, di Sofri e poi di Mani Pulite. Il candidato con più titoli si era ritirato per favorirne la nomina.
Anche il procuratore del processo Mills, Fabio De Pasquale, s’è illustrato. Nel 1993 interrogò infine Gabriele Cagliari, il presidente dell’Eni, dopo averlo tenuto in carcere per quattro mesi e mezzo. Si dichiarò sconfitto e promise a Cagliari la scarcerazione. “Lei me l’ha messa in culo, la devo liberare”, gli disse secondo testimoni attendibili, e il linguaggio corrisponde, il giudice si vuole sanguigno. Ma dopo una settimana se ne andò in vacanza per due mesi, durante i quali Cagliari decise che era meglio suicidarsi che aspettarlo. Ci fu un’ispezione, e gli ispettori ne sanzionarono, oltre che il linguaggio “non consono”, la mancanza di “prudenza, misura e serietà”. Ma Milano lo rispetta più che mai.

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