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L’ebraismo italiano e Israele
Si discute molto nell’ebraismo italiano
sulla guerra. A leggere il giornale, ma è anche ovvio. Ma con un cambiamento
che invece non viene rilevato. Non c’era molto sionismo (passione per Israele)
nell’ebraismo italiano, non sicuramente in quello romano, nel 1967, al trionfo
nella Guerra dei Sei Giorni – “quelli sono pazzi”. E ancora nel 1973-74, alla
quasi sconfitta con l’Egitto. Israele sembrava un altro mondo. Anche Primo Levi, era molto distante da Israele.
Poi le cose sono cambiate: ci sono matrimoni
misti (alleanze familiari) tra le due sponde del Mediterraneo, qualcuno nel “ghetto”
ha imparato l’ebraico, molti nomi ebraici sono adottati, ci sono investimenti israeliani.
L’Unione delle Comunità Ebraiche ha il miglioramento della conoscenza e dei rapporti
con Israele nel suo statuto. La stessa presidente dell’Unione, Noemi Di Segni, eletta già dieci anni fa, è
israelo-italiana, economista, ufficiale di complemento in congedo della intelligence israeliana.
Grosso modo il cambiamento coincide con
i due lunghi, entrambi prestigiosi, rabbinati romani, i cinquant’anni di Toaff
e i venticinque di Di Segni. Non tutti sono sionisti, non Liliana Segre, non
Edith Bruck. Ma Israele è una corda viva nell’ebraismo italiano. L’Italia –
come la Germania – ha qualche problema storico a prendere le distanze da Israele,
ma nella prudenza del governo c’entra anche il rispetto verso il sentimento della
comunità ebraica. L’Italia è pur sempre il paese che
organizzava (p.es. da Santa Cesarea Terme nel Salento, a opera di Ada Ascarelli
Sereni) gli imbarchi semiclandestini di ebrei verso la Palestina quando gli inglesi
li avevano proibiti.
Altrove, soprattutto in America, l’ebraismo
ha preso le distanze dal sionismo. In Italia, dove non era sionista, lo è
diventato.
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