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mercoledì 11 marzo 2009

Lo spirito protestante del capitalismo

Il crollo peggiore nella crisi per un lettore compulsivo è quello della stampa anglosassone. L’inaffidabilità e l’impudenza di “Economist”, “Financial Times” e “Wall Street Journal” levano il respiro. In seconda battuta viene il crollo ideologico, il secondo in meno di vent’anni dopo quello del socialismo: come si può essere governati dall’incrocio orrendo di banche, banche d’affari e agenzie di rating di cui i tre giornali, la “coscienza del mercato”, sono la vetrina? Prima, e anche ora nella crisi. Dov’è, qual è il potere di Goldman Sachs e Moody’s, che Tremonti dice i Templari del nuovo millennio? Quello dei soldi, certo, ma… Il terzo crollo è quello dello spirito protestante del capitalismo, inteso in Italia come dirittura morale e lealtà, ma questo si sapeva: non si ruba mai così tanto e impunemente, in buona coscienza, come in quello spirito.
Max Weber in parte non dice lo spirito del capitalismo superiore, non nei confronti delle altre religioni o sette, ma in parte sì: il suo capitalista è il santo della borghesia. Non ha torto la sua sociologia disincantata quando fa del possesso la via alla salvezza: la rivoluzione sociale, le rivoluzioni, si sono sempre anch’esse connotate per la presa di possesso. Ma alla fine è una sociologia patetica: il capitalismo, anche quello della Riforma, specie quello “liberato” della Riforma, non è razionale ma ideologico. E questo, per uno che conosce il mondo, seppure in forma religiosa, è limite molto europeo, anzi tedesco, e forse “ariano”, dell’epoca dei primati nazionali. Oggi saldamente in mano agli anglosassoni, agli Usa con l’appendice britannica, alle banche d’affari, alle agenzie di rating e ai loro santuari giornalistici.

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