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sabato 21 agosto 2021

Letture - 465

letterautore

Asterischi – Sono più veritieri delle recensioni che accompagnano: se la cosa, film, libro, spettacolo, merita o no il lettore lo capisce meglio dagli asterischi.
Usa da qualche tempo anche per i libri, specie di narrativa, il giudizio sintetico con gli asterischi, accanto alla riflessione o recensione. Queste sono normalmente involute, lunghe e con grandi titoli, la grafica dei giornali privilegiando il formato a pagina intera, e un grande titolo, a corpo 48 o 56, di per sé induce al consenso – si tratta di una cosa importante. Poi si guarda l’asterisco, due su cinque, anche uno e mezzo, e si capisce – “ho dovuto, il giornale ha dovuto, fare un favore all’agente, l’autore, l’editore, l’addetto stampa, la scuola di scrittura, il promotore di eventi culturali”.  
 
Calvino - Devoto di Palazzeschi? Non trova eredi a Palazzeschi il suo biografo e studioso Gino Tellini sul “Venerdì di Repubblica”: “Lezione difficile quella d Palazzeschi, con pochi eredi. Calvino, che si dichiarò suo devoto, forse Penna”. Bisogna pensarci.
 
Campanella – “Il poeta che voleva il. bene del popolo”, Mario La Cava, “I fatti di Casignana”. Originale definizione del filosofo e agitatore politico, forse più vera.
 
Céline – È una storia cèliniana quella che accompagna i manoscritti dati per dispersi e riemersi dopo la morte della vedova. Céliniana involontariamente, ma anche più tragica o perfida di quante Céline ne immaginava: una (piccola) vendetta, di quelle che tormentavano lo scrittore e che si ascrivono a una sorta di sua paranoia permanente.
Céline aveva come commercialista Oscar Rosembly, ebreo: Col quale ha continuato a vedersi anche sotto l’occupazione tedesca - e spesso condivideva il cibo, di cui a Céline, in buioni trapporti con la Kpommandantur, era più facile approvvigionarsi. Rosembly entrò presto nella Resistenza, ma questo non interruppe i rapporti. Quando fuggì da Parigi, il 17 giugno 1944, Céline dovette lasciare la cassa nella quale aveva ammassato i manoscritti. Poi sosterrà che Rosembly aveva saccheggiato il suo appartamento, e aveva buttato i manoscritti. No: Rosembly aveva saccheggiato l’appartamento, ma i manoscritti li ha lasciati in custodia, “fino a dopo la morte di Céline”. Clausola che, essendogli Céline premorto, aveva esteso “fino alla morte di sua moglie”, Lucette Almanzor. Ora che la vedova è morta, a 107 anni (anche questa prolungata esistenza sembra céliniana, invenzione di Céline), i manoscritti sono stati resi di pubblico dominio.
 
Dante – Curioso ma pertinente omaggio dell’ultimo “Economist” a Dante per i settecento anni: “La «Divina commedia» è una guida salutare alla speranza nelle avversità” – “Settecento anni dopo la morte di Dante, il suo capolavoro ancora risuona”.  
 
Dialetto – È di Pirandello, del saggio “Introduzione al teatro italiano”, che nel 1936 apriva la “Storia del teatro italiano” di Silvio D’Amico, la distinzione tra idea e sentimento della parola: la lingua evidenzia il concetto della cosa che la parola esprime, il dialetto (la stesa parola in dialetto) il sentimento,
 
Federico II – Un tramper, un vagabondo - è la silhouette che ne fa Rumiz, in E' Oriente. In effetti, nacque con la mamma in viaggio, dalla Germania verso Palermo, a Jesi. Da una madre quarantenne che, per anticipare i pettegolezzi, sull’erede comprato, volle partorire in piazza, benché il 26 dicembre facesse presumibilmente freddo - come una gitana, di quelle che i bambini nell’immaginario li rubano. Un imperatore del Sacro Romano Impero scomunicato. Che corse ovunque, tutta la vita, e muore per caso a Torre Fiorentina, o Castel Fiorentino di Puglia – morì a dicembre, come era nato. Dopo essersi fatto costruire tante domus, qui e là per tutto il Regno – più di quante ebbe bisogno di abitare almeno una notte (non fu mai nella domus più famosa, Castel Del Monte).
 
Libro – “È come il martello o il cavatappi”, scrive Emanuele Trevi su “La lettura”, per dirlo un utensile, utile. Ma il cavatappi non è recente – il libro, l’idea di libro, si direbbe antica, come il martello.
 
Lolita – Ragionando di metanagramma, anagramma a vocale variabile, Bartezzaghi ne trova di gustosi in “Lolita”, e li attribuisce a Nabokov, “uno dei maggiori giocatori di sempre”: “Stavo pensando a Lolita. Il nome ha qualche anagramma: atolli, il lato, tallio, l’alito, italoAltolà sarebbe un metanagramma”. Dice anche che “Lolita è uno dei suoi romanzi che più pullula di anagrammi, crittografie e enigmi”. Ma in originale o in traduzione?  Quello che cita, “il periglioso sortilegio delle ninfette”, non può non essere del traduttore – di Giulia Arborio Mella? O già di Bruno Oddera?
Una questione doppiamente intrigante, potrebbe arguire l’esperto di giochi, Nabokov avendo dedicato molti scritti e molto tempo, anche alla traduzione,. Come scrittore tra due lingue – magari perdendosi, malgrado la sua capacità critica, dietro la traduzione dell’“Oneghin” di Puškin in inglese, che gli esperti dicono spenta, e anche illeggibile, per la mole, quattro volumi, col testo, 250 pagine, sommerso, come a questa traduzioni ambiziose accade, dal commento e le note, 1.200 pagine.
 
Manzoni – Grande scrittore di storia, si direbbe, e di paesaggi. Anche di personaggi. Cosa gli manca? Ha un di più di albagia – troppo presto mostro sacro?
 
Natalia Ginzburg – È la scrittrice che ha più titoli nell’offerta dell’editrice New York Review of Books di narrativa al femminile: “Lessico familiare”, “Famiglia” e “Borghesia”, “Valentino” e “Sagittario”.
 
Omero – Goethe ne contesta (Simmel dice: “Ne odia”) la frammentazione. Par la sua concezione della bellezza, che deve essere totalitaria, unificante.
Ma Omero è frammentario?
 
Socialismo – Singolare rivalutazione ne fa Goffredo Fofi nella prefazione che introduce la riedizione 2018 di Mario La Cava, “I fatti di Casignana”, a proposito dei contadini, del mondo contadino: “I contadini, per la vulgata marxista e leninista, erano nemici o pesi morti”, e lo stesso sarà per i comunisti in Italia, “anche se la rivoluzione russa l’hanno fatta anzitutto i contadini”. Da qui un ribaltamento della lettura storica contemporaneistica, dominata dal Pci: “Dovremmo distinguere, in questo senso, tra tradizione comunista e tradizione socialista, la seconda soffocata in Urss ma rimasta a lungo viva in Italia, almeno fino agli anni del centrosinistra, nel suo rispetto della storia e nel suo rifiuto di una visione dottrinaria, distorta e manipolata, della vera storia del proletariato”. Ciò, spiega Fofi, è soprattutto evidente sulla questione meridionale. Personalmente, spiega, nella sua formazione e dopo, nella sua attività, “mi furono utili in particolare il «Mondo operaio» di Raniero Panzieri e gli studi di Gaetano Arfé (lo storico dimenticato che fu anche direttore dell’“Avanti!”, n.d.r.), o le polemiche e gli interventi che comparivano sulle terze pagine dell’ “Avanti!” quando le impostavano e curavano Luciano Della Mea e Franco Fortini”. Per  centrosinistra intendendo, come è giusto nella datazione storica, quello socialista, degli anni 1960-1970, che rinnovò l’Italia (diritto di famiglia, urbanistica, ambiente, sistema sanitario nazionale, statuto dei lavoratori).    

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