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Secondi pensieri - 569
zeulig
Autorità - È femminile, come genere grammaticale, e come
etimo. Se viene dal latino “augeo”, che è ben maschilista, mi arricchisco, ma
originariamente femminile, cioè “accresco”, “genero”, “sviluppo”, “do la vita”.
Della funzione generativa, giusto Cicerone: in rebus omnibus iis, quas
natura alit, auget, tuetur, in tutte quelle cose che la natura, nutre, fa
crescere, e conserva. Liberale più che repressiva, aperta più che chiusa,
accrescitiva più che coercitiva.
Una voce
svanita, da qualche tempo. Luisa Muraro, l’ultima che se n’è occupata, 2012, con
la minuscola, “autorità”, alla fine non sa che farsene - trascura anche l’etimo.
Sulla procreazione sì, in questa chiave ne fa l’esclusiva femminile, e sulla
prima, stretta, cogente “educazione” – l’educazione come nutrizione. Una deriva
femminista, forse inevitabile, non c’è andito immune, e niente più.
Hannah Arendt nel 1954, avendo esaurito la
complessa anamnesi del totalitarismo, è la ultima che cerca di dirimere il quesito,
“Che cos’è l’autorità?”, in una lunga riflessione che poi pubblica nella raccolta
“Tra passato e futuro”. L’autorità non è la violenza, naturalmente: anzi, “esclude
qualsiasi coercizione esteriore: dove s’impiega la forza, l’autorità ha fallito”.
Ma non si adagia nemmeno sulla persuasione: “Dove s’impiegano argomenti di persuasione,
l’autorità è messa a riposo”. E lo spiega con Platone, che la prospetta necessaria
nella polis, negli affari pubblici. In alternativa proprio ala persuasione,
che era come greci facevano politica nel foro. Ma anche alla violenza, che era
il modo come facevano politica estera. L’autorità è in qualche modo gerarchica.
Morale, come a Roma. Un quarto di
secolo prima della “disobbedienza civile”, che ne avrebbe alterato le
percezioni, in senso libertario non eversivo, H. Arendt era suggestionata dalla
lezione di Alessandro Passerin d’Entrèves. Italianista a Oxford per ragioni di
cattedra, ma filosofo dello Stato, Passerin d’Entrèves fu l’unico intermediario
tra sé e Hobbes che Arendt dopo la guerra trovava, il quale l’Auctoritas riconduceva
al mito fondante di Roma. Una forza liberale più che repressiva,
aperta più che chiusa, accrescitiva più che coercitiva. La forza mista
all’autorevolezza, l’Auctoritas, la romana legittimazione. E da queste
altezze il mondo vede grigio: “Vivere nella sfera pubblica senza l’autorità (e
quindi senza la consapevolezza della trascendenza della fonte di tale autorità
rispetto al potere e ai detentori di questo) significa trovarsi ad affrontare
daccapo, senza più fede religiosa in un principio consacrato, e senza la
protezione offerta da criteri di comportamento tradizionali, e perciò
assiomatici, i problemi più elementari suscitati dall’umana convivenza”
Non se ne parla,
il “discorso” è fermo dove lo ha lasciato Luisa Muraro, “autorità”, minuscola, una
quindicina d’anni fa, nel 2013. Minuscola per la scoperta
che Muraro aveva fatto nel 1991, in “L’ordine simbolico della madre”,
dell’autorità “in quanto forza che agisce in maniera inconfondibile dal
potere e dal diritto”. Nella differenza femminile: è la funzione materna
(generazione, gestazione, lingua, cibo, cura) che genera autorità - “Il senso
dell’autorità inizia con la relazione materna”. E viceversa, l’autorità
arricchisce (sostanzia) la funzione materna. La riproduzione.
L’argomento può cozzare contro le tante specie di
autoritarismi che l’Europa ha vissuto nei fascismi, ma è un’altra cosa. È un
esito della differenza sessuale. Che ora, un paio di decenni dopo, è
incontestata – la donna in carriera non è tutto e non il più importante (fare
la marine, per esempio, è del tutto inutile, e forse dannoso). A
nche se a Muraro non basta(va): “La semplice presenza fisica personale non
basta a modificare tradizioni e istituzioni che rispecchiano una visione
mutilata del mondo”. Stampelle?
Muraro si muove tra Galileo, nel nome della natura, che
le figlie, le femmine, metteva al convento, e Montaigne, nel nome dell’io. Qui
con più fondamento: “Il «fondamento dell’autorità», nelle parole di Montaigne
riprese dal suo lettore Pascal, è un genitivo soggettivo: significa che
l’autorità è fondante, non fondata”.
Simone Weil, alla fine del percorso che Muraro
segue, conclude perentoria in “Radici” che l’ordine dell’autorità “è sempre
gerarchico”. Che è vero, specie in pedagogia, ma Luisa Muraro lo rifiuta. Paradossalmente,
essendo Muraro nata pedagogista antiautoritaria, con “L’erba voglio” e Elvio
Fachineli. Con Hannah Arendt concorda sull’essenziale, che “la vita pubblica
senza l’autorità e senza l’indipendenza che questa dà nei confronti del potere,
toglie alla politica «dignità e grandezza»”. Ma non sull’origine “fondativa”,
tradizionale, dell’autorità. Per concludere: “Senza cultura dell’autorità,
l’esperienza di una qualche superiorità altrui genera invidia, dipendenza o
ribellismo, e il principio di uguaglianza diventa piatto: si traduce in
un’accanita ricerca della parità, e rischia la sterilità simbolica, come una
pianura in cui le acque ristagnano”. La rivoluzione dells controrivoluzione?
Cicli –Si (ris)scopre
(periodicamente) l’oblio, la compassione, la socievolezza, l’amicizia, la fede,
la stessa natura, etc. tutte le cose che il mondo psicoanalitico ha celato. Col
cervello inventivo, lo storione personale, il sonno-sogno, che è inerte, il
lapsus e l’oblio (il rimosso), eccetera. Per un insopprimibile ritmo ciclico
dell’esistenza – la storia?
Narrazione – “Questa è l’epoca del racconto”, dice il
drammaturgo Massini, “per cui tutto esiste solo nella misura in ci diventa
narrazione. Anche in politica, in maniera trasversale. Scegliamo i nostri rappresentanti
non più sula base della ragione, ma dell’empatia, scegliamo chi sembra essere
come noi. Così Trump, grandissimo spaccone e abilissimo venditore, non potava
che svettare. Ma qualcosa di simile era successo anche con Obama”.
Oggi o dai tempi di
Cesare e Cicerone? O dei tribuni, i Gracco, Silla, Pompeo, Crasso. Della pubblicità a lungo nel secolo ventesimo – dei
“persuasori occulti”. Della propaganda – anch’essa, documentata, fuori della
“Fattoria degli animali”. Della informacija e della disinformacja. Trump
ha specialisti dei linguaggi social che ogni mattina hanno l’incarico, e ci riescono,
di farlo protagonista della giornata.
Relativismo – Papa
Ratzinger, Benedetto XVI, che molto ci ha riflettuto sopra e ne ha scritto, sarebbe
stato oggi, solo pochi anni dopo, semplicemente dismissivo invece che argomentativo,
talmente intacca le categorie logiche.
Che sembra logico. E ha immediata controprova nella woke culture,
così perentoria, affermativa – e o politica o, ingenuamente, fideistica.
Non è l’incroyance del Cinquecento, che
invece era una forma di ateismo – limitata cioè alla fede r religiosa, in un Dio.
Religione - È la madre della
politica. Direttamente e, di più, indirettamente - come alveo “culturale”, ma in sostanza
sempre religioso, anche se non credente o incerto.
Il più rilevante riflesso odierno della religione
sula politica è quello islamico, originato dal khomeinismo. Conoscendo l’Iran
all’insorgenza del khomeinismo, è fuori di dubbio che esso è il portato della
religione più che dell’evoluzione politica del Paese – che al contrario era
dominato da influssi laici, democratici
e socialisti. Nel 1979, all’improvviso, l’Iran urbano venne sopraffatto dalle
moltitudini delle moschee, che si presero la politica nel nome della religione
– accendendo, quasi determinando, l’insorgenza jihadista in tutto il mondo
arabo-islamico, in tutto il Nord Africa e fino alla Somalia e alla Nigeria. Un
“fondamentalismo” – radicamento religioso della politica – tanto più radicale in
quanto confrontato dal laicismo professo delle altre religioni, specie le cristiane.
zeulig@antiit.eu
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