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lunedì 5 gennaio 2009

L'harem gay della Procura napoletana

L’harem di Romeo non è male. Fra tutti gli intrepidi cronisti giudiziari, ammanicati con questo e con quello, Fiorenza Sarzanini ha un moto d’indipendenza, e ha scritto sul “Corriere della sera” quello che gli stessi giudici scrivono. Solo un assaggio, per non abbattere troppo la categoria, ma memorabile. Il Comune di Napoli, secondo i procuratori partenopei, «si è trasformato in un "regno" in cui un onnivoro e famelico re muove le sue pedine incurante della presenza di una ufficiale regina la quale, non senza una profonda ingratitudine, viene costantemente apostrofata con volgari epiteti finanche dai propri figli putativi, letteralmente obnubilati dalla smania di emergere e di soddisfare a tutto tondo i desideri del sovrano». Il vespone Romeo e l’ape Iervolino sarebbero già abbastanza, ma non è tutto. L'avvocato Romeo, imprenditore dei servizi pubblici, è a capo di «un'organizzazione ben radicata e strutturata, rispetto alla quale il perseguimento degli interessi pubblici è un inutile orpello... e dove i funzionari delle istituzioni sono come in un harem e fanno di tutto per assecondare e compiacere il sultano in modo da diventare suo favorito». Per prenderlo cioè "a tutto tondo"?
Si dice dell’incosciente: balla sul vulcano. Un imprenditore-di-servizi-pubblici è certo figura impagabile. Ma l’harem di soli uomini, e non di femminella ma di robusti manovratori, benché irresistibile, anche per l’impunibilità, per una volta, di un linguaggio osceno in una aula di giustizia, dà voglia d’invocare il vulcano.

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