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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (607)
Giuseppe Leuzzi
Si sono
affrettati a Santa Fiora, ad Abbadia, ad Arcidosso, i comuni dell’Amiata, ad appropriarsi
la memoria di Camilleri,
che ha usato per qualche anno villeggiarvi, con i familiari – a farsene luogo
del cuore. Ad Arcidosso
passava l’estate anche il messinese D’Arrigo, il tormentato riscrittore perpetuo
di “Horcynus
Orca”. La vacanza di montagna non può essere siciliana.
O non può
essere meridionale? Anche W. Pedullà ci passava l’estate, lì vicino, in Umbria.
E Corrado
Alvaro, a Vallerano, dove gli hanno intitolato un apprezzato premio letterario,
l’Alvaro-Bigiaretti.
Il giudice Gratteri, reclutato
da Urbano Cairo, l’editore del “Corriere della sera”, “la 7”, “La Gazzetta dello
Sport” e un nugolo di periodici, che lo celebrano en masse, ci assicura un ventennio buono di celebrazione delle mafie. Che cosa gli
ha fatto di male il Sud perché lo opprima così tanto? È una risorsa del Nord,
questa narrazione del Sud. A spese del Sud. A opera di meridionali – giudici,
giornalisti, Carabinieri.
Del giudice Gratteri si
ricorda uno dei primi libri, un elenco dei mafiosi paese per paese, della
provincia di Reggio Calabria. Un sacco di scemenze. Col bollo, evidente ma non dichiarato,
delle “informative” dei Carabinieri. Chiacchiere, in genere vecchie, che sono “meglio
di niente” - i marescialli devono pur dimostrare di lavorare. Semplice, no? Economia
circolare.
Il giudice Gratteri probabilmente
non ne ha colpa, ma da capo della Procura a Napoli ormai da due anni come mai
si lascia scarcerare un’intera famiglia di camorristi acclarati, i Moccia, tre
generazioni, perché la condanna non è intervenuta a tempo – secondo Instagram
“la notizia più ignorata dell’estate” (è avvenuto tra luglio e agosto)? Sempre
in armi, perché non si applica ogni tanto a fare condannare le mafie, quelle
vere – non i suoi soliti elenchi sterminati e fantasiosi?
La madre del clan, Anna Mazza,
era stata pure la prima donna a finire al 41 bis, qualche pericolosità questi
Moccia ce l’avevano.
Sfogliando le vecchie annate
dell’“Espresso”, che il calabrese Scalfari cogestiva, colpisce al quinto anno, 1959,
l’inchiesta “L’Africa in casa”, del futuro direttore Livio Zanetti, di Bolzano
(“il Direttore più colto”, f.to Sciascia) e del fotografo Carlo Bavagnoli, di
Piacenza. Con le immagini che “scolpiranno” il Sud, e ancora lo fissano: donne
in nero, sfiorite, ragazzi macilenti, contadini ingrugnati, case porcilaie. Mentre
non fanno testo le stesse immagini trent’anni dopo, tra Lombardia e Veneto, de
“L’albero degli zoccoli”. Che racconta fine Ottocento, certo, ma le ragazze calabresi
che negli anni di Olmi sposarono triveneti fuggirono inorridite, alla fatica, al
freddo, e al letame.
Chiede Felice Cavallaro a Salvatore
“Sal” Palella, imprenditore siciliano d’America, “inventore” dei monopattini
Heilbiz, che ha comprato il quotidiano di Catania, “La Sicilia”: “Affari e
nostalgia della Sicilia?” “Insito nella domanda il sospetto su una Sicilia piena
di insidie, mafia compresa. Lo faccio perché spero che nessuno ponga più questa
domanda fra cent’anni”, la risposta.
Cavallaro insiste: “Una domanda
echeggia: chi c’è dietro?” “A volte sento cadere ingiustamente su di me il
peccato originale di essere nato in Sicilia”.
Bisogna giustificarsi di
esistere – la conversazione si svolge sul “Corriere della sera”.
“A Roma ariva l’autentica
cucina siciliana, firmata dal figlio del fotografo di Falcone e Borselino” –
“Gambero rosso”. Una cucina d’autore – Falcone e Borsellino facevano ditta, e avevano
un fotografo?
La capitale immorale
- capitali e morale
Si scopre al risiko bancario, tra Unicredit di piazza Gae Aulenti che è straniera, e Crédit Agricole che invece è italianissima, che la “capitale morale” di Scalfari è niente. Solo un agglomerato. Di affaristi ricchi.
Di generazioni di successioni ereditarie. Il risiko la scopre chiusa, impacciata,
inconsistente, arresa al primo pretendente. Oppure furba, al modo antico dei “bravi”
- mafiosa.
Difficile dire che Milano ha
generato del buono nella storia d’Italia. Giusto le fiere commerciali, come
usava già nel secolo XIImo, quello dei “lombardi” in giro per l’Europa.Tutta la
tecnica, compreso il cinema e fino alla telefonia mobile, l’ha sviluppata Torino
– “morta” Torino, l’Italia non inventa più nulla. Le arti, design compreso,
sono di non-milanesi - Milano ne è solo il mercato. In politica, dopo Mussolini,
ha impostato il terrorismo, di destra e di sinistra, a partire da piazza Fontana,
i servizi servizi deviati (a partire da Valpreda e compreso qualche commissario
poi santificato), la caserma Pastrengo e i golpisti, Bossi, “Mani Pulite” e la
giustizia politica. Si vuole patria dell’illuminismo, in virtù di Pietro Verri,
ma che lascito hanno dato, compreso il “nipotino” Manzoni?
Scalfari non andava più a Milano.
Dai tempi di Cefis e la Montedison – o di Cefis e il “Corriere della sera”,
così di sinistra (per “comprare” il Pci a Cefis). Dell’aborrita “razza padrona”.
Non sopportava Camilla Cederna – l’aveva accettata perché l’aveva voluta Arrigo
Benedetti, il molle lucchese patito di Milano. Aveva accettato il titolone, a piena
pagina dell’“Espresso” formato “lenzuolo” – in parallelo con la successiva
“Capitale corrotta, nazione infetta” - per rianimare le vendite. Uno dei tanti
titoli a effetto di cui Benedetti si gloriava - come “L’Africa in casa”.
Calabria
e Toscana, sanità e inquinamento
Succede
l’estate di passare un mese in Toscana, tra Forte dei Marmi e Marina di Massa,
e uno in Calabria, sull’Aspromonte tirrenico. In una rete di servizi inappuntabili,
si penserebbe, e in una di sfaceli. La sanità per esempio.
L’Inps
certifica che la Calabria è per la sanità la peggiore, o la quasi peggiore, d’Italia.
Non dice che sono statistiche del 2019, cioè dopo dieci anni di commissariamento
della sanità – a beneficio di generali e prefetti pensionati nominati pomposamente
commissari per tagliare le spese. D’altra parte il “Giornale di Calabria” fa
quotidianamente campagna, all’insegna di “Calabria, risvegliati!”, o “alza la
testa!”, qualcosa del genere, ammucchiando casi sulla medicina pubblica che non
c’è o funziona male. Il giornale è del Pd e quindi fa campagna anche elettorale,
contro il governo regionale, che è di destra, in vista delle elezioni tra un paio di serrimane, ma nessuno obietta: la sanità in
Calabria va male.
Se
non che una caduta accidentale nel mese di Toscana ha portato al pronto
soccorso all’ospedale di Massa. Con un’attesa da mezzogiorno alle sette di sera,
dietro codici di amicizia, amici degli amici, parentela, conoscenza fra
infortunati e personale, e solo dopo una mezza sfuriata si ottiene di passare. A
ortopedia il medico vede che non c’è frattura scomposta, ordina un tutore e scompare.
Un’infermiera applica il tutore, e indica l’uscita. Se non che il tempo di arrivare
a casa e i dolori diventano acuti. Che fare?
L’ortopedico
di fiducia da Firenze dice di prendere l’antidolorifico che l’ospedale ha dato
o ordinato. Ma l’ospedale non ha dato né ordinato nessun antalgico. “Impossibile”,
tuona l’ortopedico di Firenze, “vada al Forte, da Di Ciolo (storica farmacia
del Forte, n.d.r.), dica a nome mio, glielo daranno”. Al Forte Di Ciolo naturalmente
è chiuso, e non c’è campanello. Rapido consulto con qualche passante: “Provi alla
Croce Verde, è all’inizio del Forte”. Subito, ma sono le nove e il medico è andato
via: “Deve andare alla guardia medica”. “Dove”? “A Querceta”. A Querceta è facile,
è dietro l’angolo, ma dov’è la guardia medica? Non si può nemmeno chiedere, le
strade sono deserte – un ciclista solitario, richiesto alla voce in piazza, si
dà alla fuga. Girovagando s’incorre in uno spiazzo mezzo illuminato. Pieno di ragazzi.
Un po’ stravolti. Spaccio? Ma non c’è altri a cui chiedere. È una discoteca. I ragazzi
non sembrano sentire, ma uno dice con la testa: “È qui”. Indica davanti a lui,
verso un fogliame. Sotto il fogliame c’è una porta a vetri. È fatta. Ma no. Illuminandolo con la torcia del cellulare la porta ha un pulsante: guardia medica. Ma nessuno risponde. I solleciti, ripetuti, lunghi,
cadono a vuoto. Si sente vociare dentro,
ma a ben sentire è di televisione, qualcuno ascolta la tv a volume elevato. Un
consulto col buttafuori della discoteca risolve la questione. Guardia medica
non gli dice nulla, ma con quattro pugni alla porta cancello ottiene l’effetto.
Una donna scarmigliata appare irritata. È la dottoressa. Scrive la ricetta e fa per
rinserrarsi – non ha detto una parola. “A quale farmacia?”, si lancia. “A Vittoria
Apuana”, rilancia senza voltarsi.
A
Vittoria Apuana è tutto buio, specie la farmacia. Il bar dell’incrocio non sa
se l’hanno riaperta: “L’avevano spostata. Si, è quell’edificio di dietro”. Dove
il buio è più fitto.
Si
son fatte le 2. Al Forte c’è ancora vita, ma non si sa a chi chiedere. Il giornalaio
dice che Di Ciolo fa anche servizio notturno. È fatta. Ma no, da Di Ciolo non c’è
campanello su via Carducci, e solo una porticina sul retro. Dove bussare
risuona a vuoto. Niente da fare. Finché il giornalaio svela l’arcano: sulla
porta posteriore il campanello c’è, solo che lo coprono con una pianta, per
evitare che qualcuno si diverta a suonare giusto per divertimento. Dietro la
pianta il campanello c’è, e qualcuno dopo lunghi momenti si sente ciabattare.
La
storia è lunga, ma non è tutto.
In
paese a mezzo Aspromonte, nella Calabria disastrata del “Giornale di Calabria”,
c’è la guardia medica. Come in ogni paese. Illuminata. Col medico vigile. E i
medicinali di pronto intervento disponibili. Pare che ci sia anche un servizio
di fisioterapia. E di trasporto urgente, una sorta di ambulanza.
(continua)
Cronache della differenza: Napoli
La
mostra “Invisibili” a Roma, sulle donne protagoniste del cinema in Italia ai
primi del Novecento, s’illustra soprattutto per alcune figure napoletane,
Elvira Coda Notari, una vera industriale del cinema, produttrice su larga scala
e regista, e l’attrice comica Nilde Baracchi, famosa per la serie “Robinet e
Robinette”, originata a Torino e poi molto cresciuta in Francia.
A un certo punto, dice una mini-didascalia della mostra
“Invisibili”, le produzioni di Elvira Notari furono distribuite solo nelle
regioni meridionali. E nelle comunità emigrate nelle città americane – nelle
Little Italy, suppostamente siciliane e\o napoletane. Il leghismo viene da lontano.
Stabilisce lo storico primato dell’illuminismo in
Italia lo storico francese Gilles Pécoud, l’autore del fortunato “Il lungo Risorgimento”:
Giambattista Vico per primo, poi Antonio Genovesi, poi Pietro Verri. Mancano
dall’elenco tre nomi altrettanto importanti, ma sempre nella proporzione di due
a uno per Napoli: Gaetano Filangieri e Mario Pagano, Cesare Beccaria.
Rivisitato a distanza, benché da un pittore del
linguaggio come Paolo Cirino Pomicino – allora solo giovane medico – il colera
a Napoli nell’estate del 1973 fu un caso di resilienza, si direbbe oggi, di
senso civico e non di degrado. “I morti in città furono 19, non ventimila”. E
“ci fu la prima vera mobilitazione di Napoli. Ognuno… garantiva la pulizia nel proprio
spazio vitale. Anche i bassi erano lavati quotidianamente col disinfettante”.
Si celebra per i 2.500 anni dalla fondazione (ma non era
stata fondata nel 721 a.C.?). La celebra pure Confindustria, nominandola
Capitale della Cultura d’Impresa 2025, dopo Torino. La prima città a sud del Garigliano
a ricevere il riconoscimento. Una primizia secolare. Millenaria.
Può vantare comunque un pil pro capite, 31 mila euro,
superiore alla media nazionale – senza contare il “nero”. Avendo la regione
Campania cumulato nel triennio 2022-2025 un incremento del pil, 5,6 per cento,
poco meno del doppio delle regioni centro-settentrionali.
Ma si è arricchita all’improvviso, dopo che per decenni
era visitabile solo in pullman da Roma, o in visite ferroviarie senza nulla
addosso, meglio senza neanche la giacca con le tasche. Con un capitale d’attrazione
immenso, naturalistico, artistico e storico, e il fatalismo al furto. Nemmeno
più tanto con destrezza. È bastato un po’ di ordine pubblico.
Prima dell’improvvisa svolta nell’ordine pubblico urbano
era come se a Napoli i Carabinieri parteggiassero per i delinquenti. Non era
così, naturalmente. Ma il denunciante veniva inquisito, per primo. Ma non solo
a Napoli, in tutto il Sud è come se difettassero gli sbirri.
La quasi totalità del pil cittadino deriva dai
servizi: commercio, accoglienza, assistenza. Era città industriale, è diventata
una “città di camerieri”. La cosa indignava e impensieriva Mariano D’Antonio,
l’ultimo dei suoi grandi economisti: per lo sdegno, quando chiusero Bagnoli e,
un po’, Pomigliano, se n’era andato a Roma, ma evidentemente la cosa oggi
funziona così.
Però, si sono industrializzati il casertano, che
sembrava il profondo West alla porta di Napoli, e il salernitano interminabile –
ha solo 5 mila km², la tredicesima provincia per superficie, ma è lunghissima, interminabile
a chi fa la Salerno-Reggio Calabria, più dell’interminabile cosentino.
La città si pone ora anche al centro dell’innovazione,
con le start-up, e con le 3 “academy” della Apple, dove si formano giovani di tutto
il mondo. Classi annue di 300 iscritti, in sedici anni le Apple Academy (a San
Giovanni a Teduccio) hanno formato 3.500 giovani.
Carlo
Rovelli, il fisico, veneto, a 15 anni chiese e ottenne dal padre il permesso di
“scoprire il mondo”, spiega su “7”: “Sono arrivato a Roma e mi sono fatto rubare
tutti i soldi”. Probabilmente da borsaioli napoletani, secondo i Carabinieri. Ha
voluto proseguire per puntiglio, e a Napoli è stato accudito senza soldi. Economia circolare? “Sì, se hai i soldi te li
levano, se non li hai te li danno… è il mondo come vorremmo che fosse”.
leuzzi@antiit.eu
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