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La Gaza Riviera fa un secolo e mezzo
Il
concorso Gaza Riviera lanciato da Trump viene da lontano, dal primo sionismo,
quasi un secolo e mezzo fa. Il disegno non era propriamente di un resort,
allora non ne esistevano, ma nemmeno di un “trasferimento”, come usava dire: era
di una deportazione, come ora nei disegni di Netanyahu e di Trump. Di come e
dove deportare i palestinesi, in quale paese arabo (in parallelo, ma questa è
un’altra storia, si progettava di deportare i cristiani di Terrasanta in Sud America).
Allora,
fine Ottocento, Gaza non esisteva, non come problema o singolo target. Ma
l’idea di deportare tutti i palestinesi, allora sul milione e mezzo, forse due
milioni, sì. In Siria, dopo avere studiato altre destinazioni. E anche in Iraq
e Giordania, successivamente, quando un secolo fa presero forma, per due
dinastie hashenite concorrenti, anche questi due Paesi. Comunque in uno o più dei
paesi arabi circostanti.
“I maggiori
leader sionisti”, spiega Masalha in sintesi nella prefazione alla riedizione 2012
del suo studio, “Theodor Herzl, David Ben-Gurion, Chaim Weizmann, Berl Katznelson,
Moshe Sharett, Ze’ev Jabotinsky, e altri, tutti sostenevano il trasferimento. Tutti
non vedevano nulla di immorale nell’idea, e gli stessi critici sionisti del
trasferimento si opponevano su basi politiche e pratiche, non morali”. Senza peraltro
nascondersi il mal fatto. “La mia coscienza è perfettamente pulita”, Katznelson
scriveva della deportazione: “Un vicino di casa lontano è meglio di un nemico
vicino”.
Ben Gurion
qualche anno dopo, scrivendo nell’ottobre 1937 al figlio Amos, a proposito
della deportazione forzata di cui si parlava, la lega al Progetto sionista come
era venuto a delinearsi da ultimo, come continuità demografica, storica,
culturale (archeologica) con la Bibbia: “Il trasferimento forzato degli arabi
dalle valli del futuro stato ebraico potrebbe darci qualcosa che non abbiamo mai avuto, neppure quando eravamo
autonomi durante i giorni del primo e del secondo tempio… Ci viene data un’opportunità
che non abbiamo mai osato sognare nemmeno nelle nostre fantasie più sfrenate”.
Presto ci
fu anche il precedente: “Per tutti loro lo scambio di popolazioni greco-turche
del dopoguerra servì da utile precedente per la Palestina. Sradicare i palestinesi
e «trasferirli» nei paesi arabi – Giordania, Siria, e Iraq erano soprattutto
suggeriti – era visto come un mero riallocamento da un distretto a un altro. Siccome
i palestinesi avevano pochi legami (e nessun diritto) con la Palestina, i leader
sionisti si dicevano, gli sradicati sarebbero stati altrettanto contenti fuori
della «Terra di Israele»”. Semplice: “Il «trasferimento» e il diniego dell’identità
nazionale palestinese e del diritto all’auto-determinazione erano inestricabilmente
legati”.
“The Concept of «transfer» in Zionist
Political Thought, 1882-1948” è il sottotitolo e l’ambito specifico della ricerca.
Uno studio del 1992. Di uno storico palestinese, formato all’università di Gerusalemme,
cittadino britannico, docente all’università del Surrey, direttore della rivista
“Holy Land Studies”, della Edinburgh University Press. Contestato all’inizio, la
documentazione e le analisi della sua ricerca non sarebbero più conetstate dagli storici sionisti,
difensori di Israele, quali Josef Gorny, tra gli altri, Amita Shapira, “Land
and Power”.
Nur Masalha, Expulsion of the Palestinians,
ebook, pp. 263 € 8,57
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