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giovedì 31 marzo 2011

L’elaborazione difficile del lutto dopo il terremoto

Contro il terremoto non c’è rimedio, è noto, né prevenzione. Né c’è colpa. C’è solo da ricostruire con la massima accortezza consentita dalla tecnica, ma dando per scontato che il prossimo terremoto-maremoto troverà sempre il modo di rendersi assassino. Non c’è colpa in particolare in Giappone, dove la massima attenzione viene data da sempre alle tecniche antisismiche. Eppure anche lì, dopo un primo momento di reazione composta, infuriano la deprecazione e la polemica. Si può dire un fatto connesso al terremoto, una delle sue non minori perfidie. Lo abbiamo visto anche all’Aquila, dove a una prima reazione “giapponese” è presto subentrata la deprecazione, e la guerra di tutti contro tutti.
Si usa dire che le polemiche sono politiche, legate alle scelte della ricostruzione. E si porta l’esempio del Friuli, dove i cittadini hanno preso su di sé gli oneri della ricostruzione, limitando l’intervento dello Stato alle sovvenzioni, e così, “privatamente”, si sono ricostruiti dopo il terremoto con una certa celerità e, soprattutto, come volevano, in pace con se stessi. Ma è una falsa impressione: anche il Friuli ha sofferto di molte angosciate polemiche, su quanto poteva essere fatto, prima e dopo, e non fu fatto, eccetera. Il terremoto destabilizza gli animi. Dapprima la certezza di poter costruire, avendo domato la natura. Poi ogni propria personale sicurezza.
Un volume straordinario della Città del Sole, “Il terremoto di Messina”, pubblicato nel 2008 per i cento anni dell’evento, un migliaio di pagine di “corrispondenze, testimonianze e polemiche giornalistiche”, è un susseguirsi di introiezioni della catastrofe. Le migliori intelligenze dell’epoca si lasciano andare a scoramenti e invettive, apparentemente contro questo o contro quello, in realtà contro la propria inabilità: Prezzolini, Bissolati, Salvemini, Luzzatti, Barzini, Einaudi, Treves, Colajanni. E gli scrittori: Gorkij, Verga, Pirandello, Serao, Papini, Ojetti, Ada Negri, Fogazzaro, Borgese, Goffredo Bellonci. E più dopo il primo momento di commozione, di partecipazione al dolore. L’elaborazione del lutto interviene con una constatazione deprimente d’impossibilità, sottaciuta ma evidente.

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